Regime patrimoniale delle convivenze more uxorio e liberalità d’uso: la Cassazione fa chiarezza

Al termine della convivenza, il partner che dia la prova dell’esclusività della proprietà dei beni mobili costituenti l’arredamento della casa in cui si svolgeva il ménage familiare, ha il diritto di ottenere la loro restituzione dal convivente che li detenga senza titolo, restando tali beni nella proprietà esclusiva di chi ne è titolare.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 28718 del 30 dicembre 2013. Il caso. Al termine di una convivenza durata alcuni anni, l’uomo citava in giudizio la ex-convivente affinché fosse accertato il proprio diritto esclusivo di proprietà su alcuni mobili ed elementi di arredo che la donna aveva trattenuto dopo la cessazione del rapporto. La signora resisteva affermando che in realtà tali beni le erano stati regalati dall’attore e per tale motivo aveva diritto di conservarli. La convenuta veniva condannata in primo e in secondo grado alla restituzione di alcuni beni oggetto della controversia e, per tale motivo, proponeva ricorso in Cassazione. Le liberalità d’uso. Il punto fondamentale della difesa della ricorrente consisteva nell’affermare che i beni contestati erano stati donati dall’uomo e, quindi, erano passati a tutti gli effetti in piena ed esclusiva proprietà della donna, con diritto di trattenerli anche dopo la cessazione della convivenza. La signora invocava l’istituto delle cosiddette liberalità d’uso”. Queste sono previste dall’art. 770, comma 2, c.c. che consente, in simili casi, di evitare il ricorso alle forme solenni previste dal codice per le donazioni con notevoli eccezioni e deroghe rispetto alla relativa disciplina. Tali liberalità sono normalmente costituite da mance, regali di Natale o doni per compleanni, anniversari e ricorrenze varie. Si distinguono dalle donazioni rimuneratorie previste dal primo comma dell’art. 770 c.c. per il fatto che sono liberalità dettate dalla volontà di adeguarsi ad un costume sociale così Cass. n. 324/1992 , mentre quelle previste dal primo comma dell’art. 770 c.c. sono mosse dall’intento di gratificare chi ha reso un servizio. L’ uso” cui la norma fa riferimento si ricollega alle regole del costume sociale o familiare e implica che tra i soggetti protagonisti dell’atto vi sia una relazione significativa dal punto di vista sociale, affettivo o di parentela. Per quanto attiene invece all’ entità” della donazione, essa deve essere in linea con la posizione economico-sociale delle parti coinvolte, con i rapporti esistenti tra loro e deve essere altresì legata all’occasione del dono. Generalmente quindi non si tratterà di beni di ingente valore, sebbene non siano mancati casi in cui doni di gioielli preziosi o altri monili sono stati fatti rientrare nelle liberalità d’uso. Nella fattispecie sussistevano in teoria i presupposti brevemente descritti per integrare il caso del secondo comma dell’art. 770 c.c., ma il resistente negava qualsiasi ipotesi di donazione e, anzi dimostrava puntualmente i titoli di acquisto dei singoli beni oggetto della causa affermandone l’esclusiva e piena titolarità. Invocava così il principio cardine in base al quale al termine della convivenza, il partner che fornisce la prova della proprietà dei mobili della casa in cui le parti vivevano abitualmente ha il diritto di trattenerli e di ottenerne la restituzione dall’ex convivente che li detenga senza giustificazione alcuna. Inapplicabili analogicamente alla convivenza le norme sulla comunione dei beni tra coniugi. In tema di convivenza more uxorio non sono infatti applicabili analogicamente le disposizioni previste dal codice civile per la comunione dei beni tra coniugi, né per gli acquisti fatti manente comunione . Anche in passato non sono mancati precedenti in cui i giudici hanno ribadito fermamente simili principi. Ad esempio il Tribunale di Pisa, in una sentenza del 1988, ha giudicato inammissibile l’applicazione analogica della disciplina prevista in campo patrimoniale dagli artt. 177-194 c.c. Di conseguenza nel momento in cui un convivente acquista un bene immobile con propri mezzi e a nome proprio, il suo partner, al momento della rottura, non può vantare alcun titolo su tale bene, a meno che non riesca a dimostrare che ci sia stata una donazione o altra valida ragione quale una interposizione di persona, o l'adempimento consapevole e spontaneo di una obbligazione naturale . Così pure recentemente il Tribunale di Palermo ha stabilito, per il convivente che dia la prova dell'esclusività della proprietà dei beni mobili che corredano la casa comune, il diritto di ottenere la loro restituzione dal convivente che li detenga sine titulo , così ribadendo che i beni restano nella proprietà esclusiva di chi né è titolare. La Corte ha quindi applicato simili principi dato che, come emerge dal testo della sentenza, la signora aveva semplicemente invocato presunte liberalità d’uso”, ma non aveva mai fornito alcuna prova di quanto dichiarato. In assenza di simili dimostrazioni gli Ermellini non hanno potuto che adeguarsi alle regole sopra esposte - già indicate dai giudici di merito - e confermare le ragioni dell’attore-resistente.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 novembre - 30 dicembre 2013, n. 28718 Presidente Oddo – Relatore Giusti Svolgimento del processo 1. - Con atto di citazione notificato in data 4 aprile 1997, T.A. convenne in giudizio B.A. affinché fosse accertato il suo esclusivo diritto di proprietà su alcuni mobili e complementi d'arredo detenuti dalla convenuta dopo la cessazione del rapporto di convivenza che avevano intrattenuto per alcuni anni e chiese che la B. venisse condannata alla restituzione di tali beni, nonché di alcune somme datele in prestito. Si costituì in giudizio la convenuta, contestando le deduzioni avversarie ed affermando, in particolare, che sia i beni sia il denaro rivendicati da T.A. le erano stati donati dall'attore con altrettanti atti di liberalità nel corso della loro convivenza e che, pertanto, nessuna restituzione era dovuta. La causa - istruita mediante l'escussione di testimoni e l'assunzione dell'interrogatorio formale delle parti - venne decisa dal Tribunale di Milano con sentenza in data 28 marzo 2001, che accolse parzialmente le domande, condannando la convenuta a restituire solo alcuni dei beni richiesti. 2. - La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata l'11 luglio 2007, in parziale accoglimento del gravame interposto dal T. , ha condannato la B. a restituire all'appellante A i seguenti beni mobili, identificati all'asta tenutasi in Milano presso Sotheby's il 4 aprile 1995 con i numeri di lotto indicati per ciascuno n. 455, divano in legno di noce n. 560, zuppiera ovale con coperchio di maiolica n. 568, zuppiera ovale con coperchio di maiolica n. 599, coppia di vassoi ottagonali ed uno singolo B i seguenti beni mobili identificati all'asta tenutasi in Venezia presso la Casa d'Aste Franco Semenzato il 9 aprile 1995 con i numeri di lotto indicati per ciascuno n. 93, tre bottiglie in vetro con decori dorati n. 127, coppia di piatti ovali in maiolica con decori n. 147, alzata in maiolica dipinta n. 177, raviera in maiolica a forma di foglia C i seguenti beni mobili, battuti all'asta tenutasi in Venezia presso la Casa d'Aste Franco Semenzato il 20 maggio 1995 tappeto Aubusson tappeto Savonnerie quattro lumiere caminiera piemontese fioriera in maiolica piattino in maiolica vaso con coperchio in porcellana. La Corte territoriale ha rilevato che dalla lettura dell'atto di citazione appare evidente che la circostanza che l'attore abbia ritenuto di premettere all'elencazione dei beni rivendicati alcune considerazioni in fatto, quali l'affermazione di avere compiuto a favore della convenuta sia atti di liberalità sia prestiti, fosse funzionale all' inquadramento delle circostanze dalle quali era poi scaturita la controversia, senza poter attribuire a tale affermazione prodromica un valore ulteriore, non esplicitamente espresso né altrimenti manifestato, ma anzi, in contrasto con il tenore generale dell'atto di citazione, composto da premesse generali sui fatti, anticipazione del contenuto delle domande ed elenco dei beni, che non lascia adito a dubbi circa il collegamento diretto tra la domanda di restituzione dei beni e la dettagliata elencazione dei medesimi. Ha inoltre osservato la Corte di Milano che la documentazione prodotta dall'appellante è idonea a dimostrare il titolo di acquisto di tali beni in capo allo stesso e che, pertanto, deve trovare accoglimento la relativa pretesa alla loro restituzione, atteso che al termine della convivenza colui che fornisca le prove della proprietà esclusiva in ordine ai mobili di arredamento della casa ha diritto di ottenerne la restituzione da parte dell'altro che li detenga senza titolo. 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello la B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 30 gennaio 2008, sulla base di tre motivi. L'intimato ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità dell'udienza. Considerato in diritto 1. - Il primo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 770, secondo comma, cod. civ. chiede che venga affermato il principio secondo cui rientra nella nozione di liberalità, eseguita in conformità agli usi e disciplinata dall'art. 770, secondo comma, cod. civ., l'elargizione di un bene fatta spontaneamente, tra persone legate da affettuosa amicizia specie se conviventi , in proporzione alle condizioni economiche dell'autore dell'atto ed in conformità agli usi e costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti fra le parti e della loro posizione sociale. Il secondo motivo errata, insufficiente e contraddittoria motivazione lamenta che la sentenza impugnata abbia attribuito la qualifica di dono alle ingenti somme di danaro versate in più occasioni nel corso della relazione affettiva dal T. alla B. e non abbia fatto altrettanto con riguardo a specchiere, piatti in maiolica e altri beni mobili. 2. - I motivi - i quali, stante la loro connessione, debbono essere esaminati congiuntamente - sono infondati. Il giudice del merito ha affermato il principio secondo cui, al termine della convivenza, il partner che dia la prova dell'esclusività della proprietà dei beni mobili costituenti l'arredamento della casa in cui si svolgeva il ménage, ha il diritto di ottenere la loro restituzione dal convivente che li detenga senza titolo, restando tali beni nella proprietà esclusiva di chi ne è titolare e ha fatto applicazione di questo principio in un caso nel quale l'appellante ha dimostrato, attraverso la documentazione prodotta, il titolo di acquisto in capo allo stesso dei beni reclamati. La ricorrente non contesta, in sé, questo principio, né sostiene di avere in qualche modo contribuito all'acquisto di tali beni mobili ritiene, piuttosto, che nella specie sia ravvisabile l'ipotesi della liberalità secondo gli usi disciplinata dall'art. 770, secondo comma, cod. civ Ora, la censura veicolata si muove su un piano esclusivamente astratto e non coglie nel segno. Non v'è dubbio che si ha liberalità d'uso quando si ha un trasferimento spontaneo di ricchezza perché giustificato dai costumi e dagli usi delle parti, allorché vi sia comunanza di affetti e reciproca gratificazione in chi da e in chi riceve ma, appunto, il ricorso non va al di là dell'enunciazione di questo principio astratto, perché non indica da quali risultanze probatorie - non prese in considerazione dal giudice del merito - si trarrebbe la dimostrazione della effettiva sussistenza dell'asserito titolo di liberalità a vantaggio della B. . Né è configurabile il lamentato vizio di motivazione il fatto che la Corte d'appello abbia ritenuto che il T. abbia in più occasioni versato alla convivente somme di denaro sia a titolo di donazione sia per far fronte alle spese di gestione della casa ove vivevano e più in generale all'andamento della loro vita in comune, non comporta che anche i beni mobili di arredamento di cui è controversia, acquistati dal T. , siano stati trasferiti in proprietà alla B. in forza di un atto di donazione. 3. - Con il terzo mezzo si prospetta il vizio di extrapetizione con riguardo al capo della sentenza d'appello che ha compensato tra le parti per un terzo le spese di entrambi i gradi di giudizio, ponendo a carico della B. i rimanenti due terzi. 3.1. - Il motivo - con cui si addebita alla Corte d'appello di avere riliquidato le spese anche per il giudizio dinanzi al Tribunale, pur in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione al riguardo - è infondato. Nella specie, infatti, la Corte territoriale ha accolto, sia pure in parte, l'appello del T. e, pertanto, avendo riformato la pronuncia del primo giudice, era legittimata a procedere, d'ufficio, ad una nuova regolamentazione delle spese. Invero, in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice d'appello, mentre nel caso di rigetto del gravame non può, in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione, modificare la statuizione sulle spese processuali di primo grado, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d'ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell'esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all'art. 336 cod. proc. civ., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese Cass., Sez. III, 4 giugno 2007, n. 12963 Cass., Sez. lav., 22 dicembre 2009, n. 26985 . 4. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta, il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre agli accessori di legge.