Varco utilizzato per fini non autorizzati: la porta sbatte in faccia ai due coniugi

Apertura del varco autorizzata dal proprietario per assolvere obblighi assistenziali, ma in concreto utilizzata al fine di un abusivo impossessamento del bene la Cassazione sbatte la porta in faccia agli autori dello spoglio.

E’ quanto emerge dalla sentenza numero 2728/2013, depositata il 5 febbraio. Il caso. Una signora chiedeva di essere reintegrata nel possesso di un orto-giardino che aveva in precedenza donato, in corrispettivo di assistenza e con riserva di usufrutto in suo favore, a due coniugi. Secondo la donna ricorrente, i due l’avevano privata del possesso anche aprendo un varco con apposizione di una porta in ferro per accedere dalla loro confinante abitazione in detto orto. Al termine del giudizio di primo grado, veniva riconosciuto alla donna la reintegra, 300 euro a titolo di risarcimento danni e 200 euro per le spese occorrenti ai fini del ripristino dello stato dei luoghi e delle piante esistenti. Tuttavia, il riconoscimento di queste ultime 200 euro, e l’ordine di murare il varco, non vengono confermate dalla Corte di appello. Una porta per entrare nel giardino della vicina. I giudici territoriali, con il parziale accoglimento delle doglianze dei due coniugi, hanno chiarito che lo spoglio non era stato determinato dall’apertura del varco, ma dal fatto che gli appellanti lo avevano utilizzato per un fine diverso da quello per cui era stato autorizzato finalità assistenziali . Con l’eliminazione della porta verrebbe compromesso il puntuale e tempestivo assolvimento degli obblighi assistenziali? A ricorrere per cassazione, quindi, è la stessa signora, la quale sottolinea che il varco nel muro adiacente al proprio fondo «costituiva, di per sé, atto di spoglio». La Corte di Cassazione, sul punto, ritiene fondato il ricorso. In particolare, rileva che «l’esecuzione di un’opera cui l’autore dello spoglio, per rendere in favore di quest’ultima una data prestazione personale, ma in concreto utilizzata al fine di un abusivo impossessamento del bene appartenente a chi ha autorizzato l’opera stessa, rientra nella condotta attuativa dello spoglio». Ricorso accolto dunque, e porta chiusa.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 dicembre 2012 – 5 febbraio 2013, numero 2728 Presidente Oddo – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con ricorso 20.6.95 N.M.F. adiva il Pretore di Solopaca chiedendo di essere reintegrata nel possesso di un orto-giardino, sito in omissis , in precedenza da lei donato con atto per Notar Cusani del 29.4.92 in corrispettivo di assistenza e con riserva di usufrutto in suo favore, ai coniugi P.A. e V.G.A. . Assumeva che questi ultimi l'avevano privata del possesso anche aprendo un varco con apposizione di una porta in ferro per accedere dalla loro confinante abitazione in detto orto-giardino. Si costituiva il P. assumendo di essere divenuto possessore dell'orto in questione dopo il rogito Cusani del 29.4.92, avendo la N. implicitamente rinunciato, quale usufruttuaria, al possesso dell'immobile stesso. Con sentenza 30.12.02 il Tribunale di Benevento, ritenuto irrilevante accertare l'autorizzazione all'apertura del varco, essendo essa, ove effettivamente rilasciata, finalizzata unicamente all'adempimento degli obblighi assistenziali dei coniugi P. , accoglieva la domanda confermando il provvedimento interdittale di reintegra e condannando i resistenti al risarcimento dei danni, liquidati equitativamente in Euro 300,00 quanto alla mancata raccolta dei frutti durante i sei anni dello spoglio, ed in Euro 200,00, quanto alle spese occorrenti ai fini del ripristino dello stato dei luoghi e della piante esistenti. Avverso tale sentenza proponevano appello P.A. e V.G.A. chiedendo il rigetto della domanda di reintegra e di risarcimento danni ed, in subordine, la eliminazione dal provvedimento di reintegra dell'ordine di murare la porta di accesso all'orto. Si costituiva l'appellata chiedendo il rigetto del gravame. Con sentenza depositata in data 11.7.2005 la Corte di Appello di Napoli, in parziale accoglimento dell'appello, escludeva dal provvedimento di reintegra l'ordine di murare il varco in questione e dichiarava non dovuto l'importo di Euro 200,00, liquidato, a titolo di risarcimento, per i ripristino dello stato dei luoghi e delle piante esistenti dichiarava compensate tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio ponendo a carico degli appellanti la residua metà. Osservava la Corte di merito, per quanto ancora interessa il presente giudizio di legittimità, che i coniugi P. -V. avevano attuato lo spoglio mutando in possesso la detenzione che essi avevano dell'orto della N. rilevava, peraltro, che lo spoglio , nei sui profili fattuali, non era stato determinato dall'apertura del varco ma dal fatto è che gli appellanti lo avevano utilizzato per un fine diverso da quello per cui era stato autorizzato dalla N. finalità assistenziale sicché, ai fini reintegrativi, era sufficiente l'inibizione del suo inappropriato utilizzo e non l'eliminazione di un'opera avente diversa giustificazione. Osservava, inoltre, il giudice di appello che, in difetto di prova del danno rinveniente dalla asserita estirpazione di piante e dalla modifica dello stato dei luoghi,non era dovuto il risarcimento per tali voci di danno, liquidato dal Tribunale in Euro 200,00. Per la cassazione di detta sentenza propone ricorso N.M.F. formulando tre motivi. Resistono con controricorso P.A. e V.G.A. . Motivi della decisione La ricorrente deduce 1 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in ordine alla esclusione dell'ordine di muratura del varco oggetto di causa l'apertura da parte dei coniugi resistenti del varco nel muro adiacente al fondo della ricorrente, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, costituiva, di per sé, atto di spoglio oltre che strumento per la perpetrazione di ulteriori atti di spoglio come denunciati la Corte di merito, pur avendo affermato che gli autori dello spoglio avevano illegittimamente utilizzato il varco in quanto di fatto deputato per rendere possibile l'indisturbato ed esclusivo possesso dell'orto , si era limitata ad inibirne solo l'illegittimo utilizzo affermando che, con l'eliminazione della porta di accesso in questione, veniva ad essere compromesso il puntuale e tempestivo assolvimento degli obblighi assistenziali assunti dagli autori dello spoglio nei confronti della N. con l'atto del 29.4.92 tale argomentazione, in quanto rapportata a detta finalità assistenziale, non escludeva la condotta illegittima per il diverso fine attuato dai resistenti 2 la Corte territoriale aveva disatteso il risarcimento per il ripristino dello stato dei luoghi e delle piante esistenti per difetto di prova del danno derivante dalle opere e dalle estirpazioni poste in essere dagli autori dello spoglio, non considerando che il possessore di un bene ha diritto di essere risarcito dei danni insiti in qualsi-voglia modifica abusiva apportata all'immobile oggetto dello spoglio 3 dall'accoglimento del ricorso derivava, secondo il principio della soccombenza, un diverso regime delle spese processuali anche dei precedenti gradi di giudizio, da addebitarsi integralmente ai resistenti. Il primo motivo è fondato. La motivazione della Corte territoriale sulla mancata estensione dello “spoglio” all'apertura del varco utilizzato dai coniugi P. - V. , per impossessarsi abusivamente dell'orto giardino della N. , è illogica e contraddittoria, sul piano concettuale, quanto alla esatta individuazione della condotta realizzatrice dello spoglio. Al riguardo va rilevato che l'esecuzione di un'opera cui l'autore dello spoglio sia stato preventivamente autorizzata dalla persona che ha subito lo spoglio,per rendere in favore di quest'ultima una data prestazione personale, ma in concreto utilizzata al fine di un abusivo impossessamento del bene appartenente a chi ha autorizzato l'opera stessa,rientra nella condotta attuativa dello spoglio. Il ripristino della situazione di fatto preesistente alla condotta stessa comporta,infatti, l'eliminazione dell'opera che, quale mezzo strettamente connesso alla realizzazione dell'impossessamento, deve ritenersi non più autorizzata. Sul punto va evidenziato che per individuare e valutare la portata ed i limiti dell'obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, è necessario che il giudice di merito faccia un raffronto fra la situazione di fatto successiva alla modificazione dei luoghi che ha determinato lo spoglio e quella preesistente da ripristinare. Nella specie è pacifico che la N. avesse acconsentito all'apertura del varco di accesso nel proprio orto-giardino, unicamente al fine di agevolare l'adempimento, nei propri confronti, degli obblighi assistenziali assunti dai coniugi autori dello spoglio, ma non a consentire la presa di possesso dell'orto , come pure affermato nella sentenza impugnata sicché detta originaria autorizzazione non valeva più a legittimare la permanenza del varco. Del resto l'azione promossa dalla N. per essere reintegrata nel possesso implicava, di per sé, il venir meno della pregressa ragione giustificatrice dell'autorizzazione all'apertura del varco,come pure logicamente desumibile dalla tutela possessoria invocata dalla ricorrente, estesa alla eliminazione di detta opera in quanto idonea a consentire la prosecuzione di un accesso nel suo orto attraverso la modifica dello stato dei luoghi, costituita proprio dall'apertura del varco. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, per decidere nel merito sulla doglianza in esame, ex articolo 384 c.p.c., va accolto il primo motivo di ricorso e rigettato l'appello avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva disposto la chiusura del varco. Il secondo motivo è inammissibile in quanto generico rispetto alle ragioni della decisione con cui la Corte d'appello, con adeguata motivazione,ha escluso la condanna al pagamento di Euro 200,00 per il danno conseguente al ripristino dello stato dei luoghi, affermando, con apprezzamento in fatto, che non era provata l'estirpazione di piante vitali e che il vialetto realizzato non mirava a sottrarre aree alla coltivazione. La terza censura sulle spese processuali è del pari inammissibile in quanto astrattamente ed ipoteticamente rapportata alla cassazione della sentenza. Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese processuali del secondo grado di giudizio e quelle del presente giudizio di legittimità, avuto riguardo all'esito finale della controversia ed alla divergente statuizione in primo ed in secondo grado sulla questione oggetto del primo motivo di ricorso. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e decidendo nel merito rigetta l'appello avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva disposto la chiusura del varco dichiara inammissibile il secondo ed il terzo motivo compensa fra le parti le spese di secondo grado e del giudizio di legittimità.