In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, nei confronti dell’amministratore apparente cosiddetta “testa di legno” non trova automatica applicazione la presunzione di dolosa sottrazione dei beni dell’impresa fallita, atteso che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore “di fatto”.
La responsabilità dell’amministratore apparente La pronuncia in esame Corte di Cassazione, sentenza numero 11649, depositata il 27 marzo 2012 richiama una fondamentale distinzione circa i criteri di imputazione della bancarotta fraudolenta patrimoniale, da un lato, e di quella documentale dall’altro, riconducibili alla figura dell’amministratore apparente cioè in concreto privo di poteri gestori dell’impresa . In generale, occorre ricordare che l’amministratore in carica risponde penalmente dei reati commessi dall’amministratore di fatto, dal punto di vista oggettivo, ai sensi dell’articolo 40, comma 2, c.p., per non avere impedito l’evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire ai sensi dell’articolo 2392 c.c Tale norma civilistica riflette infatti un obbligo di portata generalissima, attinente sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza, vigilando sul generale andamento della gestione societaria e, quindi, adempiendo ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali di informazione. Ne consegue che l’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto espone questi alle conseguenze penali derivate dalla condotta fraudolenta dell’amministratore di fatto. In altri termini, è penalmente responsabile l’amministratore in carica che, violando l’obbligo di vigilare e quello di attivarsi per impedire atti pregiudizievoli per i soci, i creditori ed i terzi, abbia consentito che altri commettessero fatti di bancarotta. non può essere presunta in caso di bancarotta per distrazione. Diversamente, dal punto di vista soggettivo, affinché l’amministratore di diritto possa essere ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, occorre che sia raggiunta la prova che egli aveva la generica consapevolezza delle distrazioni, degli occultamenti, delle dissimulazioni e dissipazioni dei beni sociali effettuate dall’amministratore effettivo, sfociate in esposizioni o riconoscimenti di passività inesistenti. La sentenza in commento risulta particolarmente interessante, nella parte in cui ribadisce che tale consapevolezza non può essere semplicemente desunta dal fatto che il soggetto abbia acconsentito a ricoprire la carica di amministratore Cass. penumero 31142/09 . Pertanto, a sommesso avviso di chi scrive, non può condividersi l’orientamento giurisprudenziale Cass. penumero 7208/06 per il quale la “testa di legno”, che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, possa essere ritenuta responsabile di bancarotta per distrazione sulla base della sola consapevolezza che, dalla propria condotta omissiva, possono scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico o l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Invero, la valenza di tale principio cede ove consti che l’amministratore apparente sia rimasto estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri. Del resto, una lettura siffatta appare senz’altro maggiormente rispondente al principio di personalità della responsabilità penale articolo 27, comma 1, Cost. ed alla conseguente necessità di garantire la maggiore effettività della fattispecie penale d’impresa, con l’ulteriore e non trascurabile conseguenza di prevedere e punire il reato in capo a chi effettivamente lo ha commesso. Ed in caso di bancarotta fraudolenta documentale? La giurisprudenza della Suprema Corte è altrettanto ferma nel prevedere la responsabilità penale dell’amministratore di diritto per il reato di bancarotta documentale, atteso il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le scritture contabili. Invero, a parere di chi scrive, sul punto appare doverosa una precisazione. L’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’articolo 216, comma 1, numero 2, della legge fallimentare, richiede il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, o di recare pregiudizi ai creditori. Al fine di ravvisare la responsabilità dell'amministratore di diritto, pertanto, è necessaria la consapevolezza della sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture contabili, ovvero della loro tenuta in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari, e la sua mancata attivazione al fine di impedire il compimento delle relative condotte. Ne consegue che, ove non sia raggiunta la piena prova di tale consapevolezza, l’amministratore di diritto potrebbe al più considerarsi responsabile del solo reato previsto dall'articolo 217, comma 2, della legge fallimentare, sotto il profilo della bancarotta documentale di tipo “semplice”, concretizzata dalla mera omissione della tenuta delle scritture contabili.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 gennaio – 27 marzo 2012, numero 11649 Presidente Marasca – Relatore Sabeone Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 3 novembre 2010, ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Palermo del 21 maggio 2008 mantenendo ferma la condanna di S.G. , quale amministratore di fatto della ditta C. dichiarata fallita il OMISSIS , per il solo reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta a la nullità della sentenza per aver utilizzato elementi probatori irrituali, in particolare la dichiarazioni del fallito rese al Curatore, nonché in contrasto con i precetti costituzionali del giusto processo b la illogicità manifesta della motivazione in merito all'accertamento della penale responsabilità sulla base della qualifica di amministratore di fatto c la illogicità della motivazione sul punto della sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell'ascritto reato d la mancanza di motivazione in merito alla mancata concessione dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 2. Pretestuoso è il primo motivo in quanto nell'atto di appello sostanzialmente non si contesta l'attività distrattiva. Si legge, invero, nell'impugnata sentenza come l'acquisto al patrimonio della società decotta dei beni indicati nel capo d'imputazione ed oggetto dell'attività distrattiva non sia stato contestato nell'atto di appello per cui, in ossequio alla pacifica giurisprudenza di questa Corte v. da ultimo, Cass. Sez. V 17 giugno 2010 numero 35882 , il mancato rinvenimento di tali beni da parte degli organi fallimentari costituisce prova della distrazione stessa, non avendo neppure l'imputato evidenziato né chiesto di evidenziare una diversa destinazione dei beni. Neppure può parlarsi, nella specie, di affermazione della penale responsabilità sulla base delle sole dichiarazioni autoaccusatorie posto che soltanto la coimputata C. era stata sentita, ai sensi dell'articolo 15 della L. Fall., dal Giudice Delegato, mentre la relazione del Curatore fallimentare conteneva, a sua volta, dichiarazioni dell'odierno ricorrente e risulta acquisita al dibattimento e quindi sottoposta al rituale esame della difesa che nulla ha detto in proposito. A fondare la responsabilità penale dell'odierno ricorrente vi era, altresì, la documentazione citata nella decisione di prime cure. Nessuna violazione di precetti costituzionali appare, quindi, sussistere. 3. Anche il secondo motivo del ricorso, relativo alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto, è infondato ai fini dell'affermazione della penale responsabilità della ricorrente. La giurisprudenza di questa Sezione della Corte v. 11 gennaio 2008 numero 7203 e da ultimo 19 febbraio 2010 numero 19049 ha formulato una distinzione in tema di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta evidenziando il diverso atteggiarsi dei criteri di imputazione di quella patrimoniale e di quella documentale, sotto il profilo soggettivo quando l'amministratore di diritto non sia anche quello effettivo ma risulti affiancato dalla figura dell'amministratore di fatto, eventualmente con esautorazione dei poteri del primo che per questo viene comunemente definito testa di legno . Ebbene, si è opportunamente affermato che, con riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ovvero per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formai mente dell'amministrazione dell'impresa fallita cosiddetto testa di legno , atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture. Non altrettanto può dirsi con riguardo all'ipotesi della bancarotta patrimoniale o per distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell'amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittimi la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto. Ovviamente, per la figura dell'amministratore di fatto, accertata in riferimento alla posizione dell'odierno ricorrente, vale il principio della assoluta equiparazione alla figura dell'amministratore di diritto quanto a doveri, sicché si è rilevato che l'amministratore di fatto , in base alla disciplina dettata dal novellato articolo 2639 c.c., è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall'articolo 40, comma 2 c.p 4. Ai limiti dell'inammissibilità è il terzo motivo del ricorso. In fatto, questa volta, i Giudici del merito hanno dato logicamente conto dell'attività posta in essere dall'imputato ai fini del compimento dell'attività distratti va, posta in essere e sulla base di un'attività probatoria ritualmente assunta come dianzi espresso. Una nuova e diversa lettura delle risultanze processuali non è, però, consentita avanti questa Corte di legittimità di fronte alla logica motivazione dei Giudici del merito. 5. La mancata concessione dell'attenuante di cui all'articolo 219, comma 3 della L. Fall., appare implicitamente motivata nell'impugnata sentenza sia per essere stata la relativa richiesta generica sia per essere stata la relativa valutazione già contemplata nella quantificazione complessiva della pena ai sensi dell'articolo 133 cod.penumero . 6. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato, altresì, al pagamento delle spese processuali. P.T.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.