Non il concordato preventivo, e neppure l’accordo per la ristrutturazione del debito, bloccano il sequestro per equivalente

Come accade nel caso di concordato preventivo, così non può attribuirsi alcun rilievo, in relazione al già disposto sequestro per equivalente in relazione al mancato pagamento dell’IVA, all’istanza di ristrutturazione dei debiti ed alla sua pubblicazione nel registro delle imprese.

La III Sezione penale della Suprema Corte, ancora una volta, afferma la supremazia del sequestro per equivalente. Sequestro per equivalente un universo in continua espansione Ormai diversi anni fa un illustre giurista, facendo riferimento alla categoria del danno risarcibile, i cui confini ormai da tempo sembravano caratterizzati da una costante, quanto inarrestabile espansione mossa quasi dalle sovrumane forze della natura, la paragonò ad un universo che, dopo la sua nascita dall’originario big bang, viveva una costante ed irrefrenabile dilatazione. Ad onore del vero, negli ultimi anni, piuttosto sorprendentemente o forse in ragione della prolungata, quanto inaspettata inversione del ciclo economico, quella che pareva davvero l’inarrestabile espansione della categoria del danno risarcibile pare aver trovato qualche freno. Agli occhi dell’attento giurista, in effetti, si presenta ora un nuovo universo, che, almeno al momento attuale, appare egualmente dotato di una rinnovata ed inarrestabile forza espansiva il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, che si muove all’interno della più ampia ed altrettanto innovativa e virulenta categoria della c.d. “giustizia riparativa”. Categoria che, a sua volta, nella crisi economica e nella crescente demagogica e populistica rabbia che individua nell’evasore fiscale e nel politico corrotto le vere origini della attuale crisi, ha trovato nel sequestro per equivalente la prima e potentissima arma di guerra. capace di travolgere gli argini del nuovo diritto fallimentare. Ormai da diversi anni la dottrina ha concordemente ritenuto che le ultime riforme abbiano radicalmente mutato sia la ratio che gli obbiettivi della normativa fallimentare. Se dubbio non vi è sul fatto che l’originaria impostazione della legge fallimentare perseguisse lo scopo primario di eliminare dal mercato l’impresa insolvente curando che il patrimonio della stessa fosse destinato, salve le eccezioni di legge, a soddisfare le pretese creditorie nel rispetto della par condicio, oggi, per contro, la centralità di istituti quali il concordato preventivo, o gli accordi di ristrutturazione del debito, mira, per contro, a consentire all’impresa in crisi di liquidità di proseguire, razionalizzandola, la propria attività, garantendo nel contempo il soddisfacimento dei creditori nella più alta percentuale possibile e soprattutto compatibile con tale nuova priorità. Da più parti, la dottrina penalistica ha notato che, di fronte a tale palingenesi della disciplina civilistica del fallimento, le riforme che hanno attinto la parte penale della legge fallimentare sono state assolutamente marginali e non tali da operare quel doveroso coordinamento che avrebbe dovuto essere perseguito di fronte a riforme strutturali di siffatta portata. La pronuncia che si annota, ad avviso di chi scrive, è, come vedremo poc’anzi, l’ennesimo allarmante segnale di questo grave e quanto mai attuale difetto di coordinamento tra le riforme intervenute in materia fallimentare sul piano civilistico e quelle “mancate” sul fronte penalistico. Sequestro per equivalente e accordo per la ristrutturazione del debito ex art 182 bis l.f Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte il contribuente, indagato per reati relativi all’omesso versamento IVA, proponeva ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame aveva confermato il sequestro per equivalente, deducendo che era intervenuto ed era stato pubblicato sul registro delle imprese un accordo per la ristrutturazione del debito ex articolo 182 bis l.f., che, fra l’altro, era stato proprio concluso con Equitalia e con la Agenzia delle Entrate. Il ricorrente, nei propri motivi, osserva che l’intervenuto accordo per la ristrutturazione del debito, divenuto efficace ed opponibile erga omnes con la pubblicazione nel registro delle imprese, che comprendeva anche tutti i debiti fiscali della società, impediva, ai sensi dello stesso articolo 182 bis comma 3 l.f., a tutti i creditori della società di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore al fine di incassare o tutelare i propri crediti. In conseguenza, sosteneva il contribuente, doveva essere dichiarata anche la perdita di efficacia del disposto sequestro per equivalente volto a tutelare gli interessi erariali, in realtà già ben salvaguardati dallo stipulato accordo per la ristrutturazione del debito. La prevalenza del sequestro per equivalente. Le ragioni del ricorrente non trovano, tuttavia, accoglimento da parte della Suprema Corte. Secondo i giudici della Terza Sezione penale, infatti, la disposizione di cui al comma 3 dell’art 182 bis l.f., nel prevedere che i creditori non possono iniziare azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, attiene al solo ambito civilistico e non impedisce, pertanto, che il già disposto sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente rimanga in essere nonostante l’avvenuta pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione del debito. A sostegno del proprio assunto gli Ermellini menzionano, in primis, un proprio precedente arresto in cui Cass. Penumero , Sez. III, 14.05.2013, numero 44283 si era evidenziato come l’ammissione al concordato preventivo, seppur antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento della imposta, non esclude il reato previsto dall’articolo 10 ter D.lvo 74/2000 in relazione al debito IVA scaduto e da versare. In secondo luogo, ripercorrendo e facendo proprio l’apparato motivazionale di tale precedente, i giudici della Suprema Corte evidenziano la intangibilità del debito IVA, in quanto risorsa iscritta a bilancio dell’Unione Europea, rispetto alla quale, dunque, nessuno accordo transattivo tra debitore e creditori può avere efficacia risolutiva. Il ricorso viene quindi rigettato ed il sequestro per equivalente confermato. Cenni critici. La pronuncia che si annota si presta tuttavia ad un duplice profilo, a sommesso avviso di chi scrive, di obiezioni. Sotto un primo piano, infatti, il precedente giurisprudenziale ampiamente richiamato nella sentenza che si pubblica, aveva come riferimento la sussistenza della penale responsabilità dell’imputato, rispetto alla quale pare evidente, stante la natura di reato omissivo istantaneo della fattispecie di cui all’articolo 10 ter D.lvo 74/2000, che anche l’integrale avvenuto pagamento del debito tributario anche in virtù di un concordato preventivo non può determinare l’estinzione del reato, ma solo la sussistenza della attenuante di legge. Diverso invece il caso in esame, avente ad oggetto un sequestro per equivalente e dunque una misura cautelare, che, seppur caratterizzata, come ormai si è concordemente osservato, da una natura sanzionatoria, deve colpire beni o denaro di importo equivalente al profitto realizzato, profitto che una volta estinto il debito erariale non esiste più. Sotto tale profilo, allora, pare difficile comprendere come non possa riconoscersi valenza alcuna ad un accordo per la ristrutturazione del debito ex articolo 182 bis l.f., che, come ricorda la stessa cassazione, ora impone ex lege la esplicita previsione dell’integrale pagamento del debito IVA! Sotto un secondo profilo, tale impostazione giurisprudenziale pare porsi in insanabile contrasto con lo spirito del nuovo diritto fallimentare che, nei casi di accordi per la ristrutturazione del debito o di concordato preventivo, mira proprio ad evitare aggressioni al patrimonio del debitore al fine di consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale una volta raggiunto un accordo con i creditori, Agenzia delle Entrate prima fra gli stessi compresa. Consentire, anche in pendenza di siffatti accordi, il sequestro per equivalente significa, non inverosimilmente, compromettere la perseguibilità di tale obbiettivo e quindi anche, paradossalmente, la stessa integrale soddisfazione del credito erariale che tali forme di accordo di ristrutturazione del debito, come e forse ancor prima, del sequestro per equivalente, mirano a salvaguardare.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 1° aprile – 12 giugno 2014, numero 24875 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo Con decreto del 14 ottobre 2013 il Gip del tribunale di Foggia dispose il sequestro preventivo per equivalente di beni di F.G. , in relazione a reati tributari, non meglio specificati nella ordinanza impugnata. Il tribunale del riesame di Foggia, con ordinanza del 19 novembre 2013, annullò il sequestro limitatamente agli emolumenti ricevuti a titolo di pensione nella misura dei 4/5, e confermò nel resto il provvedimento di sequestro. Osservò, tra l'altro - che la mancata presenza nel fascicolo del verbale di sequestro non comportava alcuna nullità e del resto il difensore aveva diligentemente evidenziato i beni aggrediti dal sequestro - che l'accordo con l'amministrazione finanziaria per la ristrutturazione del debito fiscale ai sensi dell'articolo 182 bis l.f. non impedisce il proseguimento dell'azione penale e l'applicazione delle misure cautelari penali. L'indagato, a mezzo dell'avv. Francesco Ventarola, propone ricorso per cassazione deducendo 1 violazione dell'articolo 324 cod. proc. penumero per avere il tribunale deciso il riesame pur in mancanza nel fascicolo del verbale di esecuzione del sequestro preventivo, che costituisce atto indispensabile per l'esercizio del diritto di difesa. 2 violazione dell'articolo 182 bis l.f. e difetto assoluto e manifesta illogicità della motivazione. Ricorda che aveva eccepito di avere concluso con l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'articolo 182 bis cit., nel quale erano stati inclusi tutti i debiti di natura fiscale, ed aveva quindi chiesto la revoca del sequestro preventivo per equivalente, anche per l'intervenuta sospensione della esecutività di tutti i crediti, anche fiscali, e quindi anche per quello per IVA di cui è causa. Il tribunale del riesame, invece di motivare in ordine al dedotto divieto di esecutività in pendenza della procedura di accordo di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182 bis, ha motivato sulla inapplicabilità nella specie di una fantomatica proposta di concordato preventivo, di cui all'articolo 182 ter, mai invocata nel procedimento. Vi è quindi assoluta mancanza di motivazione sul punto impugnato. Motivi della decisione Il primo motivo è infondato in quanto la mancanza nel fascicolo del verbale di sequestro è irrilevante perché non ha potuto comportare alcuna limitazione o ostacolo all'esercizio del diritto di difesa. Copia di tale verbale, invero, è stata consegnata sicuramente all'interessato al momento della esecuzione del sequestro e del resto col ricorso nemmeno si deduce che ciò non sia avvenuto , sicché egli aveva sicuramente conoscenza dei beni sequestrati. Il che del resto è stato anche messo in evidenza dalla ordinanza impugnata, laddove ricorda che il difensore aveva diligentemente supplito alla carenza del verbale, con ciò dimostrando, tra l'altro, di essere bene a conoscenza dei beni aggrediti con il sequestro per equivalente. Del resto, “Il giudice del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non ha l'obbligo di individuare i singoli beni e di fissarne il relativo valore. La Corte ha precisato in motivazione che detta individuazione, ove non effettuata dal giudice, spetta al P. M. quale organo demandato all'esecuzione del provvedimento ” Sez. III, 25.2.2010, numero 12580, Baruffa, m. 246444 . È infondato anche il secondo motivo, in quanto esattamente il tribunale del riesame ha ritenuto irrilevante l'istanza avanzata dal F. all'Agenzia delle entrate e ad Equitalia per la ristrutturazione del debito fiscale ai sensi dell'articolo 182 bis l. fall., ed infondata la tesi della difesa secondo cui, in caso di ristrutturazione del debito, si applicherebbe il comma terzo di tale articolo, che stabilisce che non si possono iniziare o proseguire azioni cautelari sul patrimonio del debitore. Il ricorrente invero deduce che l'articolo 182 bis, commi 2 e 3, l.f., stabilisce che l'accordo di ristrutturazione acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese che da tale data i creditori, per titoli anteriori, non possono iniziare o proseguire azioni cautelari od esecutive sul patrimonio del debitore che nella specie è documentata l'avvenuta pubblicazione dell'accordo di ristrutturazione che conseguentemente vi è il divieto di dare esecuzione alla cartella esattoriale relativa all'IVA di cui al presente procedimento. Il ricorrente ora lamenta che il tribunale del riesame, anziché rispondere motivatamente in ordine all'invocato divieto di esecutività in pendenza della procedura di accordo di ristrutturazione, si è dilungato a motivare sulla inapplicabilità di una fantomatica proposta di concordato preventivo, regolata dall'articolo 182 ter l.f., mai invocata dal ricorrente. L'eccezione è infondata perché il tribunale del riesame, in realtà, ha osservato che le azioni che vengono bloccate dalla procedura invocata sono solo quelle civilistiche, e non anche quelle di natura penale, ed ha altresì richiamato una recente decisione di questa Corte, relativa al concordato preventivo di cui all'articolo 182 ter l.f., per affermare esattamente che anche in relazione ad un accordo di ristrutturazione devono comunque applicarsi i principi ivi enunciati in riferimento al concordato preventivo relativamente ai debiti tributari per il pagamento dell'IVA quale è quello per il quale nella specie è stato disposto il sequestro per equivalente . Con tale decisione, infatti, è stato affermato il principio che “In tema di omesso versamento IVA, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'imposta, non esclude il reato previsto dall'articolo 10 ter D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74 in relazione al debito IVA scaduto e da versare” Sez. III, 14.5.2013, numero 44283, Gavioli, m. 257484 . Quel che qui più rileva, peraltro, è quanto enunciato nella motivazione di questa decisione e valevole anche per la ristrutturazione del debito , nella quale si legge che “la legislazione vigente impone che nel concordato preventivo il debito IVA debba essere sempre pagato per intero, a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, poiché la norma che lo stabilisce va considerata inderogabile e di ordine pubblico economico internazionale cfr. Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006 Corte di Giustizia 29 marzo 2012, nella causa C-500/10, Belvedere Costruzioni srl, secondo la quale ogni Stato membro ha l'obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio . Infatti, costituisce diritto vivente il principio espresso da ultimo da Cass. civ. 16 maggio 2012 numero 7667 ma nello stesso senso anche da Cass. civ. 4 novembre 2011 numero 22931 secondo cui In tema di omologazione del concordato preventivo con transazione fiscale, secondo l'istituto di cui alla L. Fall., articolo 182 ter, anche per le procedure cui non sia applicabile ratione temporis il D.L. 29 novembre 2008, numero 185, articolo 32 convertito nella L. 28 gennaio 2009, numero 2 , che ha modificato la L. Fall., articolo 182 ter, comma 1, prevedendo espressamente che la proposta, quanto all'IVA, può configurare solo la dilazione del pagamento, sussiste l'intangibilità del predetto debito d'imposta, in quanto le entrate derivanti dall'applicazione di un'aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili relativi a detto tributo, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell'Unione Europea, e quindi, il relativo credito, attenendo comunque a tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell'articolo 182 ter nella versione introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, numero 5 In conclusione, né dall'articolo 160, né dalla L. Fall. articolo 182 ter, può essere desunta una volontà legislativa che ponga in dubbio il principio di indisponibilità della pretesa tributaria in riferimento al debito IVA, consentendone il pagamento dilazionato al di fuori degli accordi di transazione fiscale. Del resto l'accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata, d'iniziativa del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto concordatario con i creditori. Una scelta di questo genere, tutta interna alla volontà del debitore, non può portate, come sua conseguenza, ad elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell'IVA alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente il debitore ha di fronte a sé una pluralità di soluzioni, a partire dalla transazione fiscale sino al piano che, indicando la prioritaria soddisfazione del debito Iva peraltro avente rango privilegiato , rispetto a tutti gli altri [consenta] la successiva esecuzione dei pagamenti senza falcidie il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto è reato omissivo istantaneo, che si perfeziona alla scadenza del termine entro cui doveva essere effettuato il pagamento, essendo del tutto irrilevante il fatto che la società tenuta all'adempimento del debito tributario, e per essa il suo legale rappresentante, sia stata ammessa alla procedura del concordato preventivo in data precedente, non avendo la stessa ottenuto alcuna dilazione di pagamento, a seguito di una espressa richiesta di accesso alla procedura di transazione fiscale avanzata con l'istanza di concordato preventivo”. Per analoghe ragioni non può attribuirsi alcun rilievo, ai fini del disposto sequestro per equivalente in relazione al mancato pagamento dell'IVA, alla istanza di ristrutturazione dei debiti ed alla sua pubblicazione nel registro delle imprese. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.