Senza la volontà di rendere pubblico il contenuto denigratorio non c’è reato

Il reato di diffamazione, rientrando nei delitti contro l’onore, si realizza quando oltre alla consapevolezza di pronunciare o scrivere frasi lesive dell’altrui reputazione, vi sia anche la volontà del mittente di rendere conoscibile a più persone la frase denigratoria.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 22853, depositata il 30 maggio 2014 Il caso. Il Tribunale di Catania, adito come giudice di secondo grado, in riferimento alla sentenza del Giudice di Pace della stessa località, confermava la responsabilità penale per il reato di diffamazione posto in essere dalla madre attraverso un sms, lesivo della reputazione, inviato alla figlia. L’sms non aveva come destinatari soggetti terzi. L’imputata ricorreva in Cassazione, lamentando la mancanza di prova che l’sms avesse come destinatari soggetti terzi e diversi dalla figlia, dal momento che la divulgazione del contenuto denigratorio ad altre persone era stata posta in essere direttamente e consapevolmente dalla figlia. La Suprema Corte ha riconosciuto la fondatezza del ricorso, poiché nel caso di specie mancava chiaramente la volontà della madre di rendere noto a terzi e di far circolare il contenuto dell’sms. Per tali motivi la Corte ha annullato la sentenza di secondo grado con rinvio per un nuovo esame al giudice a quo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 aprile 30 maggio 2014, numero 22853 Presidente Lombardi Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24-10-2012, il Tribunale di Catania confermava la sentenza del giudice di pace 17-2-2011 della stessa località che aveva dichiarato B.M.V. responsabile del reato di diffamazione in danno di L.M.P. mediante un sms inviato alla figlia S. . 2. L'imputata, con ricorso personale, deduce violazione di legge in relazione all'articolo 595 cod. penumero in mancanza di prova che l'sms avesse destinazione di propalazione alla p.o. o a terzi e di prova della sua volontà in tal senso non potendo tale prova ravvisarsi nell'invio di sabato o domenica quando la famiglia era riunita per il pranzo , mentre la comunicazione agli altri membri della famiglia L.M. era stata frutto di iniziativa esclusiva della destinataria del messaggio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Secondo consolidata giurisprudenza di questa corte in tema di delitti contro l'onore, l'elemento psicologico della diffamazione consiste non solo nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione, ma anche nella volontà che la frase denigratoria sia conosciuta da più persone, essendo pertanto necessario che l'autore della diffamazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona, ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri, evento che egli deve rappresentarsi e volere Cass. 36602/2010 . 3. Nella specie il tribunale, pur richiamando i principi giurisprudenziali di cui sopra, non ne ha poi tratto le debite conseguenze. Infatti, essendo pacifico che lo short messages System era stato inviato ad un'unica persona la figlia della persona offesa , ha ritenuto “del tutto evidente”, senza tuttavia indicarne in alcun modo le ragioni, il “chiaro intento” dell'imputata che il destinatario delle offese e “le altre persone presenti” ne fossero messi a conoscenza, come era di fatto avvenuto. 4. Tra l'altro neppure il concetto di “persone presenti” risulta chiarito nella pronuncia oggetto di impugnazione, che non lo ha collegato alla testimonianza di L.M.S. , evocata in sentenza solo nella parte relativa alla sintesi della vicenda processuale, ma non utilizzata al fine della conferma dell'affermazione di responsabilità, secondo la quale il messaggio era pervenuto di sabato o domenica, nell'orario in cui tutta la famiglia era riunita per il pranzo. 5. La sentenza merita pertanto annullamento con rinvio per nuovo esame al giudice a quo in diversa composizione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo esame.