Invece della pensione, vuole continuare a lavorare: serve sempre il consenso del datore di lavoro

L’articolo 75, l. numero 338/2000, pur attribuendo al lavoratore, che ha già raggiunto il diritto alla pensione d’anzianità, la facoltà di fruire del prolungamento del rapporto di lavoro, a fronte della rinuncia all’accredito dei contributi, ne subordina il concreto esercizio alla stipula del contratto a termine, senza prevedere alcuna deroga a tale meccanismo nel caso di esercizio della rinuncia all’accredito successiva ai primi due anni. Al comma 3, la norma prevede la possibilità di reiterazione della facoltà di rinuncia ai contributi, ma non apporta modifiche a quanto previsto nei commi precedenti, se non quella che la proroga possa essere di durata inferiore ai due anni, imposti, invece, per la prima rinuncia.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 9601, depositata il 5 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Bologna rigettava la domanda di un lavoratore volta ad ottenere l’accertamento del suo diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento dei 65 anni per effetto della rinuncia ai contributi, ai sensi dell’articolo 75, l. numero 338/2000, con la condanna del datore di lavoro al ripristino del rapporto di lavoro ed al risarcimento del danno. I giudici di merito affermavano che la norma introduceva una deroga alla regola generale dell’obbligo di pagamento dei contributi, prevedendo la facoltà per il lavoratore, che avesse già raggiunto il diritto alla pensione di anzianità, a fronte della rinuncia ai contributi, di fruire del prolungamento del rapporto di lavoro, instaurando un nuovo rapporto a tempo indeterminato di durata non inferiore a due anni. In più, la norma consentiva di esercitare più volte questa facoltà dopo la prima rinuncia ai contributi, ma era necessaria la stipula di un nuovo contratto a tempo determinato tra le parti, per cui, in mancanza di essa da parte di una, l’altra non poteva esigere la prosecuzione del rapporto, come avvenuto nel caso di specie. Il lavoratore ricorreva in Cassazione, ritenendo che una volta che il lavoratore, il quale abbia utilizzato il meccanismo della norma citata, l’originario contratto a tempo indeterminato si trasforma in un contratto a termine reiterabile, fino al compimento dei 65 anni di età, tutte le volte che il lavoratore esercita la facoltà di rinuncia all’accredito contributivo. Il nuovo esercizio della facoltà di rinuncia determina, a suo giudizio, l’automatica proroga dell’originario contratto a termine per una durata pari a quella della nuova rinuncia all’accredito contributivo e questa volontà non può essere limitata dalla volontà del datore di lavoro. Contratto necessario. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che l’articolo 75, l. numero 338/2000, pur attribuendo al lavoratore la facoltà di rinunciare all’accredito dei contributi, ne subordina il concreto esercizio alla stipula del contratto a termine, senza prevedere alcuna deroga a tale meccanismo nel caso di esercizio della rinuncia all’accredito successiva ai primi due anni. Al comma 3, la norma prevede la possibilità di reiterazione della facoltà di rinuncia ai contributi, ma non apporta modifiche a quanto previsto nei commi precedenti, se non quella che la proroga possa essere di durata inferiore ai due anni, imposti, invece, per la prima rinuncia. Serve la volontà di entrambe le parti. Secondo i giudici di legittimità, un’eventuale modifica della disciplina della proroga avrebbe dovuto essere prevista dalla norma, ma, in mancanza di tali espresse e specifiche previsioni, rimane la regola generale, secondo cui il nuovo contratto a termine presuppone la comune volontà di entrambe le parti, così come già previsto per la prima proroga, che la norma subordina alla stipula tra le parti di un contratto a termine. Non è, quindi, possibile, rimettere integralmente al lavoratore la conclusione e la stessa durata dei contratti a termine successivi al primo, prescindendo totalmente dalla volontà del datore di lavoro o addirittura contro la sua volontà. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 marzo – 5 maggio 2014, numero 9601 Presidente Lamorgese – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo - Con sentenza del 15 novembre 2007 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì di rigetto della domanda di F.R. volta ad ottenere l'accertamento del suo diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la Cassa di Risparmio di Cesena sino al compimento del 65^ anno di età per effetto della rinuncia ai contributi ai sensi dell'articolo 75 della legge numero 338 del 2000 con condanna della banca al ripristino del rapporto di lavoro a decorrere dal 1 aprile 2003 e al risarcimento del danno. La Corte territoriale ha affermato che la norma di cui all'articolo 75 citato introduceva una deroga alla regola generale dell'obbligo di pagamento dei contributi prevedendo la facoltà per il lavoratore che avesse raggiunto il diritto alla pensione di anzianità, a fronte della rinuncia ai contributi, di fruire del prolungamento del rapporto di lavoro instaurando un nuovo rapporto a tempo determinato di durata non inferiore a due anni. La Corte ha poi rilevato che la norma citata consentiva di esercitare più volte tale facoltà dopo la prima rinuncia ai contributi ma, secondo la Corte, era necessaria la stipula di un nuovo contratto a tempo determinato tra le parti con la conseguenza che qualora mancasse la volontà in tal senso di uno dei contraenti l'altra parte non avrebbe potuto esigere la prosecuzione del rapporto. Ha, quindi, rilevato che nel caso di specie il datore di lavoro non aveva inteso rinnovare il contratto e pertanto la domanda del F. doveva essere rigettata. Avverso la sentenza ricorre in Cassazione il F. formulando un unico articolato motivo. Resiste la Cassa di Risparmio di Cesena. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 cpc. Motivi della decisione Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 75 della legge numero 338 del 2000. Secondo il F. una volta che il lavoratore ha utilizzato il meccanismo di cui all'articolo 75 rinunciando all'accredito contributivo, l'originario contratto a tempo indeterminato si trasforma in un contratto a termine che è reiteratole, sino al compimento delle 65^ anno di età,tutte le volte che il lavoratore esercita la facoltà di rinuncia all'accredito contributivo. Il nuovo esercizio della facoltà di rinuncia, dopo la prima volta, determina, infatti, secondo il ricorrente l'automatica proroga dell'originario contratto a termine per la durata pari a quella della, nuova rinuncia all'accredito contributivo non potendo tale facoltà essere limitata dalla volontà del datore di lavoro. Deduce che poiché la legge riconosce al lavoratore la facoltà di abdicare al suo diritto di accreditamento contributivo anche altre volte oltre la prima è evidente che essa considera perdurante il medesimo rapporto di lavoro a tonnine sin quando il lavoratore esercita la sua facoltà di rinuncia. Le censure sono infondate. La norma testualmente recita al primo comma che Per favorire l'occupabilità dei lavoratori anziani, a decorrere dal 1 aprile 2001, ai lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti minimi , per l'accesso al pensionamento di anzianità, è attribuita la facoltà di rinunciare all'accredito contributivo relativo all'assicurazione generale obbligatoria .. In conseguenza dell'esercizio della predetta facoltà'e per il periodo considerato ai commi 2 e 3, viene meno ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative . Il secondo comma di detta disposizione stabilisce che La facoltà di cui al comma 1 è esercitarle a condizione che a il lavoratore si impegni, al momento dell'esercizio della facoltà medesima, a posticipare l'accesso al pensionamento per un periodo di almeno due anni .... b il lavoratore e il datore di lavoro stipulino un contratto a tempo determinato di durata pari al periodo di cui alla lettera a . Infine il 3 comma recita che La facoltà di cui al comma 1 è esercitabile più volte. Dopo il primo periodo, tale facoltà può essere esercitata anche per periodi inferiori rispetto a quello indicato al comma 2, lettera a . 11 ricorrente ha esposto che in data 1/4/2001 aveva sottoscritto con la Cassa di Risparmio un contratto a tempo determinato di due anni avvalendosi della facoltà di rinunciare all'accredito dei contributi di cui all'articolo 75 della legge citata e che scaduto il biennio la Cassa di Risparmio si era rifiutata di prorogare il rapporto per un ulteriore periodo pur avendo egli manifestato la volontà di esercitare nuovamente la facoltà di cui alla norma in esame. La questione sottoposta all'esame di questa Corte attiene al diritto del F. di proseguire il rapporto di lavoro,dopo la scadenza del primo biennio, dovendo intendersi rinnovato il contratto a termine per un ulteriore periodo o comunque sussistendo l'obbligo del datore di lavoro di concludere un nuovo contratto a termine della durata della rinuncia all'accredito contributivo. La tesi del ricorrente non trova fondamento nel disposto della norma che, pur attribuendo la facoltà di rinunciare all'accredito dei contributi al lavoratore. ne subordina il concreto esercizio alla stipula del contratte a termine senza prevedere alcuna deroga a tale meccanismo nel caso di esercizio della rinuncia all'accredito successiva ai primi due anni. Deve essere accolto quanto affermato dal primo giudice secondo cui il comma 3 nel prevedere la possibilità di reiterazione della facoltà di rinuncia non apporta modifiche a quanto previsto nei precedenti commi se non quella che la proroga possa essere di durata inferiore ai due anni, imposti, invece, per la prima rinuncia. Un'eventuale modifica della disciplina della proroga avrebbe dovuto essere prevista dalla norma ed in mancanza di tale espressa e specifica previsione non possono che valere le regole generali in base alle quali il nuovo contratto a termine presuppone la comune volontà di entrambe le parti così come giù previsto per la prima proroga che la norma subordina alla stipula tra le parti di un contratto a termine. Un'automatica proroga del contratto a termine o, comunque, l'esistenza di un obbligo del datore di lavoro alla conclusione di tanti contratti a termine in corrispondenza delle rinunce all'accredito dei contributi da parte del lavoratore avrebbe dovuto essere oggetto di previsione esplicita non essendo, altrimenti, ipotizzabile che fosse rimesso integralmente al lavoratore la conclusione e la stessa durata dei contratti a termine successivi al primo a prescindere dalla volontà del datore di lavoro o addirittura contro la sua volontà. Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato con spese compensate considerato le difficoltà interpretative della normativa esaminata. P.Q.M. Rigetta il ricorso, spese del presente giudizio compensate.