Addio alla “gatta con la macchia nera sul viso” la vecchia soffitta, anche se con finestra ad un “passo dal cielo blu” non può trasformarsi in mansarda

Così, anche se assai meno “poeticamente”, la Cassazione ha reso impossibile a ripetersi la celeberrima scena che tutti abbiamo immaginato niente più soffitte che si “trasformano” in mansarde. A meno che non vi sia rilascio del permesso di costruire.

E’ quanto emerge dalla sentenza 13014/14 della Cassazione, depositata il 20 marzo scorso, la quale ha precisato che in tema di reati edilizi la modifica di destinazione d’uso è integrata anche dalle realizzazioni di sole opere interne. Il caso. I due imputati avevano dato corso a ristrutturazione edilizia, almeno così par di capire, di un immobile. Il quarto piano di detto immobile era stato qualificato ed assentito quale sottotetto e suddiviso, in progetto, in nove locali adibiti a deposito occasionali soffitte . Gli imputati invece lo avevano trasformato in piano abitativo composto da nove mansarde dotate di prese per il telefono, cavi per il satellitare, citofono, impianti di condizionamento, allacci per i servizi a rete e porte blindate, antiscasso, con spioncino. Prima che le opere fossero terminate ma allorché nel piano quarto sottotetto erano già stati predisposti gli allacci ai servizi a reti ed alcune personalizzazioni che ne rendevano evidente la futura destinazione, erano intervenuti alcuni funzionari accertatori che non avevano rilevato nulla di anomale né tantomeno di illegittimo sul verbale formato e reso. Il capo di imputazione predisposto nei confronti dei due imputati indicava quale commesso reato quello di “aver mutato la destinazione d’uso dell’intero piano quarto sottotetto mediante la realizzazione di opere murarie interne in assenza di del permesso di costruire” mentre la condanna resa nei confronti dei medesimi faceva riferimento ad una realizzata “costruzione ex novo delle unità abitative” senza essere munito del necessario permesso di costruire. Proponevano ricorso avverso alla sentenza di condanna resa dal Giudice dell’appello entrambi i difensori degli imputati deducendo violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la corte d’appello aveva respinto l’eccezione sollevate di mancata correlazione tra accusa e sentenza, violazione di legge in riferimento alla norma incriminatrice, errata od omessa applicazione del disposto di cui all’articolo 5 del codice penale. L’illecito urbanistico. la Corte richiama una serie di massime estrapolate da sentenza rese dalla stessa sezione che rendono davvero difficoltoso costruire una qualsiasi difesa in tema di illecito urbanistico edilizio. La questione, almeno per ciò che concerne la lettura che la Corte di Cassazione da del noto D.P.R. 380/2001 può dirsi chiusa. Riassumendola in concetto semplice, e mi scuso per la crudezza e forse l’inadeguatezza dei termini, la Corte ritiene che non sia il concetto di “spazio utilizzato” a costituire uno degli elementi della condotta incriminatrice ma, assai più semplicemente, l’utilizzazione, ovvero la destinazione che a detto spazio viene data, in concreto, a caratterizzare l’aggressione al bene dotato di protezione penale. Non è dunque di alcun rilievo che esistesse un permesso di costruire che autorizzava l’intervento in termini volumetrici assolutamente identico a quanto effettivamente realizzato, ciò che conta è che il permesso di costruire definiva l’intervento non solo in termini di volumetria ma anche di destinazione antropometrica degli spazi. La violazione di questo secondo parametro, non rilevabili dai volumi assentiti ma dall’uso che degli stessi in concreto viene fatto, basta ed avanza perché il reato possa dirsi integrato. Correlazione tra imputazione e sentenza. Interessantissimo invece il primo motivo di ricorso formato dal difensore che ha inteso aggredire la pronuncia del giudice del merito sotto il profilo afferente la necessaria correlazione tra imputazione e sentenza. Si tratta di un principio basilare di ogni sistema democratico quello che prevede ed indica l’obbligo per il giudice di pronunciare esclusivamente in riferimento all’accusa che è stata formata e formulata nei confronti dell’imputato, senza potersi da essa discostare. Ora il difensore ha dedotto che l’originario capo di imputazione, per vero dovrei dire il capo di imputazione, faceva riferimento e descriveva e contestava .lala realizzazione di opere murarie interne in assenza di permesso di costruire mentre la sentenza è stata resa ed emanata sulla scorta della considerazione della condotta dell’imputato quale integrante la costruzione ex novo dell’intero piano quarto sottotetto dell’immobile senza permesso di costruire. A me francamente pare che le condotte descritte sia sotto il profilo fattuale che giuridico siano davvero differenti. E che tra imputazione contestata e sentenza manche qualsiasi correlazione. Diversa è l’attività dell’imputato, opere murarie interne – nuova costruzione non prevista diversi sono gli effetti che l’attività genera e crea nella realtà circostante, diverso mi pare di poter dire sia quantomeno il grado e l’intensità dell’elemento soggettivo. Mi attendevo che la risposta resa dalla Corte di Cassazione si interrogasse ed intrattenesse attorno a queste differenze che mi paiono non solo evidenti ma addirittura macroscopiche. Ma probabilmente erro, la Corte non ritiene che sussista alcun problema di correlazione tra accusa e sentenza poiché esse in sostanza si “equivalgono”. Ora l’analisi del significato del termine equivalente, vuoi sotto un profilo logico semantico vuoi sotto un aspetto più propriamente scientifico, dovrebbe essere demandata ad esegeti ed interpreti più validi del sottoscritto che però non può certo dimenticarsi di un paio di concetti fondamentali. Equivalente non significa né identico né analogo. Dunque è un termine che assume un terzo significato, appunto quello di equivalente, e, come tale ex se indica che tra quanto espresso nell’atto di contestazione capo di imputazione e quanto affermato nella condanna sentenza intercorre un rapporto non diretto ed immediato ma esclusivamente sostenuto dalla presenza di effetti di portata simile nella e sulla realtà fisica circostante. Ovvero fenomeno logicamente la condotta contestata e quella realizzata hanno prodotto risultati che hanno capacità simile, ma non identica, di influenzare o mutare la consistenza e la natura della realtà stessa. Il che, a ben vedere, altro non significa che la sentenza resa non sia dotata di quel rapporto diretto, immediato ed univoco con la contestazione formulata. Cioè accusa e sentenza non sono poste tra loro in correlazione. Ma la Corte non lo ritiene, anzi, proprio sulla scorta della valutazione degli effetti prodotti nella realtà dichiara equivalenti le contestazioni contenute nel capo di imputazione e nella sentenza con buona pace della logica, dell’idioma italico e, “last but not least”, del codice di rito. Una interpretazione della nota sentenza della Corte Costituzionale quantomeno affascinante. Anche sotto il profilo della richiesta applicazione della disciplina dettata dal codice sostanziale con l’articolo 5, il ricorso formato si presta ad interessanti riflessioni. Ora il difensore mi pare abbia sostenuto che l’intervento degli agenti accertatori, cui era ex lege demandato il compito di verificare la corrispondenza e la legittimità delle opere realizzate e da realizzare a quanto assentito, conclusosi con una dichiarazione di sostanziale conformità delle stesse, dovesse costituire elemento atto e sufficiente a scriminare la condotta posta in essere dall’imputato in allora che non avendo ricevuto alcuna forma di rimprovero poteva considerare dette opere quali lecite. Una interpretazione della nota sentenza della Corte Costituzionale quantomeno affascinante. Ora a me pare che la Corte di Cassazione, che ha dichiarato inammissibile il ricorso, abbia errato. Primo perché a me pare che la risposta, anche se di rigetto avrebbe dovuto intervenire con la formula dell’infondatezza e non dell’inammissibilità e poi per le ragioni con cui essa motiva in punto. Dice la Corte «erano irrilevanti le valutazioni degli accertatori contenute nel verbale del 14 marzo 2008 dal momento che gli interventi non consentiti erano ormai ultimati in occasione del detto sopralluogo, sicché l’errata valutazione dei funzionari comunali non poteva avere avuto alcuna influenza sulla commissione del reato e che le opere in questione non erano previste nei progetti, e tale circostanza non poteva essere ignorata dagli imputati tenuto conto della rilevanza degli interventi compiuti». La motivazione non coglie nel segno. Proprio perché gli interventi, ultimati o no, erano evidenti la mancata contestazione degli stessi da parte dei funzionari poteva influire sulla considerazione circa la loro legittimità e rispondenza alla norma da parte degli imputati. Essi, verificato che nulla era stato eccepito avrebbero ben potuto convincersi, rendendo certo pregio alla possibilità di invocare l’applicazione del disposto dell’articolo 5 dl codice penale, della rispondenza ai canoni di legge, in materia e tema tanto complesso quanto quello dell’urbanistica e dell’edilizia, di quanto realizzato, parzialmente o totalmente, e quindi, in ultima analisi aver agito non sorretti dal necessario elemento soggettivo. Invece mi pare più vicino alla ratio legis l’affermare che i soggetti dovevano avere la necessaria competenza in quanto imprenditori. Ma, in punto, non conoscendo nulla circa le qualità e qualifiche personali degli imprenditori diventa difficile esprimersi. Ove essi fossero dotati di conoscenze tecniche geometri, architetti o ingegneri le valutazioni potrebbero avere un effetto ed un senso. Ove invece gli stessi non avessero alcuna competenza tecnica ma fossero per avventura alla prima operazione di carattere edilizio ed avessero la natura di meri investitori le considerazioni dovrebbero essere di tutt’altra fatta e natura. Purtroppo la Corte non ritiene utile e necessario, errando, entrare nel merito delle questioni sollevate e, a me, restano soltanto nella mente i versi di Gino Paolo «tutto è cambiato non abito più la, ho una casa bellissima, bellissima come vuoi tu ».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 31 gennaio – 20 marzo 2014, numero 13014 Presidente Gentile – Relatore Franco Svolgimento del processo Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Genova confermò la sen tenza emessa il 16 novembre 2010 dal giudice del tribunale di Massa, che aveva dichiarato M.L. e V.S. colpevoli del reato di cui all'articolo 44, lett. b , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, per avere, in assenza di per messo di costruire, mutato la destinazione d'uso dell'intero piano quarto sotto tetto di un immobile, trasformando nove locali adibiti a depositi occasionali in altrettante mansarde predisposte per uso abitativo, mediante la realizzazione di opere murarie interne, la predisposizione di prese per il telefono, di cavi per il satellitare, di citofono, di impianti di condizionamento, di allacci per gas ed ac qua nonché mediante l'installazione di porte blindate antiscasso con spioncino, e li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia. M.L., a mezzo dell'avv. F.P., propone ricorso per cassa zione deducendo 1 violazione degli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero Lamenta che gli venne contestato di avere mutato la destinazione d'uso dell'intero piano quarto sotto tetto mediante la realizzazione di opere murarie interne, in assenza del permesso di costruire, mentre è stato condannato per avere realizzato ex novo delle unità abitative senza essere munito del necessario permesso di costruire fattispecie, questa, radicalmente differente da quella ab origine contestata. 2 contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la corte d'appello ha respinto l'eccezione di mancanza di correlazione tra ac cusa e sentenza. La corte ha invero ritenuto che il mutamento di destinazione d'uso è avvenuto tramite un evidente contrasto tra l'opera effettivamente realiz zata ed il progetto originariamente presentato, assunto questo che però si pone in contrasto col materiale probatorio raccolto. Se è vero che una divergenza dal prospetto c'è stata, essa non può certo essere imputata a L.M 3 violazione degli articolo 10 e 44, lett. b , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, e ca renza di motivazione. Osserva che una corretta interpretazione di tali disposi zioni porta a ritenere che i soli mutamenti di destinazione d'uso che necessitano di preventivo permesso di costruire sono quelli che incidono sulle zone omoge nee A. In ogni caso, anche aderendo ad una diversa interpretazione, ciò non si gnifica che il permesso di costruire sia sempre obbligatorio anche fuori dei cen tri sottoposti a vincolo. V.S. propone ricorso per cassazione deducendo 1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Osserva che alla data del primo accertamento del 14.3.2008, quando le nove u nità erano ancora di proprietà della società del V., vi era, secondo entram bi i testi dell'accusa, conformità dell'immobile, nella sua interezza e dunque anche delle unità del sottotetto ai progetti presentati e autorizzati. Vi erano semmai solo degli impianti che avrebbero potuto dar luogo, ma in via ipotetica, meramente eventuale e di sicuro futura, ad un mutamento di destinazione d'uso. L'eventuale abuso fu quindi commesso successivamente. 2 inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 5 cod. penumero mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Osserva che nessuna difformità fu riscontrata nel sopralluogo del 14/3/2008, sicché gli imputati fu rono indotti in errore dal comportamento degli organi accertatori e incolpevol mente ritennero di aver agito legittimamente e che dunque il posizionamento o la predisposizione degli impianti non costituisse mutamento di destinazione d'uso e dunque abuso edilizio. Lamenta che la corte non ha dato risposta ade guata al relativo motivo di appello. 3 inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 10 del d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380 violazione degli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero mancanza, con traddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Osserva che per la zona in cui si trova l'immobile per il mutamento di destinazione d'uso non occorre il permesso di costruire ma solo la denunzia di inizio attività, ai sensi dell'articolo 10 d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380. Infatti, secondo la giurisprudenza, se si tratta di un mutamento di destinazione d'uso con passaggio da una macro categoria all'altra ossia tra categorie eterogenee per esempio da agricolo a residenziale, da residenziale a commerciale etc. l'intervento di ristrutturazione edilizia è sempre assoggettato a permesso a costruire, anche se l'immobile ricade in zone diverse dalla A se il mutamento interviene all'interno di una medesima catego ria come nel caso di specie da sottotetto a uso abitativo , allora l'intervento è assoggettato a permesso a costruire se si ricade in zona A centro storico e a D.I.A., invece, se l'immobile ricade in zona diversa dalla A, come nel caso di specie. In ogni caso, anche qualora così non fosse, la corte d'appello avrebbe dovuto motivare sulla incidenza sul carico urbanistico. 4 deduce che il reato si è prescritto il 24 luglio 2013. 5 inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 133 cod. penumero e mancan za, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto della de terminazione della pena. Motivi della decisione Tutti i motivi di entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati, sicché i ricorsi stessi vanno dichiarati inammissibili. Quanto ai motivi relativi alla presunta violazione degli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero e del principio di correlazione tra accusa e sentenza, è sufficiente os servare che non si è verificata alcuna violazione di tale principio e comunque alcuna effettiva violazione del diritto di difesa, perché la contestazione contenu ta nel capo di imputazione di avere mutato la destinazione d'uso dell'intero pia no quarto sottotetto dell'immobile, in assenza del permesso di costruire, median te la realizzazione di opere murarie interne, equivale in sostanza alla afferma zione della sentenza di primo grado di aver realizzato ex novo delle unità abita tive senza essere muniti del necessario permesso di costruire, dal momento che con il detto mutamento di destinazione d'uso mediante opere, sono stati appunto creati nuovi locali abitativi, al posto di quelli destinati a deposito occasionale, con evidente aumento di volumi e di superfici abitative utili. Del resto, sarebbe inesatto ritenere che non vi sia stata modifica di destinazione d'uso perché i lo cali in questione erano del tutto nuovi e mai erano stati destinati a magazzino deposito, dal momento che la trasformazione d'uso in miniappartamenti auto nomi andava ovviamente vista in relazione alla destinazione contemplata nel progetto approvato. Esattamente quindi la corte d'appello ha affermato che gli imputati avevano mutato la destinazione d'uso del sottotetto, prevista dal pro getto, realizzando direttamente ambienti destinati all'uso abitativo. La corte d'appello ha poi altrettanto esattamente osservato che erano irrile vanti le valutazioni degli accertatori contenute nel verbale del 14 marzo 2008, dal momento che gli interventi non consentiti erano ormai ultimati in occasione del detto sopralluogo, sicché l'errata valutazione dei funzionari comunali non poteva avere avuto alcuna influenza sulla commissione del reato e che le opere in questione non erano previste nei progetti assentiti, e tale circostanza non po teva essere ignorata dagli imputati, tenuto conto della rilevanza degli interventi compiuti, quali, ad esempio, l'allaccio alla rete idrica e del gas e alla rete fogna ria. Del tutto plausibilmente e motivatamente, quindi, del reato è stato ritenuto responsabile anche il M La corte d'appello ha inoltre, con congrua ed ade guata motivazione, accertato che gli abusi erano già stati compiuti prima del so pralluogo del 14/3/2008, e che le opere e gli impianti predisposti erano di natura tale da escludere che gli imputati intendessero soltanto rendere più agevole l'uso di locali adibiti a magazzino es. portoncini blindati muniti di spioncino, predisposizione per lo scarico delle acque nere, allacciamento di gas e acqua, cavi per TV satellítare, impianto citofonico, di riscaldamento ecc. che pertanto do veva escludersi che il mutamento di destinazione d'uso fosse stato realizzato dagli acquirenti dei locali in questione, i quali li trovarono già predisposti per l'uso di civile abitazione, e quindi non fecero altro che portare alle prevedibili conseguenze la condotta degli imputati. Quanto alle eccezioni secondo cui si tratterebbe di interventi che non a vrebbero necessitato di permesso di costruire, ma semmai solo di una DIA, è sufficiente ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «In tema di reati edilizi, la modifica di destinazione d'uso è integrata anche dalla realizza zione di sole opere interne. Fattispecie di mutamento in abitazione del sottotet to mediante la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia » Sez. III, 20.5.2010, numero 27713, Olivieri, m. 247919 «In tema di reati edilizi, ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 44, lett. b , d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 in caso di mutamento di destinazione d'uso edilizio per difformità totale delle opere rispetto al titolo abilitativo, l'individuazione della precedente destinazio ne d'uso non si identifica con l'uso fattone in concreto dal soggetto utilizzatore, ma con quella impressa dal titolo abilitativo assentito, in quanto il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie fun zionalmente autonome dal punto di vista urbanistico» Sez. III, 20.1.2009, numero 9894, Tarallo, m. 243100 «In tema di reati edilizi, il mutamento di destinazio ne d'uso di un immobile attuato attraverso l'esecuzione di opere edilizie e rea lizzato dopo la sua ultimazione configura un'ipotesi di ristrutturazione edilizia che integra il reato di esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire articolo 44, lett. b , d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 , in quanto l'esecuzione di lavori, anche se di modesta entità, porta alla creazione di un organismo edilizio in tut to o in parte diverso dal precedente» Sez. III, 20.1.2009, numero 9894, Tarallo, m. 243101 . Nel caso di specie, i giudici del merito hanno accertato appunto che la mo difica di destinazione d'uso era stata effettuata mediante la realizzazione di ope re interne che si erano realizzate difformità totali rispetto al titolo abilitativo che il mutamento era avvenuto tra categorie funzionalmente autonome dal pun to di vista urbanistico uso di solo deposito di materiali ed uso residenziale . In ogni caso è decisiva l'osservazione che, con la realizzazione, al posto dei previ sti locali da adibire a mero deposito, di miniappartamenti destinati ad abitazio ne, si erano aumentati i volumi e le superfici abitabili utili ed anzi si erano ad dirittura aumentate le unità abitative , sicché non può dubitarsi che occorresse il permesso di costruire. La corte d'appello ha infine fornito congrua, specifica ed adeguata motiva zione anche sull'esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla deter minazione della pena. Il quarto motivo del V. è inammissibile, in quanto nel ricorso per cassazione non può essere dedotto come vizio della sentenza impugnata il matu rarsi della prescrizione del reato in una data successiva a quella di emissione della sentenza stessa. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi. Essendo i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi, la circostanza che la prescrizione del reato sia maturata in una data successiva a quella in cui è stata emessa la sentenza impugnata, è del tutto irrilevante perché, a causa della inammissibilità del ricorso non si è formato un valido rapporto di impugnazione il che preclude a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiara re le eventuali cause di estinzione del reato, ivi compresa la prescrizione, verifi catesi in data posteriore alla pronuncia della decisione impugnata Sez. Unumero , 22 novembre 2000, De L., m. 217.266 giur. costante . In applicazione dell'articolo 616 cod. proc. penumero , segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità dei ricorsi, al pa gamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considera zione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissa re in € 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al paga mento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.