Nell’ipotesi di risoluzione del contratto preliminare per causa imputabile esclusivamente al promissario acquirente, il promittente venditore ha diritto, oltre al risarcimento del danno patrimoniale, al risarcimento del danno non patrimoniale di natura esistenziale, derivante dalla impossibilità – in mancanza di stipula del contratto definitivo – di realizzare il proprio progetto di vita abitativa.
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Tivoli riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale ‘di natura esistenziale’ in favore del promittente venditore nell’ipotesi di risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento imputabile esclusivamente al promissario acquirente. In merito all’imputabilità dell’inadempimento. Prima, però, di esaminare la tipologia di danno riconosciuto nella fattispecie in esame, appare opportuno soffermarsi, seppur brevemente, sulla imputabilità dell’inadempimento nella vicenda per la quale è stato instaurato il giudizio. Il Tribunale di Tivoli, infatti, ha riscontrato una ipotesi di «comportamento colpevole ed inadempiente del convenuto», in quanto il promissario acquirente a ha rifiutato, in modo del tutto ingiustificato, la proposta del promittente venditore – avendo quest’ultimo eliminato, a seguito della stipula del contratto preliminare, i vizi di natura amministrativa ostativi all’alienazione dell’immobile – di stipulare il contratto definitivo ad un prezzo inferiore rispetto a quello originariamente pattuito b ha proposto una deminutio del prezzo pattuito nel contratto preliminare sproporzionata e del tutto ingiustificata c ha realizzato, senza autorizzazione alcuna da parte del proprietario, opere abusive nell’immobile nel cui possesso, a quanto si legge in sentenza, era stata immesso al momento della stipula del contratto preliminare , che non ne permettono la commercializzazione d non si è adoperato, collaborando, quindi, con il promittente venditore, per la regolarizzazione delle opere abusive di cui alla lett. c . E’, quindi, evidente la gravità dell’inadempimento posto in essere dal promissario acquirente dalla quale deriva la risoluzione del contratto ex articolo 1455 c.c Per una maggior completezza espositiva, è opportuno precisare che, come ha avuto modo di affermare anche la più recente giurisprudenza di legittimità occupatasi della materia Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2011 numero 26842 , la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Le conseguenze risarcitorie dell’inadempimento del promissario acquirente. Passando ora all’esame del risarcimento del danno riconosciuto nella sentenza in esame, esso costituisce una conseguenza diretta della dichiarazione di risoluzione del contratto ottenuta dal promittente venditore. L’articolo 1453, comma 1, c.c. statuisce, infatti, che «nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno». Nella fattispecie in esame, il Tribunale di Tivoli ha riconosciuto, in favore del promittente venditore, il risarcimento sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale ‘di natura esistenziale’. Secondo il Tribunale laziale il risarcimento del danno patrimoniale deriverebbe dall’occupazione dell’immobile da parte del promissario acquirente, il quale, come si è detto è stato immesso nel possesso del bene al momento della stipula del contratto preliminare. La pronunzia in esame, quindi, si pone nel solco tracciato dalla Corte di Cassazione, sez. II, con sentenza del 21 novembre 2011 numero 24510, con la quale il Supremo Collegio, chiamato ad affrontare una fattispecie analoga a quella in esame, ha affermato «il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all'atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l'obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, è tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l'occupazione dell'immobile si configuri come sine titulo. Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell'immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all'intera durata dell'occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale». Per quanto, invece, concerne il risarcimento del danno non patrimoniale ‘di natura esistenziale’, con la sentenza in esame il Tribunale di Tivoli ha preso in considerazione, anche nell’ambito della responsabilità contrattuale ex articolo 1218 c.c., le ricadute nella vita del creditore non suscettibili di valutazione economica, ravvisando il danno de quo nella «impossibilità – in mancanza di stipula del definitivo – di realizzare il progetto di vita abitativa». Circostanza che l’Autorità Giudiziaria occupatasi della fattispecie in esame ritiene dimostrabile per presunzioni e, comunque, in re ipsa.
Tribunale di Tivoli, sez. Civile, sentenza 12 – 14 marzo 2012, numero 258 Giudice Alessio Liberati Fatto e diritto Preliminarmente occorre dare atto che essendo pendente il procedimento alla data del 4.7.2009 si applica al presente giudizio l’articolo 132 cod. proc. civ. introdotto a partire da quella data con la recentissima riforma del processo civile L.18.6.2009 n° 69 , articolo in virtù del quale nella sentenza non è più riportato lo svolgimento del processo e devono essere esposte concisamente le ragioni di fatto e di diritto della decisione, trattandosi di norma di immediata applicazione anche ai giudizi instaurati in data anteriore. Giova solo precisare al fine della decisione che il convenuto, costituitosi solo nella udienza di precisazione delle conclusioni, ancorché ritualmente intimato, è decaduto da ogni produzione probatoria, come eccepito anche da parte attrice. La controversia ha ad oggetto l’immobile sito in P. S., distinto al catasto al F. , p.lla , sub , con annesso ripostiglio, distinto in catasto al F. , p.lla ed il terreno circostante della superficie complessiva di mq 9466, distinto al catasto Fg. , p.lle . A seguito della stipula del contratto preliminare il promissario acquirente, oggi convenuto, è stato immesso nel possesso del bene, come da accordi in calce al contratto preliminare stesso. Senza autorizzazioni e permessi ha realizzato nuove opere sul manufatto tale circostanza è rimasta incontestata ed è oggetto di denuncia-querela allegata in atti . Nelle more della stipula del definitivo il promissario acquirente ha sollevato una serie di contestazioni, relative alla consistenza dell’immobile ed all’esistenza di una tettoia abusiva destinata a ricovero di due automobili. A fronte di tali circostanze il promissario acquirente ha preteso una riduzione di euro 60.000,00 dal prezzo pattuito di euro 210.000,00 ed ha rifiutato di concludere il definitivo a seguito della disponibilità del proprietario promittente a regolarizzare la situazione, mediante demolizione della tettoia, e della decurtazione del prezzo pari al valore agricolo dell’area erroneamente indicata di maggiore ampiezza quantificato in 5.000,00 euro . Ritiene il giudice che il ricorso di parte attrice sia fondato e meriti accoglimento, nella parte in cui chiede dichiararsi la risoluzione del contratto per colpa del convenuto, l’ordine di demolizione delle opere costruite dal convenuto sull’immobile nelle more della stipula del definitivo senza autorizzazione e la condanna del convenuto al risarcimento del danno, nei limiti che seguono. Deve innanzitutto precisarsi che l’immobile, al momento della stipula del preliminare, non era commerciabile, in quanto gravato da abusi edilizi. A tale situazione l’attore ha posto rimedio con l’ottenimento dei necessari permessi in sanatoria. Allo stato, tuttavia, in ragione della circostanza, non contestata, che il convenuto avrebbe realizzato ulteriori lavori edili, avendo occupato il bene, senza alcun permesso, la situazione di non commerciabilità del bene sussiste ancora. È pertanto da escludere la possibilità di addivenire alla stipula di un contratto definitivo ed il contratto deve essere risolto per comportamento colpevole ed inadempiente del convenuto. A tale conclusione si addiviene considerando una serie di circostanze. Innanzitutto il fatto che il convenuto, anche a fronte della ragionevole proposta dell’attore di concludere il definitivo, avendo eliminato i vizi amministrativi che ne precludevano la cessione e ad un prezzo inferiore pari alla deminutio del valore agricolo della superficie erroneamente indicata nel contratto in quanto era stata computata nella superficie del terreno circostante anche la metratura occupata dall’immobile, calcolata sia come fabbricato e corte, che come terreno agricolo , ha rifiutato tale soluzione, pretendendo una diminuzione di prezzo pari ad euro 60.000,00. In secondo luogo non può tenersi conto della sproporzione stessa di tale richiesta extragiudiziale del convenuto 60.000,00 euro e della mancata collaborazione alla ricerca di una soluzione, tenuto conto della agevole risolvibilità degli aspetti amministrativi la tettoia poteva essere facilmente sostituita con altra, non fissata stabilmente al terreno e come tale non necessitante di titolo edilizio, e sono comunque intervenute pratiche di sanatoria e dello scarso valore dell’area agricola circostante, erroneamente indicata come di dimensione maggiore. Ancora, assume rilievo la realizzazione abusiva di opere senza DIA o permesso, per come emerge da circostanza non contestata ed oggetto anche di denuncia da parte degli attori da parte del convenuto stesso, circostanza che tradisce un reale intento di lucrare sulle pregresse irregolarità, piuttosto che la volontà di avere un immobile esente da vizi. Infine, il convenuto avrebbe potuto chiedere la restituzione del doppio della caparra, come gli sarebbe spettata ex lege, scelta che però non ha preso in considerazione, così come non si è adoperato – collaborando con l’attore – per regolarizzare la situazione. Per queste ragioni deve dichiararsi il convenuto G. M. colpevole inadempimento all’obbligo di concludere il contratto definitivo, con conseguente risoluzione del contratto per sua colpa e condanna al risarcimento dei danni ed alla rimborso dovuto alla occupazione abusiva. A tal proposito parte attrice ha rinunciato alla CTU richiesta in precedenza, chiedendo una valutazione equitativa del danno da occupazione. Considerando il tempo trascorso la data di stipula del definitivo era prevista per il 30 maggio 2008 , ritiene equo il giudice considerare la somma di euro 12.000,00 sino alla data odierna. Ne consegue anche che il convenuto dovrà rilasciare quanto prima l’immobile occupato, venendo prima l’accordo accessorio al preliminare relativo all’anticipato possesso. Sussiste anche un danno non patrimoniale, di natura esistenziale, cagionato agli attori a causa della impossibilità – in mancanza di stipula del definitivo – di realizzare il proprio progetto di vita abitativa, circostanza che deve ritenersi presunta, ragione per la quale non è stata ammessa la prova per testi. Giova rammentare che il lungo percorso giurisprudenziale che ha portato alla unificazione dei danni non patrimoniali, superando via via le più rigide limitazioni della più datata giurisprudenza, non ha affatto eliminato il danno esistenziale dai danni risarcibili, ma ne ha semplicemente unificato la “categoria” ermeneutica. Ciò non esclude, tuttavia, che al proprio interno le singole voci di danni siano diversificate, aspetto che si riflette sul regime probatorio e quantificatorio. Nel caso di specie è ovvio che non si tratta di danno biologico in senso stretto, non venendo in considerazione la lesione alla salute, né di danno morale, non essendo in giuoco la sofferenza patita dai venditori. Si tratta, a ben vedere, di un danno legato agli aspetti esistenziali dell’inadempimento contrattuale, come tale dimostrabile anche per presunzioni o intrinseco nella tipologia del danno. Sul punto, è stato ormai chiarito che una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme sul danno porta ad individuare con certezza la fonte del danno non patrimoniale anche nell’articolo 1218 c.c. oltre che nell’articolo 2058 c.c. . Del resto, se l’articolo 1321 c.c. prevede che il contratto è il negozio giuridico con il quale le parti costituiscono, regolano o estinguono tra di loro rapporti giuridici patrimoniali, è altrettanto vero che l'articolo 1174 c. c. sottolinea che l'interesse che il creditore deduce in obbligazione può essere di natura non patrimoniale. Ciò vuol dire che la mancata corrispondenza tra quanto il debitore fa o non fa e quanto il debitore avrebbe dovuto fare o non fare , in base al contratto, può riverberarsi su momenti della vita del creditore non suscettibili di valutazione economica. Ne consegue che una volta individuato il riferimento normativo all’articolo 1218 c.c. si palesa sufficiente provare – ai fini del nesso causale – l’avvenuto colposo inadempimento all’impegno preso con il contratto preliminare ex articolo 1351 c.c. Ritenuto dunque provato il danno non patrimoniale da inadempimento, quanto alla determinazione della somma, ritiene il giudice di dover adottare un criterio equitativo ragionato, che tenga conto della durata, della intensità e della rilevanza nella vita quotidiana dei soggetti danneggiati. Sul punto è dimostrato che la mancata corresponsione del denaro ha costretto i promittenti a trovare una diversa soluzione abitativa, sin dal 2008. Per tali ragioni, il giudice ritiene equo quantificare il danno non patrimoniale, coma sopra specificato, nella somma di euro 10.000,00 tenuto conto dell’evidente disagio derivato agli attori dal colpevole rifiuto di stipulare il definitivo. Il convenuto va altresì condannato alla rimessione in pristino del bene a proprie spese, per quanto concerne le opere realizzate, medio tempore, sull’immobile, senza autorizzazione dell’attore e presumibilmente senza permessi per i quali è necessario l’assenso del titolare del diritto dominicale , peraltro con la consapevolezza dei problemi legati alla regolarità del contratto e, quindi, al dubbio esito della operazione. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella forma indicata in dispositivo. Per questi motivi Il Tribunale di Tivoli, in persona del giudice unico Alessio Liberati, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ogni altra istanza respinta, così provvede Dichiara risolto per inadempimento del sig. G. M. il contratto preliminare del 12 febbraio 2008 avente ad oggetto l’immobile sito in P. S., distinto al catasto al F. , p.lla , sub , con annesso ripostiglio, distinto in catasto al F. , p.lla ed il terreno circostante della superficie complessiva di mq 9466, distinto al catasto Fg. , p.lle e stipulato con R. G. e C. G. Condanna G. M. al risarcimento del danno non patrimoniale pari ad euro 10.000,00 in favore di R. G. e C. G. Condanna G. M. a corrispondere a R. G. e C. G. la somma di euro 12.000,00 a titolo di occupazione dell’immobile sino alla data odierna. condanna G. M. alla rifusione delle spese di questa fase di giudizio in favore di parte attrice determinate in E 500,00 per rimborso spese, E 2.000,00 per diritti ed E 3.000,00 per onorario, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 12,50%.