Incarica una ditta che gli smarrisce i dati informatici: non basta invocare la liquidazione equitativa del danno

La facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige due presupposti in primo luogo, che sia concretamente accertata l’ontologica esistenza di un danno risarcibile, prova il cui onere ricade sul danneggiato, e che non può essere assolto semplicemente dimostrando che l’illecito ha soppresso una cosa determinata, se non dimostri altresì che questa fosse suscettibile di valutazione economica in secondo luogo, il ricorso alla liquidazione equitativa esige che il giudice di merito abbia previamente accertato che l’impossibilità di una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettive, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l’entità del danno.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25912 del 19 novembre 2013. Il caso. Un imprenditore conveniva in giudizio una società esponendo di aver affidato a quest’ultima l’incarico di sostituire i calcolatori elettronici ed i relativi programmi installati, utilizzati per lo svolgimento della propria attività. Nell’esecuzione della prestazione il personale addetto aveva per imperizia causato la perdita di un cospicuo numero di disegni tecnici necessari all’imprenditore per l’espletamento della professione. Quest’ultimo chiedeva dunque, la condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti. Il giudice di prime cure rigettava la domanda, ma la Corte d’appello in riforma dell’impugnata sentenza, condannava la società al pagamento nei confronti dell’imprenditore di euro ventimila. La soccombente, insoddisfatta dell’esito del giudizio, proponeva ricorso per cassazione. Quando invocare l’art. 1226 c.c.? A dire dei ricorrenti il danneggiato non aveva mai provato nel giudizio di merito il concreto pregiudizio economico sofferto a causa della perdita dei dati informatizzati. Nel dettaglio, non era stata fornita la prova circa lo scopo ed il pregio dei disegni tecnici perduti. Sulla base di ciò il giudice non avrebbe mai potuto liquidare il relativo pregiudizio ai sensi dell’art. 1226 c.c. per due ordini di ragioni. In primo luogo tale norma non può essere invocata quando manchi qualsiasi parametro concreto per la valutazione del danno il secondo luogo perché la liquidazione equitativa non può sopperire ad una carente e colpevole allegazione di parte. I due presupposti della valutazione equitativa del danno In considerazione della suesposta doglianza mossa dalla società, la Suprema Corte si è soffermata sulla natura e sui presupposti dell’art. 1226 c.c. ossia sulla Valutazione equitativa del danno . I giudici di legittimità tornano a ribadire la doppia natura di questa previsione sussidiaria” e non sostitutiva”. Sussidiaria in quanto presuppone l’esistenza di un danno oggettivamente accertato e, infatti, attribuisce al giudice una facoltà di integrazione in via equitativa della prova semipiena circa l’ammontare del danno. Riveste inoltre natura non sostitutiva” perché ad essa non può farsi ricorso per sopperire alle carenze o decadenze istruttorie in cui le parti fossero incorse. In altri termini è consentito al giudice il ricorso alla liquidazione equitativa, in quanto sia stata previamente dimostrata l’esistenza certa, ovvero altamente verosimile, di un effettivo pregiudizio. Se diversamente l’esistenza di un effettivo pregiudizio è incerta, non può esserci spazio per l’invocabilità dell’art. 1226 c.c. e l’impossibilità di stimare il danno. La Corte di Cassazione inoltre si sofferma su un ulteriore presupposto per l’operatività dell’art. 1226 c.c. ovvero che l’impossibilità nella stima esatta del danno sia oggettiva ed incolpevole, cioè non dipendente dall’inerzia della parte gravata dall’onere della prova. Ne discende inevitabilmente che la liquidazione equitativa del danno costituisce un rimedio fondato sull’equità c.d. integrativa o suppletiva, cioè intesa non quale principio che si sostituisce alla norma di diritto nel caso concreto, ma quale principio che contempla la norma giuridica. Pertanto, si lederebbe la ratio dell’art. 1226 c.c. laddove si consentisse il ricorso allo stesso anche quando la stima del danno non sia impossibile, ma soltanto difficile. La rigorosa prova del danno subito. Nella fattispecie concreta i giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto che la perdita di dati informatizzati costituisse ex se un pregiudizio patrimoniale, senza previamente accertare se i disegni tecnici perduti fossero suscettibili o meno di valutazione economica. Sarebbe stato quindi necessario accertare se l’impossibilità di liquidazione del danno nel suo esatto ammontare fosse dipesa o meno da impossibilità oggettiva o negligenza della parte. Ciononostante la Corte territoriale ha ritenuto di procedere ugualmente alla stima equitativa, non rispettando alcuno dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1226 c.c. L’obbligo di motivazione del giudice di merito. Ad ogni modo la Suprema Corte, fermo restando la carenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1226 c.c., si sofferma su un ulteriore profilo ovvero sulla attività di accertamento e non di valutazione patrimoniale che spetta al giudice di merito con riguarda alla liquidazione del danno. Giunge pertanto ad affermare il principio di diritto secondo il quale il giudice deve dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della liquidazione, in ordine al quale egli deve considerare tutte le circostanze del caso concreto. In altri termini il giudice non può motivare la liquidazione equitativa semplicemente limitandosi alla pura e semplice indicazione dell’importo che ha ritenuto di attribuire alla parte danneggiata. In via conclusiva la Corte di Cassazione accoglie il ricorso proposto dalla società e rimette ad altra sezione della Corte d’appello la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 ottobre - 19 novembre 2013, n. 25912 Presidente Petti – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. Il sig. D F. , imprenditore individuale, nel 2003 convenne dinanzi al Tribunale di Monza la società Lantek Sistemi s.r.l., esponendo che a aveva affidato alla società Lantek Sistemi l'incarico di sostituire i calcolatori elettronici ed i programmi in essi installati, usati per lo svolgimento della propria attività b nell'esecuzione dell'incarico, il personale dalla Lantek Sistemi aveva per imperizia causato la perdita di un rilevante numero di dati, rappresentato da circa 3.500 disegni tecnici necessari al sig. D F. per l'esercizio dell'impresa. Chiedeva pertanto la condanna della Lantek Sistemi al risarcimento del danno patito in conseguenza del fatto sopra descritto. 1.1. Il Tribunale di Monza con sentenza 28.11.2005 n. 3229 rigettò la domanda, ritenendola non provata. 1.2. La Corte d'appello di Milano, adita dal sig. F.D. , con sentenza 26.6.2008 n. 113 successivamente emendata da un errore materiale con provvedimento del 30.1.2009 riformò la sentenza di primo grado, condannando la Lantek Sistemi al pagamento in favore del sig. D F. della somma di Euro 20.000, più il danno da mora e le spese di lite. 1.3. La sentenza d'appello viene ora impugnata per cassazione dalla Lantek Sistemi, sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso il sig. D F. . Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Sebbene il ricorrente abbia qualificato il proprio ricorso come fondato su un unico motivo, in realtà egli ascrive alla sentenza impugnata due diversi vizi sia la violazione di legge art. 360, n. 3, c.p.c , sia l'insufficiente motivazione art. 360, n. 5, c.p.c. . 1.2. Col primo motivo di ricorso la Lantek Sistemi lamenta, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione da parte della sentenza impugnata dell'art. 1226 c.c Osserva il ricorrente che il sig. D F. nel giudizio di merito non aveva né provato, né chiesto di provare, il concreto pregiudizio economico causatogli dalla perdita dei dati informatizzati. In particolare, nulla era stato dimostrato dall'originario attore circa il contenuto, lo scopo ed il pregio dei disegni tecnici della cui perdita la controparte si doleva. Il giudice di merito, pertanto, non avrebbe potuto liquidare il relativo pregiudizio ai sensi dell'art. 1226 c.c. sia perché tale norma non può essere invocata quando manchi qualsiasi parametro concreto per la valutazione del danno sia perché in ogni caso la liquidazione equitativa non può sopperire ad una carente e colpevole allegazione di parte così il quesito diritto conclusivo del motivo di ricorso, p. 7 di quest'ultimo . 1.3. La sentenza impugnata ha accolto l'appello del sig. F.D. con una motivazione così articolata a ha, innanzitutto, ritenuto impossibile raggiungere la prova riguardo all'ammontare del danno subito dal sig. F.D. , e ciò sul presupposto che le allegazioni [del danneggiato] si sono rivelate insufficienti b ha, di conseguenza, ritenuto applicabile la previsione di cui all'art. 1226 c.c., ricorrendo una ipotesi in cui il danno non può essere provato nel suo esatto ammontare c ha, quindi, liquidato il danno con la seguente motivazione ritenuto applicabile l'art. 1226 c.c., l'ammontare della perdita da risarcire va quantificata, ad avviso della Corte, nella somma di Euro 20.000, in valuta attuale omnicomprensiva , oltre il danno da mora. 1.4. Così statuendo, la decisione della Corte d'appello di Milano ha violato l'art. 1226 c.c., per averne fatto applicazione in difetto dei presupposti di legge, ovvero senza avere previamente accertato la sussistenza di questi ultimi. 1.5. L'art. 1226 c.c. rubricato valutazione equitativa del danno stabilisce che se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa . È opinione costante, comune e risalente della giurisprudenza e della dottrina che questa previsione abbia natura sussidiaria e non sostitutiva. La liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria, perché presuppone l'esistenza d'un danno oggettivamente accertato. Essa attribuisce al giudice di merito non già un potere arbitrario, ma una facoltà di integrazione in via equitativa della prova semipiena circa l'ammontare del danno. La liquidazione equitativa ha, poi, natura non sostitutiva, perché ad essa non può farsi ricorso per sopperire alle carenze o decadenze istruttorie in cui le parti fossero incorse tanto colpevoli quanto incolpevoli, sopperendo in quest'ultimo caso il rimedio della rimessione in termini, e non della liquidazione equitativa . 1.5.1. La natura integrativa dell'art. 1226 c.c. emerge dalla sua genesi storica. Il codice civile del 1865 non conteneva alcuna norma analoga al vigente art. 1226 c.c Nondimeno anche nella vigenza del primo codice postunitario la dottrina e la giurisprudenza avevano dovuto affrontare il problema dei danni di impossibile o difficile stima. Questo problema era stato risolto dalla prassi attraverso con la distinzione tra danni comuni e danni propri . Si definiva danno comune quello ordinariamente derivante da un fatto illecito o da un inadempimento di un certo tipo, secondo l' id quod plerumque accidit ad esempio, l'indisponibilità dell'immobile nel caso di ritardata restituzione da parte del conduttore danno proprio era invece definito il pregiudizio non generalizzabile, patito da quel singolo danneggiato in conseguenza di quel singolo fatto illecito od inadempimento . Da tale distinzione si faceva discendere il corollario che il danno proprio dovesse essere sempre dimostrato in modo rigoroso sulla base di una prova piena il danno comune invece potesse essere liquidato sulla base anche solo di un principio di prova della sua esistenza, in deroga al tradizionale principio della certezza del danno a posse ad esse non valet consequentia . La distinzione con l'andar del tempo si trasformò in massima tralatizia e di applicazione automatica, finendo per produrre vari inconvenienti. Il più grave di questi era che il giudice di merito, qualificando come danno comune un determinato pregiudizio, liquidava in assenza di prova danni la cui esistenza stessa, e non solo il cui ammontare, erano eventuali, ipotetici, supposti, immaginati. La dottrina dell'epoca cita sovente, al riguardo, il caso del notaio condannato a risarcire il danno asseritamente patito dal creditore in conseguenza della mancata iscrizione d'un atto costitutivo dell'ipoteca sull'immobile del debitore, in un caso in cui quel bene era già gravato da iscrizioni ipotecarie tali da assorbirne l'intero valore. Per rimediare a questo stato di cose, il codice del 1942 introdusse l'attuale art. 1226 c.c. corrispondente all'art. 56 del progetto del Libro delle obbligazioni , approvato con r.d. 30.1.1941-XIX , con il quale si volle a da un lato, accordare espressamente al giudice il potere di liquidazione equitativa del danno nel caso di impossibilità di una esatta stima di esso b dall'altro, consentire tale potere solo nei casi in cui l'esistenza del danno fosse indiscutibile, e discutibile fosse solo il suo ammontare. Questi principi sono chiaramente espressi nella relazione ministeriale al libro delle obbligazioni, ove si afferma ore rotundo che la liquidazione equitativa è consentita dall'art. 1226 c.c. solo per il danno di cui è sicura l'esistenza Relazione ministeriale alla maestà del Re Imperatore, Cap. XV, p.38, in fine . La genesi dell'art. 1226 c.c. svela dunque che primo ed indefettibile presupposto per il ricorso alla liquidazione equitativa è la dimostrata esistenza d'un danno certo, e non soltanto eventuale od ipotetico. La conclusione appena esposta è confermata dalla sintassi dell'art. 1226 c.c La norma è infatti costruita come un periodo ipotetico dell'eventualità, nel quale la protasi è l'impossibilità di provare il danno, e l'apodosi il ricorso al potere equitativo del giudice. È dunque evidente che in tanto è consentito al giudice il ricorso alla liquidazione equitativa, in quanto sia stata previamente dimostrata l'esistenza certa, ovvero altamente verosimile, d'un effettivo pregiudizio. È l'impossibilità di quantificare un danno certamente esistente che rende possibile il ricorso alla stima equitativa. Se, invece, è l'esistenza stessa d'un pregiudizio economico ad essere incerta, eventuale, possibile ma non probabile, spazio non v'è alcuno per l'invocabilità dell'art. 1226 c.c Questo principio costituisce da oltre cinquant'anni jus receptum nella giurisprudenza di legittimità a partire da, Sez. 3, Sentenza n. 1536 del 19/06/1962, secondo cui la salutazione equitativa del danno presuppone che questo, pur non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, sia certo nella sua esistenza ontologica nello stesso senso, ex plurimis , Sez. 2, Sentenza n. 838 del 03/04/1963 Sez. 3, Sentenza n. 1327 del 22/05/1963 Sez. 2, Sentenza n. 2125 del 16/10/1965 Sez. 3, Sentenza n. 1964 del 25/07/1967 Sez. 2, Sentenza n. 181 del 22/01/1974 Sez. 1, Sentenza n. 3418 del 23/10/1968 Sez. 3, Sentenza n. 3977 del 03/07/1982 Sez. 1, Sentenza n. 7896 del 30/05/2002 . Ne consegue che in tanto il giudice di merito può avvalersi del potere equitativo di liquidazione del danno, in quanto abbia previamente accertato che un danno esista, indicando le ragioni del proprio convincimento. Ciò vuoi dire che, nel caso di danno patrimoniale consistito nella distruzione di un bene, il ricorso alla liquidazione equitativa in tanto è ammissibile, in quanto sia certo per essere stato debitamente provato da chi si afferma danneggiato che la cosa distrutta avesse un concreto valore oggettivo, e non meramente d'affezione. 1.5.2. Il secondo presupposto per l'applicazione dell'art. 1226 c.c. è che l'impossibilità o la rilevante difficoltà nella stima esatta del danno sia a oggettiva, cioè positivamente riscontrata e non meramente supposta b incolpevole, cioè non dipendente dall'inerzia della parte gravata dall'onere della prova. La liquidazione equitativa del danno costituisce infatti un rimedio fondato sull'equità c.d. integrativa o suppletiva l'equità, cioè, intesa non quale principio che si sostituisce alla norma di diritto nel caso concreto, ma quale principio che completa la norma giuridica. L'equità integrativa costituisce, per l'opinione unanime della dottrina, uno strumento di equo contemperamento degli interessi delle parti, nei casi dubbi. Se dunque l'equità integrativa ha lo scopo di contemperare i contrapposti interessi, è evidente che essa fallirebbe del tutto il suo scopo, se vi si potesse fare ricorso anche quando la stima del danno sia non impossibile, ma soltanto difficile ovvero quando la stima del danno non siasi potuta compiere per la pigrizia od il mal talento delle parti o dei loro procuratori. In simili casi, infatti, non vi sono contrapposti interessi da contemperare, tutti egualmente meritevoli di tutela al contemperamento degli interessi si sostituisce qui l'applicazione rigorosa del principio di autoresponsabilità, in virtù del quale ciascuno deve subire le conseguenze giuridiche delle proprie azioni od omissioni. Qualsiasi diversa interpretazione dell'art. 1226 c.c. si porrebbe, a tacer d'altro, in contrasto col precetto costituzionale che garantisce la parità delle parti e la terzietà del giudice art. 111 Cost. sulla impossibilità che la liquidazione equitativa possa essere utilizzata per colmare lacune istruttorie imputabili alle parti si vedano, ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 10850 del 10/07/2003 Sez. 3, Sentenza n. 6056 del 16/06/1990 Sez. 3, Sentenza n. 3176 del 16/12/1963 . 1.6. Si applichino ora i principi appena esposti al caso di specie. 1.6.1. Affinché fosse rispettato il principio di sussidiarietà della liquidazione equitativa, la Corte d'appello avrebbe dovuto accertare in primo luogo l'esistenza oggettiva d'un danno risarcibile. Il danno risarcibile, per quanto già esposto, non si identifica con la perdita d'un bene, ma richiede la dimostrazione che il bene perduto fosse suscettibile di fornire una utilità economica, anche se di impossibile o difficile quantificazione. Nel caso di specie, invece, la Corte d'appello di Milano ha ritenuto che la perdita di dati informatizzati costituisca ex se un pregiudizio patrimoniale, senza previamente accertare - e comunque senza spiegare - se i dati perduti fossero attuali od obsoleti se avessero una concreta funzione operativa o fossero semplicemente dati d'archivio ormai inutili se fossero suscettibili di valutazione economica o meno se la loro mancanza abbia o meno rallentato o bloccato l'esercizio dell'attività d'impresa svolta dal danneggiato. 1.6.2. Affinché fosse rispettato il principio di non sostitutività della liquidazione equitativa sarebbe stato necessario accertare e motivare se l'impossibilità di liquidazione del danno nel suo esatto ammontare fosse dipesa o meno da impossibilità oggettiva o negligenza della parte. Nel caso di specie invece la Corte d'appello di Milano, dopo avere ammesso che in merito all'entità del danno le allegazioni [del danneggiato] si sono rivelate insufficienti , ha ritenuto di procedere ugualmente alla stima equitativa. Così facendo, però, ha fatto una applicazione erronea dell'art. 1226 c.c., ricorrendo alla liquidazione equitativa in un caso in cui parrebbe che l'impossibilità della prova del danno, per ammissione stessa della Corte d'appello, sia dipesa da una insufficiente allegazione del danneggiato. 1.6.3. In definitiva, la Corte d'appello di Milano non ha rispettato alcuno dei presupposti per l'applicazione dell'art. 1226 c.c., ad onta della loro secolare pacificità nella dottrina e nella giurisprudenza di questa Corte. Il primo motivo di ricorso deve quindi essere accolto, e la sentenza cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, la quale deciderà sulla domanda di risarcimento proposta dal sig. D F. attenendosi al seguente principio di diritto La facoltà per il giudice di liquidare in via equitativa il danno esige due presupposti in primo luogo, che sia concretamente accertata l'ontologica esistenza d'un danno risarcibile, prova il cui onere ricade sul danneggiato, e che non può essere assolto semplicemente dimostrando che l'illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si dimostri altresì che questa fosse suscettibile di vantazione economica in secondo luogo, il ricorso alla liquidazione equitativa esige che il giudice di merito abbia previamente accertato che l'impossibilità o l'estrema difficoltà d'una stima esatta del danno dipenda da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere l'entità del danno . 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo di ricorso la Lantek Sistemi censura la sentenza impugnata per avere adottato una motivazione carente. 2.2. Prima di esaminare il merito del motivo, questa Corte deve porsi d'ufficio la questione della sua ammissibilità, in quanto apparentemente non concluso dalla chiara indicazione del fatto controverso rispetto al quale si assume che la motivazione adottata sia stata carente ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis . Al quesito sull'ammissibilità del motivo deve tuttavia darsi risposta positiva. A pag. 7 del ricorso, 2^ e 3^ capoverso, si legge infatti laddove la Corte [d'appello] ha stabilito Euro 20.000 [di risarcimento] ben potevano essere 30.000 o 40.000, in quanto si tratta di dati assolutamente avulsi da ogni riferimento concreto. E sul punto deve rilevarsi . un vizio logico di motivazione della sentenza ecc. . Questo passo del ricorso, pur ponendosi all'estremo limite dell'ammissibilità, non lo travalica, per due ragioni. La prima ragione è che il fatto controverso è comunque indicato in un periodo sintatticamente e graficamente isolato, formante un unico capoverso laddove la Corte [d'appello] ha stabilito Euro 20.000 [di risarcimento] . Ed assurdo sarebbe sostenere che il fatto accertato dal giudice di merito, e cioè la stima del danno, espresso in questi termini non sia da ritenere chiaro . La seconda ragione è che le Sezioni Unite di questa Corte, più volte chiamate a stabilire in che modo andasse formulata l'indicazione del fatto controverso ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., hanno costantemente affermato che essa deve essere tale da circoscrivere puntualmente i limiti [del ricorso], in maniera da non ingenerare incertezze, né in sede di formulazione del ricorso, né in sede di salutazione della sua ammissibilità Sez. U, Sentenza n. 20603 del 01/10/2007 Sez. U, Ordinanza n. 21864 del 19/10/2007 Sez. U, Sentenza n. 7770 del 31/03/2009 non sarà inutile aggiungere che il medesimo concetto è chiaramente indicato nella relazione illustrativa del d.lgs. 15.2.2006 n. 40, che introdusse nel codice di rito l'art. 366 bis . Nel caso di specie, il secondo motivo di ricorso soddisfa tali requisiti esso si compone infatti di poche righe, e proprio la sua sinteticità e la sua concisione non consentono alcun dubbio circa l'individuazione del fatto controverso che il ricorrente ritiene non adeguatamente motivato dal giudice di merito. Tale fatto è rappresentato, senza possibilità di errore, dalla quantificazione nella somma di Euro 20.000 del danno liquidato al sig. F.D. . 2.3. Nel merito, anche il secondo motivo di ricorso è fondato. La liquidazione equitativa del danno, una volta che sia stata accertata l'esistenza dei presupposti di legge per potervi fare ricorso il che, per quanto detto, nel caso di specie non è avvenuto non può mai avere natura arbitraria. La liquidazione equitativa del danno non può mai avvenire a senso o per sensazione , ma esige che il giudice di merito affronti sempre e comunque i due snodi logici di qualsiasi giudizio di accertamento del danno la determinazione del danno e la sua conversione in denaro. 2.3.1. La determinazione del danno è una attività descrittiva, consistente nella ricognizione dell'esistenza del danno. Essa richiede al giudice un'attività di accertamento e non di valutazione patrimoniale. La determinazione, per quanto già esposto supra, p.1.5, è sottratta a qualsiasi giudizio equitativo. Essa deve essere compiuta in modo rigoroso e sulla base delle prove ritualmente dedotte. 2.3.2. La conversione del danno, come sopra determinato, in valori monetari richiede invece al giudice un giudizio, consistente nella comparazione tra il danno accertato ed un valore economico di riferimento. Questa, e solo questa, attività di valutazione può essere compiuta in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c Si è detto tuttavia che la valutazione equitativa è espressione dell'equità suppletiva che deve realizzare l'equo contemperamento degli interessi delle parti, e che non può essere utilizzata per sollevare una delle parti dall'onere della prova su essa incombente. È dunque evidente che il giudice il quale faccia ricorso alla liquidazione equitativa del danno deve dimostrare di avere osservato tali precetti, altrimenti la liquidazione equitativa sarebbe sottratta a qualsiasi controllo. Affinché dunque possa ritenersi controllabile il rispetto dei principi di sussidiarietà e non sostitutività della liquidazione equitativa, come sopra illustrati p.1.5 , è necessario che il giudice di merito indichi a di quali elementi di fatto abbia tenuto conto per liquidare il danno in via equitativa, descrivendoli analiticamente b in base a quali criteri abbia attribuito quel determinato valore economico agli elementi sub a . 2.3.3. La giurisprudenza di questa Corte di cassazione, nei sensi appena indicata, è unanime e pressoché sterminata. 2.3.3.1. Essa ha ripetutamente affermato che - il giudice del merito ha l'obbligo di motivare la liquidazione equitativa del danno indicando i criteri adoperati e gli elementi di fatto valorizzati, criteri ed elementi rispetto ai quali egli deve fornire la dimostrazione della loro attinenza alla liquidazione del danno Sez. 3, Sentenza n. 3191 del 14/02/2006 - il giudice del merito deve dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto al risultato finale della liquidazione, in ordine al quale deve egli considerare tutte le circostanze del caso concreto Sez. 3, Sentenza n. 20320 del 20/10/2005 - il giudice di merito quando compie la liquidazione equitativa deve dimostrare di avere tenuto presenti tutti gli elementi di fatto acquisiti al processo Sez. 3, Sentenza n. 9626 del 16/06/2003 - il giudice di merito, quando compie la liquidazione equitativa, deve indicare, sia pure sommariamente, i criteri adoperati, in modo da evitare che la decisione sia arbitraria e sottratta ad ogni controllo Sez. 3, Sentenza n. 752 del 23/01/2002 - la liquidazione equitativa del danno deve dare adeguatamente conto dell'uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito Sez. 3, Sentenza n. 8807 del 27/06/2001 - la liquidazione equitativa del danno non esonera il giudice dall'obbligo di dare conto di quali elementi della fattispecie concreta abbia tenuto conto nel decidere equitativamente Sez. 3, Sentenza n. 6426 del 09/05/2001 . 2.3.3.2. Scendendo dal piano dei principi a quello delle fattispecie, concrete, può essere utile ricordare a mero titolo d'esempio che, in applicazione dei criteri appena esposti a è stata ritenuta carente la motivazione con la quale il giudice di merito aveva liquidato un danno patrimoniale da perdita della capacità di guadagno con le seguenti parole il danno patrimoniale, valutato in via equitativa, tenendo conto delle chances di lavoro utilmente spendibili nei futuro, può liquidarsi in Euro 30.000 mentre il danno morale si determina in Euro 18.000 Sez. 3, Sentenza n. 3582 del 13/02/2013 b è stata ritenuta carente la motivazione con la quale il giudice di merito aveva liquidato un danno da diffamazione con le seguenti parole tenuto conto che la reputazione del [diffamato] era già compromessa, ecc. Sez. 3, Sentenza n. 3191 del 14/02/2006 c è stata ritenuta carente la motivazione con la quale il giudice di merito aveva liquidato un danno non patrimoniale subito dai familiari della vittima di un infortunio facendo automatico riferimento alla somma liquidata dall'ente previdenziale a titolo di indennizzo, senza motivare la corrispondenza di tale somma ad una liquidazione personalizzata del danno e senza distinguere la posizione dei vari familiari Sez. L, Sentenza n. 517 del 13/01/2006 d è stata ritenuta carente la motivazione con la quale il giudice di merito aveva liquidato un danno da usurpazione del marchio limitandosi ad affermare che la condotta accertata era potenzialmente produttiva di danno, e che sussistevano elementi di orientamento certi e sicuri per un giudizio equitativo , pervenendo in tal modo a quantificare il danno in £ 4.000.000 Sez. 1, Sentenza n. 7896 del 30/05/2002 e è stata ritenuta carente la motivazione con la quale il giudice di merito aveva liquidato un danno limitandosi alla pura e semplice indicazione dell'importo che ha ritenuto di attribuire alla [parte] danneggiata, trascurando del tutto di menzionare gli elementi di fatto ed i criteri che per tale liquidazione ha ritenuto di assumere in considerazione Sez. 3, Sentenza n. 6426 del 09/05/2001 l'enfasi è aggiunta per segnalare l'identità tra la fattispecie oggi all'esame della Corte, e quella decisa dalla sentenza appena ricordata . 2.4. È giunto dunque il momento di comparare il contenuto dell'obbligo motivazionale gravante sul giudice di merito che proceda alla liquidazione equitativa, per come delineato dal diritto vivente, con il contenuto della motivazione impugnata. 2.4.1. Si è visto come per questa Corte di cassazione il giudice di merito deve a indicare le circostanze di fatto delle quali ha tenuto conto b indicare i criteri economici adottati per la valutazione c indicare il processo logico seguito, in modo che la sua decisione sia controllabile. Si è visto altresì come in nessun caso il giudice di merito possa motivare la liquidazione equitativa semplicemente limitandosi alla pura e semplice indicazione dell'importo che ha ritenuto di attribuire alla [parte] danneggiata Sez. 3, Sentenza n. 6426 del 09/05/2001, cit. . 2.4.2. Nel caso di specie, non uno di tali criteri è stato rispettato dalla Corte d'appello di Milano. La sentenza impugnata, infatti, si è limitata a motivare la propria decisione con un responso quasi oracolare ritenuto applicabile l'art. 1226 c.c., l'ammontare della perdita da risarcire va quantifica [sic], ad avviso della Corte, nella somma di Euro 20.000 . Quella che precede è dunque non già una motivazione carente, ma una motivazione del tutto omessa, tale da rasentare addirittura la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c In essa infatti non si espongono né le circostanze di fatto prese in esame, né il parametro economico di riferimento adottato per il giudizio di conversione del danno in denaro supra, p.2.3.2 , né il criterio logico seguito. Anche sotto questo profilo, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, la quale provvederà - una volta accertata la effettiva sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 1226 c.c., come indicati al p.1.6.3 - a dare adeguato conto e ragione dei fatti valutati e dei criteri adottati per la monetizzazione del risarcimento. 3. Le spese. Le spese del giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. la Corte di cassazione, visto l'art. 383, comma primo, c.p.c. - accoglie il ricorso - cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Milano - rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.