Tra moglie e marito (quasi sempre) non è punibile l’appropriazione indebita

Il comportamento della moglie che si appropria delle chiavi della casa estiva in danno al marito è reato di appropriazione indebita. Resta da stabilire se la condotta dell’agente è punibile o no in applicazione della causa di non punibilità prevista dall’articolo 649 c.p., quando all’epoca dei fatti i coniugi si erano separati per poi riconciliarsi con provvedimento di cessazione degli effetti della separazione.

Secondo il Supremo Collegio, con decisione contenuta nella sentenza numero 26020/18 depositata il 7 giugno, bisogna escludere la punibilità quando i due coniugi si siano riconciliati dopo una separazione consensuale, indipendentemente dal relativo provvedimento di omologazione della riconciliazione. Il caso. La Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza di condanna nei confronti dell’imputata per i reati di violenza privata e appropriazione indebita commessi in danno al marito separato. Secondo i Giudici di merito l’imputata si era appropriata della chiavi della casa estiva impedendo al marito di recuperare i beni di sua proprietà per poi, in occasione di un litigio relativo alla vicenda, aggredire il marito. Contro la sentenza di merito l’imputata ha proposto ricorso per cassazione lamentando il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’articolo 649 c.p. Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti in relazione al reato di appropriazione indebita. La ricorrente sostiene che all’epoca dei fatti la stessa non era più separata dal marito in quanto il Giudice a quo aveva dichiarato la cessazione degli effetti della separazione in seguito alla riconciliazione tra i coniugi. Efficacia della riconciliazione e non punibilità. Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso. In particolare, ricordano i Supremi Giudici, l’articolo 649 c.p. prevede che non è punibile chi ha commesso un reato contro il patrimonio in danno al coniuge non separato. Ciò premesso da quanto emerge dalla decisione di merito la non punibilità per il reato di appropriazione indebita veniva esclusa sul presupposto che la sentenza di riconciliazione tra i coniugi era del 2014, mentre i fatti oggetto di giudizio risalivano al 2010, e di conseguenza la causa di non punibilità non operava «in ragione della natura non retroattiva della pronuncia civile». La Cassazione ha ritenuto errata detta decisione. Infatti secondo quanto stabilito dall’articolo 157 c.c. gli effetti della sentenza di separazione cessano anche per una scelta di comune accordo tra i coniugi, senza che sia indispensabile l’intervento del giudice. La Suprema Corte ribadisce che in ogni caso la sentenza ricognitiva della riconciliazione tra le parti «determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, non con effetto ex nunc, come erroneamente ritenuto dai Giudici di merito, ma a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materia propria della vita coniugale» Cass. numero 19541/18 . Nella fattispecie in esame è provato che la riconciliazione tra i coniugi era avvenuta già nel 2008 e di conseguenza la ricorrente non è punibile per il reato di appropriazione indebita in quanto commesso in danno al coniuge dopo la riconciliazione. Per questi motivi i Giudici di legittimità accolgono il motivo di ricorso e annulla la sentenza impugnata solo in relazione all’imputazione del reato di appropriazione indebita per essere l’imputata non punibile, dichiarando nel resto inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 aprile – 7 giugno 2018, numero 26020 Presidente Fumo – Relatore Morosini Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato, anche agli effetti civili, la condanna di G.S. per i reati di violenza privata e appropriazione indebita commessi in un periodo compreso tra i mesi di agosto e ottobre 2010, in danno del marito separato D.B.V. . Secondo la ricostruzione dei giudici di merito l’imputata si è indebitamente appropriata delle chiavi dell’abitazione estiva, impedendo al marito di recuperare beni di sua proprietà capo B e, in occasione di un litigio relativo alla medesima vicenda, ha aggredito il marito, gettando via il telefono cellulare con cui la vittima stava tentando di fotografare la scena capo A . 2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata, per il tramite del difensore, articolando due motivi. 2.1 Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa, nonché al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’articolo 649 cod. penumero in relazione al reato di appropriazione indebita. Sotto questo secondo profilo la ricorrente sostiene che, alla data dei fatti, i coniugi non erano più separati come risulterebbe dalla sentenza della Corte di appello di Palermo in data 17 dicembre 2014 che ha dichiarato cessati gli effetti della separazione consensuale per effetto della riconciliazione intervenuta tra i coniugi. 2.2 Con il secondo motivo lamenta i medesimi vizi in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, ritenuto immotivatamente eccessivo. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati, mentre è inammissibile nel resto. 1. Il primo motivo è fondato nei termini che seguono. 1.1 A mente dell’articolo 649 cod. penumero non è punibile chi ha commesso un reato contro il patrimonio in danno del coniuge non legalmente separato. Nella specie la sentenza impugnata ha negato l’applicabilità della norma, rilevando che - i coniugi G. - D.B. si erano consensualmente separati il 14 novembre 2007 dinanzi al Tribunale di Palermo che omologava la separazione con decreto del 25 febbraio 2008 - in seguito il D.B. promuoveva azione civile per il riconoscimento della riconciliazione tra coniugi e la Corte di appello di Palermo dichiarava l’intervenuta riconciliazione - la sentenza di riconciliazione era del 2014, mentre i fatti oggetto del giudizio risalivano al 2010, sicché la causa di non punibilità era inoperante in ragione della natura non retroattiva della pronuncia civile. 1.2 La decisione è errata. Secondo quanto stabilito dall’articolo 157 cod. civ. i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione. La sentenza ricognitiva della intervenuta riconciliazione determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, non con effetto ex nunc, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito, ma a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale propria della vita coniugale Sez. 3 civ., 26 agosto 2013 numero 19541 . Nella specie, dalla sentenza impugnata e da quella di riconciliazione prodotta nei giudizi di merito e in allegato al ricorso, risulta che - la riconciliazione tra i coniugi, dichiarata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 17 dicembre 2014, è avvenuta già dal 2008 - a partire da quel momento sono cessati gli effetti della separazione Sez. 3 civ., 26 agosto 2013 numero 19541 sopra cit. - la condotta di cui all’articolo 646 cod. penumero risale al 2010 nella qual data i coniugi non erano più separati proprio in ragione della precedente riconciliazione. La ricorrente non è punibile per il reato di cui all’articolo 646 cod. penumero poiché ha commesso il fatto in danno del coniuge che, in quel momento, non era più legalmente separato, in quanto il decreto di omologa della separazione era stato posto nel nulla dalla riconciliazione avvenuta in precedenza. 2. È inammissibile la residua doglianza, espressa con il primo motivo, sotto il profilo della attendibilità della persona offesa. Si tratta di censura reiterativa del motivo di appello, che ha ricevuto congrua risposta da parte della sentenza di appello pagine 3 e 4 con le cui argomentazioni la ricorrente non si confronta. 3. Per ragioni analoghe è inammissibile il secondo motivo di ricorso, che sottopone alla Corte di legittimità la questione sul diniego delle attenuanti generiche e l’eccessività della pena nei medesimi termini già scrutinati in secondo grado pagine 4 - 6 della sentenza impugnata , senza precisare le ragioni di censura mosse al giudice di appello. 4. Discende l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui al capo B . Deve essere eliminata la relativa pena, che i giudici di merito hanno determinato in mesi tre di reclusione cfr. pagina 7 sentenza di primo grado . Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto. 5. L’inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla imputazione di cui al capo B per essere l’imputata non punibile ai sensi dell’articolo 649 cod. penumero ed elimina la relativa pena calcolata in continuazione di mesi tre di reclusione dichiara nel resto inammissibile il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’articolo 52 d.lgs. 196/03.