Il proprietario che – in assenza ed all’insaputa dell’inquilino – si introduca nell’immobile al fine di mostrarlo a terzi interessati alla locazione, può rispondere di furto in abitazione.
Il caso. L’imputato, proprietario di un appartamento locato, si introduce – senza l’autorizzazione del conduttore – all’interno dell’immobile, al fine di offrirlo in locazione a terzi soggetti. Il Gup di Lecce emette sentenza di non luogo a procedere, con la formula «perché il fatto non costituisce reato», non ravvisando nella condotta del soggetto attivo gli estremi del reato contestato dall’Ufficio di Procura, ovvero «furto in abitazione» ex articolo 624 bis c.p., non essendovi stati sottrazione ed impossessamento dei beni mobili presenti all’interno dell’appartamento, avendo l’imputato solo spostato gli stessi. Ricorreva per Cassazione il Pm, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’articolo 425 c.p.p In particolare, osservava l’organo requirente, sulla scorta di tale previsione codicistica, la sentenza di proscioglimento avrebbe potuto essere emessa solo nel caso – non verificatosi nella fattispecie de qua – di acclarata evidenza sulla insussistenza del fatto e solo sulla scorta di un giudizio prognostico di immutabilità del quadro probatorio. È necessario verificare la configurazione degli elementi tipici del delitto. Ferma restando l’indebita introduzione da parte dell’imputato in un edificio destinato a privata dimora, e nulla quaestio circa l’altruità delle cose mobili ivi presenti, ciò che rileva chiarire è se risultano configurati tutti gli elementi tipici, oggettivi e soggettivi, del delitto de quo. In effetti, giova precisare come, quanto alla condotta tipica, è necessario che sussistano – oltre, appunto, alla illegittima introduzione ed alla altruità dei beni – ulteriori due elementi oggettivi, ovvero la sottrazione e l’impossessamento. La sottrazione coincide con la privazione della disponibilità materiale della cosa nei confronti della vittima è, cioè, quella condotta che determina la fuoriuscita del bene dalla signoria di fatto del legittimo possessore. L’impossessamento, invece, è rappresentato da quella attività ulteriore che consiste nella acquisizione dell’autonoma disponibilità della cosa da parte del soggetto attivo ed è, ictu oculi, chiaramente susseguente all’attività di sottrazione altrimenti detto, allo spossessamento – cioè alla sottrazione – dovrà necessariamente seguire un nuovo impossessamento. Per ciò che concerne, inoltre, l’elemento soggettivo del reato, è importante sottolineare come la fattispecie delittuosa de qua richiede la sussistenza, in capo al soggetto agente, di un dolo generico, caratterizzato dalla volontà afferente la sottrazione e l’impossessamento, accompagnata dalla consapevolezza relativa sia alla altruità del bene che all’assenza di consenso da parte del soggetto passivo – oltre, ovviamente, ad un dolo specifico quanto alla finalità di trarre profitto per se o per altri dalla condotta illecita. Infine, è utile precisare come il momento consumativo del delitto di cui all’articolo 624 bis c.p., potrà essere ravvisato – a seconda dell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale che si assumerà corretto – o all’atto della semplice sottrazione o, diversamente, all’effettivo impossessamento del bene mobile. Pertanto, anche a voler ritenere configurato il solo tentativo del reato, occorrerà comunque la concreta attuazione di atti idonei e diretti in modo inequivoco a realizzare, quantomeno, la condotta di sottrazione. La sentenza di non luogo a procedere emessa in assenza di alcuni degli elementi tipici del reato è illogica? La Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 7321/12 depositata il 24 febbraio scorso, ha deciso di annullare la sentenza di non luogo a procedere illo tempore emessa del GIP di Lecce, ritenendola viziata da illogicità. I Supremi Giudici, infatti, hanno affermato l’illiceità – nei termini del delitto contestato – della condotta del proprietario dell’immobile che, senza il consenso ed all’insaputa del conduttore, si introduce nell’appartamento al fine di offrirlo in locazione a terzi. Invero, giova precisare come la decisione del Giudice territoriale, che ha ritenuto di non ravvisare gli elementi tipici del delitto contestato, risulta essere suffragata da autorevole dottrina, secondo cui l’ingresso del soggetto attivo presso la privata dimora altrui, sicuramente illegittimo, di per se stesso, sic et simpliciter, non consente l’emissione del decreto che dispone il giudizio quando non accompagnato dalle connotazioni oggettive e soggettive tipiche della ipotesi delittuosa di cui all’articolo 624 bis. Ciò in quanto la situazione di innocenza dell’imputato, quantomeno per il reato specificamente contestato, è tale da apparire insuperabile in dibattimento, anche sulla scorta di ulteriori ed eventuali acquisizioni probatorie, le quali, qualora sussistenti, sarebbero comunque inidonee a configurare compiutamente il delitto de quo, neppure a livello di mero tentativo di reato.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 2 – 24 febbraio 2012, numero 7321 Presidente cosentino – Relatore Di Marzio Osserva 1. Con il provvedimento in epigrafe il GIP del Tribunale di Lecce ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di M.A. in ordine al reato previsto dall'articolo 624 bis c.p. perché il fatto non costituisce reato. Ricorre il Procuratore della Repubblica contestando violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione per contraddittorietà ed illogicità avendo il giudice escluso la rilevanza penale del fatto - consistito nell'ingresso dell'imputato nell'appartamento di sua proprietà, ma locato alla parte offesa nel mentre era assente, impossessandosi di beni della stessa - sull'illogico rilievo che non vi sarebbe stato impossessamento di beni ma mero spostamento degli stessi per apparecchiare l'immobile per l'uso di terze persone come sarebbe dimostrato da alcune fotografie degli stessi depositate dall'imputato con ciò violando il disposto dell'articolo 425 c.p.p. che stabilisce la sentenza di proscioglimento solo quale esito dell'acclarata evidenza sulla insussistenza del reato. 2. Questa Corte ha ripetutamente chiarito cfr., da ultime, Cass., sez. II, 14.5.2010, numero 28743, rv. 247860 Cass., sez. II, 13.10.2011, numero 1711 che all'udienza preliminare deve riconoscersi natura processuale e non di merito, non essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il legislatore a disegnare e strutturare l'udienza preliminare quale oggi si presenta, all'esito dell'evoluzione legislativa registrata al riguardo, e nonostante l'ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova. Scopo dell'udienza preliminare è quello di evitare dibattimenti inutili, e non già quello - profondamente diverso - di accertare la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato. Pertanto il giudice dell'udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell'imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall'acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito. L'assunto vale anche per l'evenienza, prevista dall'articolo 425 c.p.p., comma 3, che gli elementi acquisiti risultino insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio. Il criterio di valutazione per il giudice dell'udienza preliminare non è infatti l'innocenza, bensì - dunque, pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere, tali nell'eventualità del dibattimento - l'impossibilità di sostentare l'accusa in giudizio. In conclusione, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere solo sulla base di un giudizio prognostico di immutabilità del quadro probatorio nella successiva fase del dibattimento, per effetto dell'acquisizione di nuove prove o di una diversa rivalutazione degli elementi in atti, nonché quando le fonti di prova non si prestino a soluzioni alternative e aperte Sez. 6^, 3 luglio 2008, numero 35178, P.M. in proc. Brunetti, Sez. 6^, 16 novembre 2001, numero 45275, Acampora . Il provvedimento ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., pur motivato sommariamente, assume natura di sentenza solo perché la valutazione. dopo il contraddittorio svolto in udienza preliminare è difforme da quella del pubblico ministero, ed implica assunzione del giudice della scelta d'inibire allo stato l'esercizio dell'azione penale contro l'imputato, salvo potenziale revoca. Pertanto, a fronte del ricorso, va tenuto in conto che il controllo di questa Corte sulla sentenza non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal P.M., bensì solo la giustificazione resa dal giudice nel valutarli. Ma se tanto è vero, benché la legge non operi riserva del ricorso alla violazione di legge , a fronte di prevista motivazione sommaria d'inidoneità degli elementi acquisiti per l'accusa in giudizio, il giudice di legittimità non ha concreta possibilità, men che dovere, di verificare il puntuale rispetto dei parametri di cui all'articolo 192 c.p.p È in questi termini che il controllo di motivazione risponde ai principi dell'ordinamento che vuole il giudice soggetto solo alla legge articolo 101 Cost., comma 2 , e limita il ricorso per cassazione contro i provvedimenti giurisdizionali alla sola violazione di legge articolo 111 Cost., comma 7 . L'articolo 192 c.p.p., difatti, indica il metro d'induzione probatoria nella resa puntuale di conto dei risultati acquisiti, cioè elementi di prova verificati certi, e dei criteri adottati. E, se si tratta di indizi, questi devono essere dimostrati innanzitutto inconfutati gravi , quindi di valenza univoca precisi e concordi. E non si vede come questo disposto, relativo alla motivazione di convincimento intorno ad accertamento svolto in termini di potenziale condanna, si possa conciliare con quella di un convincimento esclusivamente prognostico negativo di tale condanna, che si riassume in una valutazione di inidoneità dell'accusa. Pertanto, l'unico controllo ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. d ed e consentito in sede di legittimità della motivazione della decisione negativa del processo, qual è la sentenza di non luogo a procedere , concerne la riconoscibilità del criterio prognostico adottato nella valutazione d'insieme degli elementi acquisiti dal pubblico ministero. Diversamente si giunge ad attribuire al giudice di legittimità un compito in effetti di merito, in quanto anticipatorio delle valutazioni sulla prova da assumere. E tal cosa si pone in contraddizione insanabile con la possibilità di revoca della sentenza da parte dello stesso giudice per le indagini preliminari, sopravvenute o scoperte nuove fonti di prova da combinare eventualmente con quelle già valutate articolo 434 c.p.p. - In altri termini, paradossalmente, questa Corte potrebbe pregiudicare l'esito di un eventuale giudizio Cass., sez. 5, 13/02/2008. numero 14253 Rv. 23949 . In applicazione di questi principi, deve rilevarsi come il GIP sia caduto in evidenti illogicità nel qualificare la vicenda come penalisticamente irrilevante, essendo evidente che in pendenza di un rapporto locativo il proprietario dell'immobile non può - nemmeno sotto il profilo penale -legittimamente introdursi nello stesso senza il consenso e all'insaputa dell'inquilino, offrendolo a terzi ed essendo non meno evidente che per escludere l'evenienza del furto perpetrato da detto proprietario e avente a oggetto beni dell'inquilino custoditi nell'appartamento non possa in alcun modo bastare una foto di detti beni esibita al giudice dall'imputato. 3. Ne discende l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, con trasmissione degli atti al Tribunale di Lecce per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Lecce per l'ulteriore corso.