Non può essere superata la disponibilità annuale del plafond dei crediti disponibili il contribuente che sfora il plafond dei crediti compensabili nell’anno di riferimento è sanzionabile dall’amministrazione finanziaria
La Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 11522, del 4 giugno 2015, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate ha ritenuto legittima la sanzione a carico del contribuente che aveva sforato il plafond dei crediti disponibili nell’anno di riferimento. Il caso. La vicenda vede coinvolta l’Agenzia delle Entrate e una s.r.l. le Entrate hanno impugnato davanti alla Cassazione la sentenza della CTR, del novembre 2010 i giudici del merito avevano annullato il provvedimento di irrogazione di una sanzione nei confronti di una s.r.l., con riferimento all’IVA del 2006. La CTR aveva osservato che il credito di imposta doveva essere portato in compensazione in misura minore, poiché il plafond previsto per l’annualità non poteva essere superato, anche se si trattava di una violazione che non comportava alcun danno all’amministrazione. Tuttavia, per i giudici del merito, si configurava una sproporzione tra l’entità della sanzione e l’importo indetraibile, sicché la sanzione andava ridotta del 50%. L’Agenzia delle Entrate, nel ricorso in Cassazione, deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 13, comma 1 e 2, d.lgs. numero 471/1997, e 7, comma 4, d.lgs. numero 472/1997, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto la CTR non considerava che si trattava di uno sforamento non consentito dal bilancio dello Stato, che prevede dei limiti per ragioni di contabilità dello Stato, quindi il medesimo comportava il mancato versamento dell’IVA per la parte non ammessa in compensazione, con la conseguente applicazione della sanzione nella unica misura prevista del 30%, non riducibile per la totale assenza di circostanze eccezionali. L’istituto della compensazione. L’istituto della compensazione è stato introdotto nell’ordinamento fiscale italiano dall’articolo 17 d.lgs. numero 241/1997. Prima dell’entrata in vigore di tale decreto, il nostro ordinamento prevedeva la cosiddetta compensazione verticale detta anche interna, tradizionale, di riporto o a scomputo , che consente al contribuente di recuperare crediti sorti nei periodi precedenti e non chiesti a rimborso, con debiti della stessa imposta ad esempio, utilizzo di un credito Irpef a scomputo del versamento dell’acconto Irpef . Con l’articolo 17 d.lgs. numero 241/1997 è stata introdotta la cosiddetta compensazione orizzontale, che permette, invece, al contribuente, di compensare crediti e debiti nei confronti anche di diversi enti impositori Stato, Inps, Inail, Enti locali, Enpals . Tale compensazione, quindi , può riguardare • imposta su imposta, nell’ambito dello stesso ente • imposte diverse nell’ambito dello stesso ente • versamenti dovuti ad un ente e crediti vantati nei confronti di un altro ente • non sono ammessi in compensazione i crediti e debiti relativi all’IVA trasferiti da parte delle società che si avvalgono della liquidazione IVA di gruppo. Sono ammessi, invece, i crediti ed i debiti IVA risultanti dai prospetti riepilogativi annuali delle dichiarazioni di gruppo da parte degli enti e società controllanti articolo 8 d.P.R. numero 542/1999 . Un precedente orientamento. Sull’argomento oggetto del presente commento va evidenziata la sentenza numero 9028, del 19 aprile 2011, della Corte di Cassazione, che ha affermato che sono legittimi gli acquisti in esenzione IVA oltre i limiti del plafond anche in mancanza della compilazione del quadro VC «qualora la contabilità obbligatoria sia uniformata al regime scelto». Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con la citata sentenza accoglieva il ricorso di una s.r.l. in particolare l’azienda aveva acquistato dei beni in regime di esenzione, “sforando” i limiti imposti dal plafond e soprattutto perché mancava la compilazione del quadro VC della dichiarazione IVA e «conseguente mancata segnalazione di opzione per il cosiddetto regime di plafond mobile». L’Amministrazione aveva emesso un avviso di accertamento della maggiore imposta. In tale occasione, la Corte di Cassazione, accogliendo il motivo del ricorso presentato dalla contribuente, precisava che «l’opzione o la revoca dei regimi di determinazione delle imposte dirette e dell’Iva o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili e la loro validità è subordinata unicamente alla loro concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività salva l’applicazione delle sanzioni previste per l’omessa o irregolare comunicazione». La decisione dei giudici della Cassazione. La sezione tributaria ha precisato che in tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d'imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall'articolo 13 d.lgs. numero 471/1997, come nella specie, così come accade ogniqualvolta la compensazione stessa sia utilizzata in assenza dei relativi presupposti. Per i giudici di legittimità , a differenza di quanto affermato nei gradi di giudizio del merito, la misura della sanzione prevista ex lege poteva essere ridotta dal giudice di merito in assenza di circostanze eccezionali ex articolo 7, comma 4, d.lgs. numero 472/1997, per le quali alcuna prova era stata addotta da parte della società appellata, senza che l'entità della stessa fosse stata determinata ab origine in modo discrezionale, bensì col criterio proporzionale del 30%, come previsto dalla normativa di riferimento. La Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e in merito alle spese del doppio grado di giudizio, sussistono giusti motivi per compensarli, mentre le spese del giudizio della Cassazione sono a carico della parte soccombente. Va , infine, ricordato che il principio era stato già affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 22833/2013. La stessa decisione aveva anche affermato l’impossibilità di beneficiare del «favor rei», nonostante il successivo innalzamento della soglia massima di compensazione, in quanto sarebbe stata comunque necessaria l’abrogazione dell’imposta.
Corte di Cassazione, sez VI Civile – T, ordinanza 6 maggio – 4 giugno 2015, numero 11522 Presidente Cicala – Relatore Bognanni Svolgimento del processo 1. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto numero 100/01/10, pubblicata il 15 novembre 2010, con la quale essa rigettava l'appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicché l'impugnazione, da parte della società I. srl., del provvedimento di irrogazione di sanzione, inerente all'Iva per l'anno 2006, veniva accolta in parte. In particolare la CTR osservava che il credito d'imposta doveva essere portare in compensazione in misura minore, giacché il plafond previsto per l'annualità non poteva essere superato, anche se si trattava di una violazione che non comportava alcun danno all'amministrazione. Tuttavia si configurava una sproporzione tra l'entità della sanzione e l'importo indetraibile, sicché la medesima andava ridotta del 50%. La società I. si è solo costituita con controricorso, per l'eventuale partecipazione, all'adunanza di discussione, ed ha depositato memoria. Motivi della decisione 2. Innanzitutto va rilevato, in via pregiudiziale, che il controricorso è del tutto sfornito dei prescritti requisiti, relativi alla esposizione sommaria dei fatti della causa e dei motivi, per i quali si chiede il rigetto del ricorso, ex articolo 366 e 370, comma 2 cpc, e quindi esso è inammissibile, come pure la memoria depositata. Invero, com'è noto, la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddirvi, deve farlo mediante controricorso contenente, ai sensi dell’articolo 366 cod. proc. civ. richiamato dall’articolo 370, comma secondo, stesso codice , l'esposizione delle ragioni atte a dimostrare l'infondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata dal ricorrente. In mancanza di tale atto, essa non può presentare memoria ma solamente partecipare alla discussione orale. Pertanto entrambi tali atti vanno dichiarati inammissibili, posto che la carenza della sommaria esposizione del fatto e delle ragioni per le quali le doglianze addotte a sostegno del ricorso sono da disattendere, non può essere integrata mediante memoria presentata a norma dell’articolo 378 cod. proc. civ., atteso che questa ha esclusivamente la funzione di illustrare ed approfondire gli atti iniziali del giudizio di cassazione V. pure Cass. sentenze numero 6222 del 20/04/2012, numero 5970 del 2011 . 3. Ciò premesso, col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 13, commi 1 e 2 D.lgs. numero 471/97, e 7, comma 4 D.lgs. numero 472/92, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto la CTR non considerava che si trattava di uno sforamento non consentito dal bilancio dello Stato, che prevede dei limiti per ragioni di contabilità generale, quindi il medesimo comportava il mancato versamento dell'Iva per la parte non ammessa in compensazione, con la conseguente applicazione della sanzione nella unica misura prevista del 30%, non riducibile per la totale assenza di circostanze eccezionali, come del resto dedotto in grado di appello, senza che però il giudice avesse delibato la questione. Il motivo è fondato. Invero in tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d'imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall'articolo 13 del d.lgs. numero 471 del 1997, come nella specie, così come accade ogniqualvolta la compensazione stessa sia utilizzata in assenza dei relativi presupposti Cfr. anche Cass. Ordinanza numero 18369 del 26/10/2012, Sentenza numero 8681 del 2011 . Né la misura della sanzione prevista ex lege poteva essere ridotta dal giudice di merito in assenza di circostanze eccezionali ex articolo 1, comma 4 D.lgs. numero 472/97, per le quali alcuna prova era stata addotta da parte della società appellata, senza che l'entità della stessa fosse stata determinata ab origine in modo discrezionale, bensì col criterio proporzionale del 30%, come previsto dalla normativa di riferimento. Dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo adeguato, nonché giuridicamente e logicamente corretto su tali punti. 4. Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex articolo 384, comma 2 cpc, e rigetto di quello in opposizione della contribuente avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione. Infatti alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell'articolo 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell'attuale articolo 384 cod. proc. civ., ispirata a tali principi, una volta dichiarata la nullità - con conseguente cassazione - della sentenza impugnata, la Corte di legittimità, qualora sia posta, con o senza altro motivo di ricorso, una questione di mero diritto, e su di essa si sia svolto il contraddittorio, ove non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, può direttamente decidere la causa nel merito, attuando il previsto rimedio impugnatorio di carattere sostitutivo, come nel caso in esame V. pure Cass. Sentenze numero 24914 del 25/11/2011, numero 5139 del 2011 . 5. Quanto alle spese del doppio grado, sussistono giusti motivi per compensarle, avuto riguardo alla natura della questione giuridica trattata e all'esito dei gradi di merito favorevole alla contribuente, mentre le altre di questo giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibili il controricorso e la relativa memoria accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo compensa le spese del doppio grado, e condanna la controricorrente al rimborso delle altre di questo giudizio, che liquida 2.500,00 duemilacinquecento/00 per onorario, oltre quelle prenotate a debito.