Esposto caustico all’Ordine per i post online dell’avvocato: è diritto di critica, non diffamazione

Sconfitta definitiva per un legale, che mal aveva digerito l’esposto inviato al Consiglio dell’Ordine e riguardante alcuni suoi scritti condivisi su Facebook. Impossibile, secondo i Giudici, parlare di diffamazione.

I post su Facebook dell’avvocato diventano oggetto addirittura di un esposto al Consiglio dell’Ordine. Il legale non la prende bene, e cita in giudizio l’autore dell’esposto, ritenendolo responsabile del reato di diffamazione. A questo proposito, viene richiamato il contenuto dello scritto inoltrato al Consiglio dell’Ordine in esso si legge che “l’avvocato, attraverso scritti inseriti nel social network Facebook, avrebbe dimostrato che si può delinquere, diffamare, calunniare chiunque, restando impunita, ed avrebbe posto in essere condotte che un rappresentante dell’Avvocatura non può assumere, trattandosi di comportamenti integranti estremi di reato”. Questi elementi, però, non sono sufficienti, secondo i Giudici del Palazzaccio, per ritenere sussistente il reato di diffamazione. Cassazione, sez. V Penale, sentenza numero 42587/18, depositata oggi . Professione. Chiara la posizione assunta dalla legale oggetto dell’esposto. A suo parere, non si può ignorare che «il comportamento segnalato» al Consiglio dell’Ordine degli avvocati «non era stato da lei tenuto nell’esercizio dell’attività professionale». E, allo stesso tempo, va tenuto presente che «il tenore della missiva era tale non da adombrare dubbi circa il comportamento medesimo, ma da addebitare senza remora alcuna alla persona interessata condotte di rilievo penale, descritte utilizzando un linguaggio per nulla continente e tale da aggredirne, secondo il comune sentire, il patrimonio morale». Questa prospettiva non viene però condivisa dai Giudici della Cassazione, che confermano la posizione assunta prima dal Giudice di pace e poi dai Giudici del Tribunale impossibile catalogare come diffamatorio l’esposto presentato al Consiglio dell’Ordine. Entrando nei dettagli della vicenda, i magistrati evidenziano che «l’esposto diretto all’organo di autodisciplina degli avvocati era diretto a suscitare il previsto controllo sui comportamenti della professionista, suscettibili di gettare discredito sull’intera categoria professionale e di integrare gli estremi dell’illecito disciplinare previsto dall’articolo 5 del Codice deontologico forense Doveri di probità, dignità e decoro comma 2 “L’avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l’attività forense, quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l’immagine della classe forense” , e non costituiva, invece, una mera occasione per dare sfogo alla volontà di screditare la persona stessa dell’avvocato mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità». Cade, quindi, l’ipotesi della «diffamazione», poiché l’esposto va valutato, in questo caso, come legittimo esercizio del «diritto di critica». Per i Giudici della Cassazione, infine, va ribadito che «non integra il delitto di diffamazione la condotta di chi invii un esposto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale di un legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 luglio – 27 settembre 2018, numero 42587 Presidente Bruno – Relatore Scordamaglia Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Bari, con sentenza del 9 novembre 2016, ha confermato la sentenza di assoluzione pronunciata, con la formula perché il fatto non sussiste, dal locale Giudice di pace nei confronti di Va. Al., citato a giudizio, ai sensi dell'articolo 21 d.lgs. 274/2000, per rispondere del delitto di diffamazione, asseritamente commesso nei confronti dell'Avvocato La. Gr. mediante l'inoltro al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari di un esposto nel quale erano descritti i comportamenti ritenuti di rilievo disciplinare ascritti al predetto avvocato che, attraverso scritti inseriti nel social network 'Facebook', avrebbe dimostrato che ”si può delinquere, diffamare, calunniare chiunque, restando impunita” ed avrebbe posto in essere condotte che “un rappresentante dell'Avvocatura non può assumere” trattandosi di “comportamenti integranti estremi di reato”. 2. Ha presentato ricorso per Cassazione, ai sensi dell'articolo 38 d.lgs. 274/2000, la parte civile, con il ministero del proprio difensore, articolando un solo motivo, con il quale, denunciando il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione, lamenta che il giudice censurato avrebbe ritenuto il fatto ascritto all'imputato scriminato dall'esercizio del diritto, di cui all'articolo 51 cod. penumero , applicando in materia acritica i principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valenza diffamatoria degli esposti diretti agli organi di disciplina degli ordini professionali, senza tener conto che il comportamento segnalato non era stato tenuto dall'avvocato nell'esercizio dell'attività professionale e che, comunque, il tenore della missiva era tale non da adombrare dubbi circa il comportamento medesimo, ma da addebitare senza remora alcuna alla persona interessata condotte di rilievo penale, descritte utilizzando un linguaggio per nulla continente e tale da aggredirne, secondo il comune sentire, il patrimonio morale. 3. Con memoria pervenuta in Cancelleria in data 3 luglio 2018, il difensore dell'imputato ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, perché presentato oltre i termini di legge, e, comunque, perché generico o manifestamente infondato. Considerato in diritto 1. Il ricorso, pur se tempestivamente presentato - perché depositato il quarantacinquesimo giorno dal deposito della sentenza di appello, secondo quanto previsto dalla norma di cui all'articolo 585, comma 2, lett. c cod. proc. penumero in relazione all'articolo 544, comma 3, cod. proc.penumero , che trova applicazione generalizzata, qualunque sia il giudice che ha pronunciato la sentenza gravata - non è, tuttavia, fondato. 2. La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che ”Non integra il delitto di diffamazione la condotta di colui che indirizzi un esposto - contenente espressioni offensive - all'Autorità disciplinare, in quanto, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'articolo 51 cod. penumero , sub specie dell'esercizio di un diritto di critica, costituzionalmente tutelato dall'articolo 21 Cost. e da ritenersi preVa. rispetto al bene della dignità personale, pure tutelato dalla Costituzione agli articolo 2 e 3, considerato che senza la libertà di espressione e di critica la dialettica democratica non può realizzarsi?»” Sez. 5, numero 13549 del 20/02/2008, Pavone, Rv. 239825 più ancora che “Non integra il delitto di diffamazione la segnalazione al competente Consiglio dell'ordine di comportamenti deontologicamente scorretti tenuti da un libero professionista nei rapporti con il cliente denunciente, sempre che gli episodi segnalati siano rispondenti al vero, perché il cliente per mezzo della segnalazione esercita una legittima tutela dei suoi interessi” Sez. 5, numero 3565 del 07/11/2007 - dep. 23/01/2008, Toppetta e altro, Rv. 238909 conf. Sez. 5, numero 42576 del 20/07/2016, Crimaldi, Rv. 268044 . 3. Devesi riconoscere che a tali criteri direttivi il Tribunale si è conformato, posto che l'estraneità della vicenda scrutinata all'ambito dei rapporti professionali dell'avvocato non incide, limitandolo, sull'ambito applicativo della scriminante del diritto di critica, dovendosi dare atto che l'esposto diretto all'organo di autodisciplina degli avvocati era diretto a suscitare il previsto controllo sui comportamenti dell'avvocato medesimo, suscettibili di gettare discredito sull'intera categoria professionale e di integrare gli estremi dell'illecito disciplinare previsto dall'articolo 5 del Codice deontologico forense Doveri di probità, dignità e decoro comma 2 « L'avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l'attività forense, quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l'immagine della classe forense , e non costituiva, invece - secondo quanto risultante dall'accertamento compiuto dai giudici di merito -, una mera occasione per dare sfogo alla volontà di screditare la persona stessa dell'avvocato La. mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnità. In tal senso, del resto, si è già espressa questa Suprema Corte allorché ha affermato che “Non integra il delitto di diffamazione articolo 595 cod. penumero la condotta di chi invii un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati contenente dubbi e perplessità sulla correttezza professionale di un legale, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'articolo 51 cod. penumero , sub specie di esercizio del diritto di critica, preordinato ad ottenere il controllo di eventuali violazioni delle regole deontologiche” Sez. 5, numero 42576 del 20/07/2016, Crimaldi, Rv. 268044 . 3. Donde s'impone il rigetto del ricorso, cui la consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.