In tema di sequestro conservativo, nel concetto di beni mobili ed immobili dell’imputato contenuto nell’articolo 316 c.p.p. non rileva la loro formale intestazione, ma che l’imputato ne abbia la disponibilità “uti dominus”, indipendentemente dalla titolarità apparente del diritto in capo a terzi.
Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza numero 46137 del 7 novembre 2014. La vicenda. La fattispecie al centro della controversia in esame vede un sequestro conservativo - disposto da un Gip e confermato dal Tribunale – di numerosi immobili conferiti in trust da un soggetto indagato per i reati di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad operazioni dolose, concorso in bancarotta fraudolenta documentale, concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in relazione al fallimento di una s.p.a In particolare, per quanto attiene alla pignorabilità dei beni, il Tribunale ha condiviso l’esito dell’accertamento incidentale del Gip, sfociato nella declaratoria di nullità dell’atto costitutivo del trust , considerato uno sham trust , come tale improduttivo dell’effetto segregativo connaturato all’istituto, alla luce della qualifica di trustee e di beneficiario insieme ai familiari rivestito dall’imputato. Chi è il proprietario dei beni costituiti in trust? Nel caso in specie il soggetto imputato disponente il trust ha presentato ricorso in Cassazione avverso il provvedimento che ha confermato il sequestro confermativo ritenendo che fossero stati sottoposti a sequestro beni in un procedimento avente ad oggetto reati ad essi non collegati. In particolare, secondo il ricorrente, il sequestro ha investito beni non pignorabili in quanto il giudice penale può incidentalmente delibare l’invalidità o inefficacia degli atti istitutivi di un trust o di un altro soggetto giuridico, proprietario dei beni sequestrati solo nelle ipotesi di accertamento di atti illeciti e del conseguente sequestro ex articolo 321 c.p.p., delle cose ad essi pertinenti non può sequestrare a norma dell’articolo 316 c.p.p. beni all’infuori di quelli di proprietà dell’imputato o del responsabile civile, essendo addirittura escluso il sequestro di beni di un terzo qualora sia iniziata l’azione revocatoria ordinaria, ma la stessa non risulti ancora definita. La Convenzione de L’Aja. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, il sequestro conservativo è illegittimo perché riguarda beni impignorabili a norma dell’articolo 11 Convenzione dell’Aja in materia di trust , secondo cui prima dell’esperimento vittorioso di un’azione che accerti e dichiari la simulazione del trust , o che ne revochi i conferimenti, non e possibile aggredire, pignorandoli e quindi anche sequestrandoli, beni facenti parte del patrimonio segregato. Inoltre, il ricorrente ha reputato violato l’articolo 2 della Convenzione dell’Aja secondo cui «il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza del trust». Pertanto, secondo il ricorrente, il tribunale aveva l’onere, non adempiuto, di dimostrate specificamente la ragione per cui, pur avendo il disponente mantenuto alcuni diritti propri del beneficiario, tale trust risulterebbe inesistente. Per pignorare o sequestrare i beni non occorre prima l’azione di simulazione. Secondo la Suprema Corte, non è normativamente fondata la tesi secondo cui sussiste l’esigenza dell’esperimento vittorioso di un’azione che accerti e dichiari la simulazione del trust o che ne revochi i conferimenti, rendendo così possibile, all’esito vincente della predetta azione, pignorare e quindi anche sequestrare i beni facenti parte del patrimonio segregato. Si tratta di uno sham trust al fine di pregiudicare i creditori. Nella fattispecie, il giudice della cautela ha reputato evidente la finalità elusiva ritenendo quindi superfluo un apposito accertamento giudiziale della costituzione del trust , giacché tale operazione è stata realizzata come mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust , con evidente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali. Infatti, è stato accertato che il trust è stato costituito con atto in cui gli stessi soggetti – tra cui l’imputato - assumevano la qualifica sia di disponenti sia di trustee amministratori fiduciari . Inoltre, tale costituzione è avvenuta in un contesto temporale in cui le società fallite delle quali l’imputato era amministratore, si trovavano in una situazione di dissesto, occultato dallo stesso ricorrente. La nullità del trust perché elusivo. Secondo la giurisprudenza anche di legittimità la natura dell’istituto di origine anglosassone è che il disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust , al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive Cass., numero 13276/2011 . Tale condizione è ineludibile al punto che – come anticipato – nell’ipotesi in cui risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo sham trust e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio. Questa situazione di mera apparenza, che sul versante civilistico sarebbe causa di radicale nullità, è stata correttamente valutata dal giudice della cautela, per concludere che, al di là delle forme, l’imputato disponente e al tempo stesso trustee cioè amministratore continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità oltre ad essere, insieme alla madre e ai familiari, beneficiario . La giurisprudenza ha peraltro affermato che nel rapporto giudico del trust , va riconosciuto il ruolo di primario protagonista al fiduciario - trustee questi, nei rapporti con i terzi, agisce non come rappresentante del trust che è privo di autonoma personalità giuridica , ma come soggetto che dispone del diritto Cass., numero 28363/2011 . Sequestro conservativo e trust. La Cassazione ha infatti ripetutamente affermato il principio che in tema disequestroconservativo, nel concetto di beni mobili ed immobili dell’imputato contenuto nell’articolo 316 c.p.p. non rileva la loro formale intestazione, ma che l’imputato ne abbia la disponibilità “ uti dominus ”, indipendentemente dalla titolarità apparente del diritto in capo a terzi. Tale condivisibile orientamento poggia sul dettato dell’articolo 192 c.p., secondo cui gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno effetto rispetto ai crediti indicati dall’abrogato articolo 189 c.p., tra cui i crediti dei terzi danneggiati dal reato il rinvio del codice ai crediti indicati nell’articolo 189 è ora comunemente inteso come riferito a quelli di cui all’articolo 316 c.p.p. e in forza della presunzione di frode di cui all’articolo 193 c.p. che prevede una ulteriore forma di revocatoria penale , in caso di alienazione a titolo oneroso in questo caso, però, nel rigoroso accertamento - da parte dei Giudici di merito - della sussistenza di elementi che facciano ritenere revocabile l’atto . Soluzione, questa, che consente di realizzare la finalità dell’articolo 316 c.p.p., consistente nell’immobilizzare il patrimonio dell’imputato o del responsabile civile in attesa dell’esito dell’azione revocatoria e tutelare efficacemente la posizione creditoria del terzo danneggiato Cass., 40286/2014 . In conclusione. La Cassazione pertanto – rigettando il ricorso - ha ritenuto pienamente legittimo il sequestro conservativo degli immobili disposto sulla base di un giustificato giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore, essendo, invece, irrilevante che i beni siano pertinenti ai reati contestati.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 giugno – 7 novembre 2014, numero 46137 Presidente Marasca – Relatore Bevere Fatto e diritto Con ordinanza 14 marzo 2014, il tribunale di Parma ha rigettato la richiesta di riesame e ha confermato il sequestro conservativo, disposto il 18.2.2014 dal Gip del medesimo tribunale, di 6 fabbricati conferiti alla Mato Family Trust,istituito il 7.2. 2008, da G. A. indagato per i reati di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad operazioni dolose, concorso in bancarotta fraudolenta documentale, concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione , contestati in relazione al fallimento delle società G.G. & amp Figli spa e G. G. srl, il cui fallimento è stato dichiarato il 10.2.2012, nonché per il reato di calunnia. Il tribunale ha ritenuto precluso il sindacato sul fumus boni iuris , a seguito dell'emissione del decreto di giudizio immediato in data 13.2.2014 , alla luce dell'orientamento giurisprudenziale che nell'analoga ipotesi di emissione di decreto di citazione a giudizio ha ritenuto non necessario un determinato collegamento tra il bene oggetto di sequestro e il reato ipotizzato, dato l'esclusivo fine di garanzia patrimoniale costituente uno dei presupposti della misura cautelare sez. 2 numero 805 del 12.11.03 rv 227802 entrambi i decreti costituiscono modalità di esercizio dell'azione penale, che comporta l'assunzione di qualità di imputato ex articolo 60 c.p.p. e la celebrazione di un giudizio di merito, condizione legittimante l'adozione del provvedimento di cautela patrimoniale. Quanto alla pignorabilità dei beni , il tribunale ha condiviso l'esito dell'accertamento incidentale del Gip, sfociato nella declaratoria di nullità dell'atto costitutivo della Mato Family Trust, considerato uno sham trust , come tale improduttivo dell'effetto segregativo connaturato all'istituto , alla luce della qualifica di trastee e di beneficiario insieme ai familiari rivestito dall'imputato unitamente alla madre S.M.T.P., entrambi titolari originari dei beni conferiti. Nell'interesse del G. è stato presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge in riferimento agli articolo 316, 325 c.p.p., 194 c.p.,11 della Convenzione sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, adottata all'Aja l'1.7.1985 , 602 ss c.p.c. sono stati sottoposti a sequestro beni in un procedimento avente ad oggetto reati ad essi non collegati, a tutela di crediti dello Stato non nei confronti del trust, ma dell'imputato . Secondo il ricorrente, il sequestro ha investito beni non pignorabili , in quanto il giudice penale può incidentalmente delibare l'invalidità/inefficacia degli atti istitutivi di un trust o di un altro soggetto giuridico , proprietario dei beni sequestrati -e non responsabile civile nel processo in corso solo nelle ipotesi di accertamento di atti illeciti e del conseguente sequestro, ex articolo 321 c.p.p., delle cose ad essi pertinenti non può sequestrare a norma dell'articolo 316 c.p.p. beni all'infuori di quelli di proprietà dell'imputato o del responsabile civile, essendo addirittura escluso secondo la giurisprudenza sez. 1 numero 203 163 dell' 11.10.1995, fall Bozzi il sequestro di beni di un terzo allorchè sia iniziata l'azione revocatoria ordinaria, ma la stessa non risulti ancora definita. Secondo il ricorrente non sussistono le ipotesi di fatto legittimanti l'azione revocatoria ex articolo 192,193,194 c.p. , né i beni possono essere oggetto di un'azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 c.c. esercitabile sempre che non risulti già decorso il termine di prescrizione quinquennale sul punto il ricorrente rileva che la persona offesa del reato ha esercitato l'azione revocatoria con esito negativo, perché il sequestro è stato ritenuto inapplicabile prima della conclusione dell'azione di merito . Sotto quest'ultimo profilo , il ricorrente afferma che il sequestro conservativo, in mancanza di una pronuncia di merito sull'inefficacia dell'atto di conferimento del bene e in difetto di alcun atto recente di disposizione in frode dei creditori, appare una scorciatoia giuridica e non uno strumento di tutela dei crediti dello Stato , sorti a sei anni di distanza dagli atti dispositivi che si pretendono inefficaci . Secondo il ricorrente, il sequestro conservativo è illegittimo perché riguarda beni impignorabili a norma dell'articolo 11 della Convenzione dell'Aja 1.7.1985 in materia di trust , la cui costituzione produce la segregazione del patrimonio conferito Ne deriva che, prima dell'esperimento vittorioso di un'azione che accerti e dichiari la simulazione del trust, o che ne revochi i conferimenti, non è possibile aggredire pignorandoli e quindi anche sequestrandoli ,i beni facenti parte del patrimonio segregato. 2. violazione di legge in riferimento all'ari. 2 della Convenzione dell'Aja 1.7.1985 i giudici hanno incidentalmente ritenuto invalido/inefficace il trust in ragione di una coincidenza tra disponente e beneficiario del trust medesimo . Pur dando per ammesso questo profilo di merito deve rilevarsi che tale deduzione viola l'articolo 2 u.co. della suddetta Convenzione , secondo cui il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l'esistenza del trust. Pertanto il tribunale aveva l'onere, non adempiuto, di dimostrate specificamente la ragione per cui pur avendo il disponente mantenuto alcuni diritti propri del beneficiario, tale trust risulterebbe inesistente. Tale onere dimostrativo presuppone un accertamento complesso, proprio di una causa di merito in contraddittorio e non certo compatibile con il rito sommario della misura cautelare applicata dal giudice penale. Il ricorso non merita accoglimento. Risulta l'assoluta mancanza di una base normativa e/o di una giustificazione razionale in ordine alla tesi del ricorrente secondo cui nel caso in esame, sussiste l'esigenza dell'esperimento vittorioso di un'azione che accerti e dichiari la simulazione del trust Mato Family Trst , o che ne revochi i conferimenti, rendendo così possibile all'esito vincente della predetta azione pignorare e quindi anche sequestrare i beni facenti parte del patrimonio segregato. Dalle indagini preliminari è infatti risultata la piena trasparenza della finalità elusiva e quindi la superfluità di apposito accertamento giudiziale, nel contesto del procedimento incidentale della costituzione del trust Tale operazione è stata posta in essere in maniera evidente come mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali. Infatti è stato accertato che a. la Mato Family Trust è stata costituita con atto istitutivo depositato presso l'ufficio delle entrate di Parma , in cui G. Alessandro e la madre S. M. P. T. assumevano la qualifica di disponenti e di trustee amministratori b. tale costituzione è avvenuta in un contesto temporale in cui le società fallite, G.G. e G. G., delle quali il G. era amministratore, si trovavano in una situazione di dissesto, occultato dallo stesso ricorrente in concorso con altre persone, in primo luogo con il figlio Francesco c. i beneficiari del Mato Family Trust venivano indicati nella famiglia dei signori S. M. Tersilla P. e G. A. e i suoi componenti anche se residenti in luoghi diversi ed i loro discendenti in linea retta d. la durata era determinata a partire da oggi data della costituzione del trust fzno alla morte di tutti i beneficiari nominati con il presente atto istitutivo e, comunque, per un periodo non superiore a cinquanta anni da oggi, ovvero se antecedente , la durata massima prevista dalla legge regolatrice e. i sei beni immobili sono stati ceduti con atto del 7.3.2008 al trust , da G. A. e dalla madre P. Tersilla S. M. f. in data 21.12.2012 il Mato Family Trust è stato trasferito in Romania , nella provincia di Costanza. La piena legittimità del provvedimento cautelare , diretto su beni su cui era stato creato un fittizio diaframma , emerge in maniera incontestabile alla luce del consolidato orientamento interpretativo sez. 5 numero 13276 del 24.10.2011, rv 249838 secondo cui che il trust, tipico istituto di diritto inglese, si sostanzia nell'affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale proprietario nel senso di titolare dei diritti ceduti per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell'istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo sham trust e non produce l'effetto segregativi che gli è proprio. Tale situazione di mera apparenza, che sul versante civilistico sarebbe causa di radicale nullità, è stata correttamente valutata dal giudice della cautela, per concludere che, al di là delle forme, il G., trustee cioè amministratore egli stesso, continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità oltre ad essere, insieme alla madre e ai familiari , beneficiario . Il tribunale del riesame ha anche correttamente richiamato la giurisprudenza civile sez.2,numero 28363 del 22/12/2011,Rv.620632 secondo cui , nel rapporto giudico del trust, va riconosciuto il ruolo di primario protagonista al trustee questi nei rapporti con i terzi, agisce non come rappresentante del trust che è privo di autonoma personalità giuridica , ma come soggetto che dispone del diritto e,in quanto tale, nell'ipotesi di sanzioni amministrative relative alla circolazione stradale di un veicolo appartenente ad un trust in applicazione dell'articolo 2, comma 2, lett. b, della legge 16 ottobre 1989, numero 364 -recante la ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L'Aja il 1' luglio 1985 assume la posizione di intestatario formale dell'autovettura e quindi di obbligato in solido con l'autore della violazione . Alla luce dell'accertato comportamento sleale del G. , è da ritenere pienamente legittimo il sequestro conservativo degli immobili il cui valore catastale è di circa € 557.582 , disposto sulla base di un giustificato giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore,nei confronti dello Stato , che ha dovuto sostenere spese estremamente rilevanti € 955.000 per la consulenza tecnica disposta dal P.M. essendo, invece, irrilevante che i beni siano pertinenti ai reati contestati. Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.