Salva la posizione del direttore dei lavori, mentre alla ditta è addebitata la colpa per aver acquistato le lastre per il solaio da una cava non autorizzata. Legittimo anche il provvedimento che obbliga la ditta a restituire ai proprietari dell’abitazione i soldi impiegati per azzerare i vizi e riportare la struttura alla condizione ex novo.
È considerato, da sempre, un sogno da coronare – oggi più che mai complicato –, ma, spesso, ai progetti e alle aspettative fanno seguito sorprese poco piacevoli vedere finalmente realizzata la propria casa, difatti, può avere uno strano sapore, agrodolce Ad esempio, una volta messo piede dentro il proprio ‘nido’, ci si può ritrovare a ‘scoprire’ vizi e difetti difficili da sopportare. E a risponderne deve essere l’impresa che ha realizzato la costruzione, a maggior ragione se ha scelto materiali di qualità non accettabile Cassazione, ordinanza numero 19309/2012, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Piove A richiamare l’attenzione di una coppia, in casa, sono le infiltrazioni e l’umidità che arrivano dal terrazzo. I coniugi, costretti a naso in su, fanno i conti dei danni, e cercano un colpevole Indiziati principali, a loro avviso, sono la società appaltatrice e l’architetto che ha diretto i lavori. Visione corretta? Parzialmente, secondo i giudici d’Appello, che, riformando la pronunzia di primo grado, condannano la società a restituire ai coniugi oltre 20mila euro come «differenza tra quanto ricevuto e il minor valore dell’opera eseguita difettosamente», ma ‘salvano’ il direttore dei lavori. Risparmio a caro prezzo. Ma la pronunzia di secondo grado viene contestata dalla ditta che ha provveduto alla costruzione della casa. Appiglio decisivo è, secondo il legale che difende la società, il fatto che, ragionando sui «difetti nel materiale di copertura del solaio», sia stata esclusa la «responsabilità del direttore dei lavori» perché era «da escludere la possibilità, per qualunque professionista, di valutare preventivamente la resa delle lastre poi in concreto poste in opera» come dedurre, allora, la responsabilità della ditta per i «difetti del materiale»? Secondo i giudici di Cassazione, però, è diversa l’ottica da applicare, perché la società «non si trovava a lavorare su un materiale scelto da altri» e quindi «doveva rispondere, quale forma di rischio imprenditoriale, della scelta di acquistare le lastre da una cava non certificata». Ragionando per estremi, la scelta di puntare ad economizzare i costi e massimizzare i guadagni comporta anche la possibilità di pagarne le conseguenze, a livello di portafogli, per i «vizi riscontrati nell’opera». E, a questo proposito, trova fondamento anche «la decurtazione del corrispettivo di tutte le opere emendative dei danni cagionati dalla esecuzione non a regola d’arte» – opere realizzate a spese dei coniugi –, decurtazione legata anche alla considerazione che «l’appalto ebbe ad oggetto la costruzione ex novo dell’abitazione». Per i giudici, quindi, è legittima, e da confermare, la pronunzia di secondo grado, soprattutto perché «il costo ripristinatorio doveva necessariamente comprendere anche tutte le opere dirette ad eliminare gli effetti delle infiltrazioni» e finalizzate «a riportare l’opus oggetto di appalto al momento della consegna e del contestuale pagamento».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 24 ottobre – 8 novembre 2012, numero 19309 Presidente Goldoni – Relatore Bianchini In fatto ed in diritto I coniugi S.T. e M.C.F., dopo aver adito il Pretore di Maglie in sede di accertamento tecnico preventivo in merito all’entità e le cause di infiltrazioni di acqua provenienti dal terrazzo della loro abitazione, costruita dalla snc EDI.CA Costruzioni di A.C. & amp C., su progetto e sotto la direzione di lavori dell’architetto R.A., evocarono le predette parti innanzi al Tribunale di Lecce per sentir condannare la società appaltatrice all’eliminazione dei difetti riscontrati o, in via subordinata, alla riduzione del corrispettivo dell’appalto ed alla condanna della medesima società alla restituzione della differenza che fosse risultata pagata in eccesso chiesero altresì che entrambi i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni subiti. La società si costituì, contrastando la domanda con l’eccepire la decadenza dalla denunzia dei vizi o, in subordine, l’insussistenza dei presupposti per attivare la propria responsabilità ciò sia adducendo di aver scrupolosamente eseguito le istruzioni del direttore dei lavori sia perché il materiale di riferimento fornito e posto in opera a cagione delle cui caratteristiche si sarebbero verificate le infiltrazioni era risultato esente da difetti. L’architetto A., dal canto proprio, sostenne l’inammissibilità e l’infondatezza della domanda. L’adito Tribunale accolse l’eccezione di decadenza dall’azione di garanzia, dichiarando l’inammissibilità della domanda degli attori, condannandoli al ristoro delle spese di lite. La Corte di Appello di Lecce accolse invece il gravame dei coniugi T. che nel frattempo avevano fatto eseguire le opere necessarie ad eliminare gli inconvenienti lamentati, facendo così venir meno l’interesse alla domanda ripristinatoria condannando la società appaltatrice a restituire € 22.633,20 oltre rivalutazione e interessi, quale differenza tra quanto ricevuto ed il minor valore dell’opera eseguita difettosamente respinse la domanda contro l’A. Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la società EDI.CA sulla base di due motivi i T./F. hanno resistito con controricorso l’A. non ha svolto difese. Il consigliere designato ha depositato una proposta di definizione del ricorso in camera di consiglio ex articolo 380 bis cpc del seguente tenore “I Con il primo motivo viene dedotto un vizio di motivazione per non aver, la Corte salentina, argomentato in merito alla impossibilità per essa appaltatrice, di riscontrare difetti nel materiale di copertura del solaio cianche di pietra di Cursi, vale a dire lastre in pietra leccese- parte ricorrente rileva in proposito che il consulente tecnico nominato nel giudizio di primo grado aveva escluso la responsabilità del direttore dei lavori in quanto premessa la normale idoneità del tipo di materiale a fungere da rivestimento anche impermeabilizzante del tetto, e constatata la pessima qualità di quello posto in opera aveva affermato che sarebbe stata da escludere la possibilità per qualunque professionista di valutare preventivamente la resa delle lastre poi in concreto poste in opera sostiene per contro la ricorrente che le differenti conclusioni alle quali era pervenuta la Corte di Appello, nel giudicare sulla responsabilità di essa appaltatrice assumendo che avrebbe dovuto comunque rispondere dei difetti del materiale avrebbero comportato l’affermazione contraddittoria rispetto alle premesse argomentative dalle quali era partita di una propria responsabilità oggettiva. Il motivo, a giudizio del relatore, è manifestamente infondato. I/a -Va invero sottolineato che la contraddittorietà della motivazione sussiste solo ove il giudice del merito, traendo le conclusioni da alcune premesse, non sia stato coerente nel suo iter logico tale giudizio di incongruenza però agisce all’interna di una specifica fattispecie e non può essere formulato laddove le premesse dell’argomentazione si riferiscano ad una fattispecie diversa. I/b Nel concreto la Corte di Appello ha ritenuto esente da colpa il progettista, direttore dei lavori, in quanto ha giudicato che lo stesso non poteva accorgersi, al momento della posa in opera della copertura in lastre di pietra leccese, della inidoneità del materiale acquistato dall’appaltatrice il metro di giudizio dunque della diligenza nell’espletamento dell’incarico professionale era determinato per quello che qui conserva interesse dalla vigilanza sulla corretta fornitura e posa in opera di materiale appartenente ad una categoria merceologica ben precisa e non macroscopicamente affetto da difetti che l’avessero reso inidoneo allo scopo di fornire un’efficace impermeabilizzazione. I/c Stante la caratteristica della responsabilità professionale del direttore dei lavori, allora la pur dedotta difficoltà di valutazione di idoneità di impossibilità non parla neppure il CTU del materiale si poneva in modo tutt’affatto diverso per la società appaltatrice la quale non si trovava a lavorare su un materiale scelto da altri ma da lei medesima con l’ulteriore conseguenza che essa doveva rispondere quale forma di rischio imprenditoriale della scelta di acquistare le lastre da una cava non certificata. I/d Conferma l’assunto anche il fatto che nella fattispecie non è in questione una responsabilità obiettiva, vale a dire senza colpa, bensì una responsabilità che trae origine, come detto, da una specifica condotta negligente in termini di scelta del materiale del resto poi la ricorrente, non ha dimostrato e, per quanto risulta dall’esposizione del fatto contenuta nel ricorso neppure ha fatto valere nei precedenti gradi di giudizio l’esistenza di una impossibilità di adempimento alla specifica obbligazione di fornire materiale idoneo allo scopo, così da render applicabile il principio secondo il quale la colpa dell’appaltatore per i vizi riscontrati nell’opera consegnata forma oggetto di una presunzione sino a prova contraria cfr. Cass. Sez. II, numero 21269/2009 Cass. Sez. II, numero 5632/2002 Cass. Sez. II numero 14124/2000 . II Con il secondo motivo la parte ricorrente denunzia in via subordinata al rigetto della censura che precede la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1668 cod. civ. in relazione alle risultanze della CTU espletata in primo grado, laddove la Corte distrettuale avrebbe calcolato, nel computo del diminuito valore della costruzione oggetto di appalto, opere eccedenti quelle strettamente necessarie per eliminare le difformità del materiale che, secondo la ricorrente, sarebbero consistite nei soli lavori di svellimento e di ripristino del lastricato solare . II/a Il convincimento del relatore che il motivo sia manifestamente infondato. II/b Invero la decurtazione dall’ammontare del corrispettivo di tutte le opere emendative dei danni cagionati dalla esecuzione non a regola d’arte dell’opera, giustificata dal fatto che l’appalto ebbe ad oggetto la costruzione ex novo dell’abitazione del contro ricorrenti, così che il costo ripristinatorio doveva necessariamente comprendere anche tutte le opere dirette ad eliminare gli effetti delle già intervenute infiltrazioni al fine di riportare l’opus oggetto di appalto al momento della consegna e del contestuale pagamento. II/c Identificato così il nesso tra opere emendative ed il minor valore dell’opera appena consegnata viene superato il problema peraltro logicamente implicato nell’impostazione difensiva del mezzo in esame ma non compiutamente analizzato nel ricorso della differenza tra risarcimento del danno comunque chiesto al punto 5 delle conclusioni dell’appello e diminuzione del corrispettivo dovuto in relazione ai vizi dell’opera, di cui all’articolo 1668, I comma, cod. civ. II/d Ne deriva allora che la Corte territoriale, con motivazione che si è rifatta in gran parte ai risultati raggiunti dal consulente tecnico di ufficio, non è incorsa in una violazione della succitata norma assumendone confini applicativi diversi da quelli identificati dalla comune interpretazione come neppure in una falsa applicazione della medesima sussumendo erroneamente la fattispecie concreta in quella astratta . III Ove si ritengano condivisibili i sopra indicati rilievi, la causa va rinviata all’adunanza in camera di consiglio per sentir dichiarare il ricorso manifestamente infondato.” La relazione è stata ritualmente comunicata alle parti costituite che hanno fatto pervenire memorie il P.G. ha concluso in conformità alla relazione. 1 Il Collegio condivide la relazione le critiche alla medesima contenute nella memoria depositata a’ sensi dell’articolo 380 bis cpc non apportano elementi di valutazione che possano inficiare l’impianto argomentativo ivi esposto in particolare l’insistere nel giudizio che il CTU diede della non percepibilità della scarsa qualità del materiale non coglie la differenza, messa in luce nella relazione, tra la responsabilità del direttore dei lavori e quella dell’appaltatrice che, approvvigionandosi presso una cava non certificata, con ciò si accollò il rischio imprenditoriale e la conseguente responsabilità ex articolo 1669 cod. civ. che il materiale che avrebbe posto in esecuzione potesse non avere le caratteristiche di impermeabilizzabilità sue tipiche. 2 Del rutto inesplorato nella ricordata memoria poi rimane il segmento argomentativo della indicata relazione laddove viene messo in evidenza il rapporto tra l’oggetto dell’appalto costruzione di un edificio di civile abitazione e quindi non già solo la impermeabilizzazione del terrazzo di copertura e l’incidenza che le opere emendative avrebbero avuto sul corrispettivo spettante all’appaltatrice 3 Il ricorso va pertanto rigettato, con onere di spese a carico della soccombente società, nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento, liquidandole in € 3.200,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.