Confermata in toto la sanzione comminata alla donna 8 mesi di reclusione. Decisivo è l’addebito della negligenza consistita nel non aver alzato le sponde del letto. Inutile il richiamo al rifiuto opposto dal paziente, facilmente superabile, e al comportamento tenuto dagli operatori sanitari nei turni precedenti.
Principio intangibile i diritti del paziente. Ma, alle volte, è necessario travalicare quei diritti, ignorare i desiderata del paziente, se davvero si vuole garantirne la sicurezza. Preferibile, in determinate situazioni, operare in maniera rigida, rispettando pedissequamente i propri doveri. Altrimenti i rischi, non solo per il paziente, diventano altissimi Cassazione, sentenza numero 21285, Quarta Sezione Penale, depositata oggi . Caduta fatale. Episodio tragico in un ospedale italiano un uomo, ricoverato nella struttura di Terapia intensiva coronarica, cade dal proprio letto, e, a distanza di qualche minuto, esala l’ultimo respiro. Fatale la caduta, resa agevole dalla omissione addebitata alla infermiera operativa in quelle ore, ossia non aver provveduto alla «apposizione delle sponde al letto del paziente». Questa omissione costa carissimo all’infermiera, che viene ritenuta colpevole, sia in primo che in secondo grado, di «omicidio colposo», e condannata a 8 mesi di reclusione. Per i giudici di Appello, in particolare, la «apposizione delle sponde» – «intervento non cruento e non invasivo, atto ad evitare, o comunque a diminuire fortemente, il rischio di cadute» – non effettuata dall’infermiera va valutata come «omissione connotata da elevatissima negligenza, in violazione di un chiaro obbligo di protezione gravante sul personale infermieristico del nosocomio a salvaguardia del rischio di caduta cui il paziente si trovò concretamente esposto», come «comprovato dalle condizioni di disorientamento, di agitazione e di confusione mentale» del paziente. Colpevole negligenza. E tale ottica, negativa per l’infermiera, viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali confermano la condanna per «omicidio colposo». Respinta in maniera netta la linea difensiva proposta dal legale della donna, il quale si è richiamato alle già «precarie condizioni del paziente» e, soprattutto, alle «responsabilità degli operatori sanitari» in servizio nei «turni precedenti» a quello in cui si è verificata, purtroppo, la tragica caduta. Di fronte a tali osservazioni, difatti, la presa in esame del comportamento di altri operatori sanitari non avrebbe comunque potuto portare all’«esclusione» o alla «limitazione» della «colpevolezza» della infermiera, responsabile della «mancata apposizione delle sponde al letto del paziente». Ciò perché ella «era tenuta ad adottare la suddetta misura volta ad evitare il verificarsi di eventi accidentali, peraltro ampiamente prevedibili». E rispetto a questo quadro, aggiungono i giudici, non è plausibile il riferimento al «rifiuto opposto dal paziente», perché «facilmente e doverosamente superabile richiedendo l’intervento del medico di guardia». Evidenti, quindi, la «elevatissima neglienza», la «notevole gravità del reato» e il «rilevantissimo grado di colpa» confermata in toto, così, la condanna nei confronti dell’infermiera per «omicidio colposo».
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 febbraio – 17 maggio 2013, numero 21285 Presidente Brusco – Relatore Casella Ritenuto in fatto La Corte d’appello di Roma, con sentenza 7 dicembre 2011 parzialmente riformava - limitatamente al trattamento sanzionatorio rideterminato in aumento, in accoglimento dell’appello incidentale del P.M. - la sentenza emessa il 4 febbraio 2010 dal Tribunale di Roma nei confronti di V.S. - dichiarata responsabile del delitto di cui agli articolo 40, cpv., 113, 589 cod. penumero commesso in data 30 luglio 2004 in danno di O.M. affetto da varie patologie e degente nell’unità di terapia intensiva coronarica dell’Ospedale San Camillo - Forlanini, ove l’imputata prestava servizio in qualità di infermiera - confermandone l’affermazione di colpevolezza. Si era invero acclarato, in conformità all’avviso espresso dai consulenti dei P.M., che il grave trauma contusivo riportato dall’Occhioni nel cadere dal letto ad ore 2,30 dei 20 luglio 2004, fu la principale causa del decesso del paziente. La Corte d’appello, condividendo la motivazione della sentenza di primo grado, ha ritenuto, in conformità alla contestazione, la mancata apposizione delle sponde al letto del paziente quale intervento non cruento e non invasivo atto ad evitare oo comunque a diminuire fortemente il rischio di cadute cui l’imputata non aveva provveduto nel corso del turno di servizio prestato a partire dalle ore 21 dei 19 luglio 2004, una omissione connotata da elevatissima negligenza, in violazione di un chiaro obbligo di protezione gravante sul personale infermieristico del nosocomio a salvaguardia dei rischio di caduta cui il paziente si trovò concretamente esposto, come comprovato dalle condizioni di disorientamento, di agitazione e di confusione mentale, documentate dal diario infermieristico, a partire dal 15 luglio e ribadite alle ore 6 dello stesso giorno dell’incidente. Propone ricorso per cassazione la V., per tramite dei difensore articolando tre distinti motivi, così sintetizzati. Con il primo, lamenta il difetto di motivazione in ordine alla statuizione di rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, avanzata con l’atto d’appello al fine di accertare i comportamenti degli altri infermieri in servizio nel turni precedenti a quello dell’imputata, visto che fin dal 15 luglio 2004 il diario infermieristico conteneva annotazioni sulle precarie condizioni del paziente che avrebbero dovuto allarmare tutti gli operatori sanitari, di guisa da pervenire all’esclusione o quantomeno all’attenuazione di ogni responsabilità dell’imputata stessa. Con la seconda e la terza doglianza, da trattarsi congiuntamente riferendosi motivazionale ed il vizio di violazione di legge della sentenza d’appello laddove, in accoglimento dell’appello incidentale del P.M., si era proceduto a rideterminare in aumento la pena irrogata in primo grado, in violazione di criteri di ragionevolezza e di uguaglianza a fronte del trattamento sanzionatorio applicato al coimputato D.L., per avere la Corte d’appello esclusivamente tenuto conto, a differenza dei Giudice di prime cure, della gravità del reato e del danno cagionato ai congiunti della vittima, trascurando invece di considerare le concorrenti responsabilità degli altri operatori sanitari, in servizio nei turni precedenti. Conclude per l’annullamento della Impugnata sentenza. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità. In ordine alla prima doglianza, dedotta, osserva il Collegio che la Corte d’appello ha ineccepibilmente motivato il diniego della parziale rinnovazione del dibattimento, richiesta dall’appellante “al fine di verificare la sussistenza di eventuali responsabilità in capo ad altri componenti del personale infermieristica” sul rilievo, da un lato, dell’esaustività dell’affermazione di colpevolezza cui era pervenuto il Giudice di prime cure e, dall’altro, della sostanziale inutilità di un siffatto accertamento che di certo non avrebbe condotto all’esclusione od alla limitazione della colpevolezza della imputata che, all’inizio dei turno di servizio ad ore 21 del 19 luglio 2004, constatata la mancata apposizione delle sponde al letto del paziente concretamente esposto al rischio di cadere dal letto, per le condizioni di abnorme agitazione e di disorientamento documentate dalle ripetute e conformi annotazioni riportate nel diario infermieristica era tenuta, in nome dell’obbligo di protezione su di lei gravante in ragione delle mansioni esercitate è quindi della posizione di garanzia rivestita ad adottare la suddetta misura “volta ad evitare il verificarsi di eventi accidentali, peraltro ampiamente prevedibili”, non potendo costei giovarsi del rifiuto opposto dal paziente, facilmente e. doverosamente superabile richiedendo l’intervento del medico di Guardia. Egualmente infondate risultano la seconda e la terza censura in ordine alla rideterminazione in aumento della pena. La Corte d’appello, in legittima e coerente osservanza del disposto dell’articolo 133 cod.penumero ha ineccepibilmente motivato sul punto in ragion dell’ “elevatissima negligenza”, della “notevole gravità del reato” nonché dei “rilevantissimo grado della colpa” notazioni valutative del comportamento della prevenuta e delle conseguenze del reato scommesso, specie donde la legittima applicazione, con le già concesse attenuanti generiche, della pena di mesi OTTO di reclusione, ritenuta di giustizia. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente cfr. Corte Costituzionale sent. numero 186 dei 7-13 giugno 2000 al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare, in euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.