A sbagliare è il primario, la colpa non è anche dell’assistente

È incongruo affermare che l’assistente possa andare esente da responsabilità solo se segnala al primario la inidoneità e la rischiosità delle scelte.

È la Corte di Cassazione ad affermarlo con la sentenza n. 5684/14, depositata il 5 febbraio scorso. La fattispecie. Un chirurgo aveva affiancato il primario in 2 interventi sullo stesso paziente, in uno in veste di aiuto e nell’altro di assistente. Entrambi gli interventi avevano provocato danni al paziente, pertanto i giudici di merito, pur dichiarando la prescrizione dei reati, avevano escluso l’assoluzione del chirurgo perché nella veste di aiuto aveva il dovere di dissociarsi dalla conduzione della operazione facendo rilevare il suo dissenso sul diario clinico . Tuttavia, la Cassazione, a cui il chirurgo si è rivolto, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l’imputato non ha commesso il fatto. Non basta la sola presenza a far scattare il concorso di colpa. In particolare, i Supremi Giudici hanno ritenuto incongruo affermare che l’assistente o l’aiuto possono andare esenti da responsabilità solo se segnalano al primario la inidoneità e la rischiosità delle scelte. Infatti – da quanto emerge – si trattava di un’attività manuale espletata dal primario, ed a questo attribuibile, non potendo i suoi assistenti interferire in modo efficace su quanto egli compiva . Insomma, non può dirsi che l’imputato abbia contravvenuto ad alcun suo specifico obbligo di diligenza e di perizia nell’esercizio delle sue mansioni di aiuto o assistente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 dicembre 2013 – 5 febbraio 2014, n. 5684 Presidente Teresi – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19 giugno 2012 la Corte d'appello di Roma, a seguito di rinvio operato dalla sentenza 23 settembre 2009 della Quarta Sezione Penale di questa Suprema Corte, in riforma di sentenza del 21 gennaio 2004 con cui il Tribunale di Frosinone aveva assolto per non avere commesso il fatto B.G. dal reato di cui agli articoli 113 e 590 c.p., dichiarava non doversi procedere per prescrizione, ritenendo inapplicabile l'articolo 129, comma 2, c.p.p 2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo denuncia vizio motivazionale e violazione degli articoli 125, comma 3, e 546, comma 3, c.p.p. La corte avrebbe offerto una motivazione apparente che non tiene conto del caso concreto e della giurisprudenza sviluppatasi in ordine alla responsabilità per tale reato. Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 129, comma 2, e 533, comma 1, c.p.p. per aver la corte apoditticamente affermato la responsabilità dell'imputato. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. I due motivi possono essere vagliati congiuntamente, in quanto entrambi censurano la manchevolezza della motivazione con cui la corte territoriale supporta la mancata applicazione dell'articolo 129, comma 2, c.p.p Nel caso di specie, all'imputato era stato contestato il reato di cui agli articoli 113 e 590 c.p. per avere partecipato a due interventi chirurgici effettuati dal primario del suo reparto G.A. a un paziente che aveva subito il 31 ottobre 1995 presso l'ospedale civile di . una appendicectomia da cui era sorta una emorragia post-operatoria. In particolare, il omissis al paziente, C.L. , il primario eseguiva un intervento con l'assistenza in qualità di aiuto dell'imputato persistendo l'emorragia, lo stesso giorno fu eseguito un altro intervento sempre dal primario, avendo come aiuto un altro medico e come assistente l'imputato. Il primo intervento del primario aveva leso la milza, per cui il secondo era consistito nell'asportazione di questa, cagionandosi così, inoltre, laparocele al paziente. Il Tribunale aveva assolto l'imputato per non avere commesso il fatto, ritenendo che nella sua qualità non gli era addebitabile alcun comportamento colposo che avesse contribuito alla causazione delle lesioni dichiarava invece colpevole il primario. Con sentenza del 19 settembre 2006 la Corte d'appello di Roma aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati per essersi il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione di qui il ricorso per cassazione alla Quarta Sezione Penale, che annullava con rinvio. La corte territoriale ha ritenuto il reato estinto per intervenuta prescrizione reputando, per quanto riguarda la posizione dell'attuale ricorrente, l'inapplicabilità dell'articolo 129, comma 2, c.p.p. perché nella sua veste di aiuto aveva il dovere di dissociarsi dalla conduzione della operazione facendo rilevare il suo dissenso sul diario clinico . In tal senso richiamava un arresto giurisprudenziale Cass. sez. IV, 5 ottobre 2000 n. 13212 in base al quale deve ritenersi che se primario, aiuto ed assistente condividono le scelte terapeutiche, tutti insieme ne assumano la responsabilità. Quando invece l'assistente o l'aiuto non condividano le scelte terapeutiche del primario il quale non abbia peraltro esercitato il suo potere di avocazione , possono andare esenti da responsabilità solo se abbiano provveduto a segnalare allo stesso primario la ritenuta inidoneità o rischiosità delle scelte anzidette . La motivazione della corte territoriale si limita alla citazione della suddetta sentenza, che, peraltro, dalla semplice lettura di quanto riportato nella sentenza impugnata, non attiene affatto alla posizione dell'imputato. Invero, tale pronuncia concerne non un intervento chirurgico, bensì scelte terapeutiche , rispetto alle quali, tra l'altro, viene prospettato anche l'esercizio del potere di avocazione del primario. E in questo senso è logico fare riferimento a un diario clinico , trattandosi quindi di un documento in cui vengono registrate le terapie e descritte le loro conseguenze sul paziente. Nel caso in esame, invece, si è trattato, appunto, di un intervento chirurgico praticato direttamente dal primario, per cui del tutto incongruo è il riferimento a un potere di avocazione dello stesso parimenti incongruo è affermare che l'assistente o l'aiuto possono andare esenti da responsabilità solo se segnalano al primario la inidoneità e la rischiosità delle scelte. Infatti, si trattava - per quanto emerge dalla motivazione, soprattutto laddove richiama gli esiti delle perizie - di un'attività manuale espletata dal primo operatore, cioè dal primario, ed a questo attribuibile, non potendo i suoi assistenti interferire in modo efficace su quanto egli compiva. Non si è, in vero, in presenza di un diario clinico da compilare dopo aver verificato l'effetto delle terapie al paziente né certamente, poi, è prospettabile un dissenso a tempo reale manifestato mediante l'abbandono della sala operatoria. Quello che avrebbe dovuto essere identificato come fonte di responsabilità dell'imputato era configurabile in una sua specifica mansione cui non avrebbe provveduto con la dovuta diligenza e la dovuta perizia cfr., a proposito della responsabilità dei componenti di una equipe medica, Cass. sez. IV, 9 aprile 2009 n. 19755, che collega la responsabilità penale, appunto, alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente sulla violazione dei canoni di diligenza e perizia connessi alle specifiche ed effettive mansioni svolte quale presupposto della responsabilità in un contesto operativo in cui si muove una pluralità di chirurghi, cfr. Cass. sez. IV, 26 ottobre 2011 n. 46824 Cass. sez. IV, 11 ottobre 2007 n. 41317 Cass. sez. IV, 12 luglio 2006 n. 33619 . A ciò invece non fa riferimento la corte territoriale, che, come si è visto, imposta la responsabilità in modo apodittico e generico, facendola discendere, in sostanza, dalla presenza dell'imputato durante le operazioni. Non emergendo dagli atti, allora, elementi nel senso che l'imputato abbia contravvenuto ad alcun suo specifico obbligo di diligenza e di perizia nell'esercizio delle sue mansioni di aiuto o di assistente, il ricorso è fondato nel senso dell'applicabilità dell'articolo 129, comma 2, c.p.p., che ovviamente prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, sussistendo al contrario i presupposti per dichiarare il proscioglimento nel merito in quanto non risulta che l'imputato abbia commesso il fatto. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l'imputato non ha commesso il fatto.