Il delitto di partecipazione ad associazioni terroristiche rientra tra quelli di pericolo presunto e implica l'esistenza di una struttura organizzata, dotata di un proprio programma eversivo. Da ciò discende che, con riferimento alla condotta del partecipe, se non è sufficiente – ai fini della responsabilità penale – l'espressione di una mera idea eversiva, risulta invece perseguibile la condotta del singolo che si innesta in una struttura organizzata, tale da rendere possibile l'attuazione del programma criminoso.
Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza numero 14503/18, depositata il 29 marzo. Terrorismo & amp dintorni. All'origine della sentenza oggi in commento è il fermo, con successivo provvedimento custodiale, di un cittadino marocchino dai propositi non proprio pacifici. Oltre a inneggiare alle imprese terroristiche dello Stato Islamico, comunque, l'indagato è indiziato anche di spaccio di stupefacenti dettagli. Siamo comunque in fase cautelare la cassazione interviene su impulso sia del PM che del difensore all'esito della decisione del Tribunale della libertà la Procura è delusa dal lavoro del GIP e del collegio della libertà perchè non è passata la tesi della gravità indiziaria in ordine alla partecipazione all'associazione terroristica. Lasciamo stare i dettagli – possiamo limitarci a dire che il senso delle conversazioni intercettate non ha convinto i giudici della cautela – e veniamo al punto nodale quali sono i requisiti minimi che devono integrarsi per ritenere dimostrata la condotta partecipativa ad un sodalizio criminale di stampo terroristico? Il tema, inutile sottolinearlo, è di grande attualità e, forse proprio per questo, risulta difficile da affrontare per l'esistenza di una impellente esigenza di tutela della collettività così impellente da avere la forza di condizionare ogni freddo tentativo di sistematizzare i concetti giuridici che vi stanno alla base. Diritto penale del fatto o diritto penale della paura? Gli Ermellini entrano in argomento riconoscendo l'esistenza di un trend giurisprudenziale che tende a dilatare l'ambito applicativo del reato di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo. Il perchè è presto detto siamo in piena emergenza terroristica – i recenti fatti di cronaca ce lo dimostrano – e questo obbliga ad innalzare la soglia di tutela. Occorre essere efficienti, rapidi, severi perchè i tempi lo impongono. Ancora la multiformità delle strutture terroristiche, la presenza di “cellule” o anche di singoli sparsi un po' dovunque rende ancora più spasmodica la necessità di proteggere i beni di categoria tutelati dalla norma in esame. Cosa fa, a questo punto, la giurisprudenza? Si chiude a riccio e, allargando le maglie del reato ne amplifica il raggio d'azione. E' un effetto comprensibile, ma non è certamente ineccepibile il sistema penale di uno stato di diritto risente inevitabilmente degli “stiracchiamenti” interpretativi e, per conseguenza, perde in coerenza rispetto ai principi generali. Registra la Cassazione che, con riferimento alla partecipazione ad associazioni terroristiche, si è qualificato come partecipe anche chi si limita a fare proselitismo l'annacquamento del grado di concretezza della condotta partecipativa provoca la compressione del controllo giurisdizionale sulla materialità della condotta, principio cardine del nostro diritto penale che – in questa ipotesi – non viene granchè rispettato. Per garantire la tenuta del sistema occorre valorizzare la concretezza della condotta. Il rimedio ai rischi dello svilimento del principio di materialità è così elaborato dai Supremi Giudici occorre, innanzitutto, accertare l'esistenza di una struttura criminale operativa, logico presupposto di qualsiasi condotta partecipativa. Successivamente, bisognerà individuare una condotta materiale contributiva sul piano causale agli scopi del sodalizio terroristico. In parole povere non deve ritenersi sufficiente sotto il profilo partecipativo la mera adesione ideologica al programma criminoso. Per quanto riguarda le condotte, queste potranno benissimo essere anche “preparatorie”, strumentali o di supporto logistico ad una struttura criminale organizzata, purchè esse rivelino che l'agente vi sia in qualche modo integrato. Occorre, insomma, la prova di un contatto operativo tra agente e struttura organizzata, che non deve e non può esaurirsi nella semplice “professione di fede”.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 dicembre 2017 – 29 marzo 2018, numero 14503 Presidente Paoloni – Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, all’esito dell’udienza di convalida del fermo di indiziato di reato, disponeva nei confronti di M.E.M. la misura della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’articolo 73, comma 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309 e rigettava la domanda cautelare quanto ai reati previsti dagli articolo 81 270 bis 302, commi 1-2 cod. penumero , 1-2-3, legge 25 giugno 1993, numero 205 e 73, comma 1, D.P.R. numero 309 del 1990. 2. A M.E.M. era stato contestato di aver aderito all’organizzazione terroristica denominata IS/Stato islamico e di aver svolto, nei confronti di connazionali, reiterata attività di istigazione alla commissione di delitti con finalità di terrorismo, con particolare riferimento all’articolo 270 bis cod. proc. capo a di avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, da solo ed in concorso con il fratello M.M. e con P.M. , ceduto, offerto e messo in vendita vari quantitativi di sostanza stupefacente di tipo diverso cocaina ed hashish Capo b . 3. Il Tribunale della libertà, in accoglimento parziale dell’appello del Pubblico Ministero, ha applicato la misura cautelare quanto al capo b anche per il delitto di cui all’articolo 73, comma 1, d.p.r. numero 309 del 1990 ed ha rigettato l’impugnazione del P.M. quanto al capo a . 4. Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, per il capo a , ed il difensore dell’indagato, in relazione all’estensione del titolo cautelare per il capo b dell’imputazione provvisoria. 5. Il Pubblico Ministero ha articolato un unico motivo di ricorso con cui si lamenta vizio di motivazione. Si sostiene che l’ordinanza sarebbe viziata perché il Tribunale, dopo aver enunciato alcuni principi di diritto, avrebbe compiuto una scorretta valutazione degli elementi indiziari, sminuendo e interpretando in maniera riduttiva il contenuto di numerose conversazioni intercettate ed omettendo di considerare probatoriamente le numerose dichiarazioni assunte nel corso del procedimento. Si rivisita l’affermazione del Tribunale secondo cui, quanto alla istigazione ed alla condivisione apologetica delle azioni terroristiche dello Stato islamico, l’indagato non avrebbe mai sostenuto e propagandato quella interpretazione oltranzista dei precetti idelogici religiosi che sarebbe, invece, propria di coloro che rivendicano e recepiscono le azioni terroristiche si aggiunge che non sarebbero stati correttamente valutati una serie di elementi indiziari, inferibili da alcune conversazioni, in cui l’indagato, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, avrebbe invece chiaramente inneggiato e sostenuto il ricorso a metodi di lotta violenta, che prevedono, anche il compimento di atti estremi, quali il martirio. Quanto alla contiguità dell’indagato all’Isis, la motivazione sarebbe viziata per avere ingiustificatamente non attribuito rilievo ad alcune dichiarazioni aventi chiaro significato indiziario. 6. Il difensore dell’indagato, quanto al capo b , ha invece articolato tre motivi. 6.1. Con il primo si lamenta violazione di legge, erronea applicazione di norme processuali previste a pena di nullità, inutilizzabilità e vizio di motivazione il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare assertivamente il contenuto di alcune conversazioni senza tuttavia indicare gli elementi concreti da cui inferire i gravi indizi di colpevolezza. 6.2. Con il secondo ed il terzo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari l’ordinanza sarebbe viziata per avere il Tribunale dell’appello fondato il giudizio di pericolosità solo sulla entità della pena che potrebbe essere inflitta, omettendo ogni valutazione sulla adeguatezza della misura disposta. Considerato in diritto 1. Entrambi i ricorsi sono fondati. 2. Sul ricorso del Pubblico Ministero. Quanto al capo a , secondo il Tribunale non vi sarebbero gravi indizi di colpevolezza in quanto dagli atti di indagine sarebbe sì emersa una profonda e fanatica convinzione da parte dell’indagato sulla necessità di dedicare la gran parte del proprio tempo allo studio del Corano e delle altre scritture islamiche, ma non sarebbe tuttavia ravvisabile un comportamento che concretamente e fattivamente contribuisce a rafforzare l’operatività dell’organizzazione criminale denominata Isis . Il giudizio di insussistenza della gravità indiziaria è stato formulato dopo aver descritto gli elementi di indagine posti a fondamento della impugnazione cautelare. Si è innanzitutto chiarito nell’ordinanza che la richiesta cautelare del Pubblico Ministero era stata articolata sulla base del contenuto di una serie di conversazioni, tenute dall’indagato all’interno della propria abitazione ovvero per telefono, da cui sarebbe emerso che M.E.M. avrebbe fatto, in più occasioni, espresso riferimento alla intenzione di recarsi in Siria per unirsi a coloro che combattono sul territorio in nome dell’organizzazione terroristica Isis conv. numero 136 del 10/10/2016 conv. numero 2967 del 14/11/2016 conv. numero 1016 del 24/01/2017 e numero 2960 del 24/01/2017 . Si è evidenziato come nell’atto di appello il Pubblico Ministero avesse fondato la tesi accusatoria su un assunto costitutivo l’indagato sarebbe entrato in contatto con persone intranee al circuito islamista nel lungo periodo di detenzione sofferto in Marocco ed in tale contesto avrebbe aderito all’Isis. In particolare, la tesi accusatoria sarebbe fondata, da una parte, su quanto affermato dallo stesso indagato in numerose conversazioni intercettate numero 1300 e 136 del 10/10/2016, la numero 1620 del 19/10/2016, la numero 2157 e la numero 2158 dell’8/02/2017 e, dall’altra, dal contenuto di alcune dichiarazioni rese anche da soggetti terzi rispetto ai fatti oggetto del procedimento. Il Tribunale ha puntualmente specificato come il Pubblico Ministero avesse valorizzato 1 il contenuto delle dichiarazioni rese dal fratello dell’indagato, che aveva spiegato il processo di radicalizzazione intrapreso da M. durante la detenzione 2 la circostanza che l’indagato, dopo la scarcerazione, avesse deciso di recarsi in Siria per combattere, salvo poi proseguire il viaggio verso l’Italia a seguito dell’arresto subito in Turchia conv. numero 136 del 21/11/2016 3 il rapporto di conoscenza tra l’indagato e, da una parte, tale E.O.K. , appartenente alla cellula terroristica affiliata all’Isis smantellata nel corso di una operazione di Polizia in XXXXXXX dell’ OMISSIS cfr., conv. numero 1620 del 19/10/2016 e, dall’altra, altri soggetti combattenti, votati al martirio conv. numero 2157-2158 dell’8/02/2017 e numero 2960 del 19/03/2017 4 i rapporti tra l’indagato ed alcune donne M. aveva proposto loro il matrimonio dopo aver spiegato l’importanza di un comportamento strettamente osservante dei precetti della fede islamica, compreso quelli relativa all’obbedienza armata, ed avrebbe prospettato ad una di esse la possibilità di recarsi con lui in Siria a combattere 5 le condotte di istigazione rivolte a numerosi soggetti volte a commettere delitti di terrorismo ed a diffondere idee di odio religioso verso i cristiani ebrei ed i mussulmani che non rispettano in modo rigoroso i precetti del Corano conv. numero 1291 del 10/10/2016 numero 174 del 12/10/2016 numero 746 del 29/11/2016, numero 4840 del 12/12/2016, numero 1016 del 24/01/2017, numero 4520 del 24/03/2017 6 le reazioni e le manifestazioni, anche pubbliche, di giubilo tenute dall’indagato dopo gli attentati terroristici compiuti a OMISSIS , a OMISSIS , a OMISSIS 7 la disponibilità a compiere atti terroristici conv. numero 5518 del 20/12/2016 e numero 4465 del 22/03/2017 ed a spostarsi nei territori di combattimento dell’Isis 8 gli esiti della perquisizione eseguita, al momento del fermo di M. , all’interno del telefono cellulare di questi, in cui furono trovate immagini di guerra e di combattenti dell’Isis 9 la reazione stizzita dell’indagato, nel corso di una conversazione telefonica con una donna, allorché questa pronunciò la parola Daesch conv. numero 1620 del 19/10/2016 . Quanto alle fonti dichiarative, lo stesso Tribunale ha fatto riferimento alle dichiarazioni rese da 1 B.S. , amico di M.E.M. che aveva riferito a della contiguità di quest’ultimo con una cellula terroristica attiva in Marocco b del viaggio compiuto dall’indagato verso la Turchia dove era stato arrestato c delle ragioni per le quali l’indagato aveva deciso di allontanarsi dal Marocco, sostanzialmente legate al timore di essere fermato dopo gli arresti di alcuni suoi amici in quanto legati al Daesch d dell’opera di proselitismo compiuta da M.E.M. 2 da T.K. che aveva pure riferito dei contatti tra l’indagato ed soggetti presenti sul territorio siro-iracheno, appartenenti a gruppi jihadisti. 3. A fronte di tale articolato quadro di riferimento, il Tribunale della libertà ha ritenuto, come detto, che nel caso di specie non sarebbero ravvisabili i gravi indizi della condotta partecipativa, atteso che a dalla conversazione numero 136, valorizzata in chiave accusatoria, non si coglierebbe alcun concreto riferimento alla volontà dell’indagato di recarsi in Siria b dalla conversazione numero 2963, pure valorizzata in chiave accusatoria e di cui si è già riferito, l’indagato si sarebbe limitato a spiegare alla sua interlocutrice, che, uscito dal carcere in Marocco, egli era stato costretto a percorrere la rotta balcanica per raggiungere l’Italia, senza tuttavia fare riferimento al proposito di recarsi in Siria e ribadendo comunque l’intenzione di tornare in Marocco c dalla breve frequentazione detentiva in Marocco dell’indagato con E.O.K. , arrestato perché sospettato di far parte di una cellula terroristica, non sarebbe possibile desumere l’avvenuta adesione all’Isis d nella conversazione numero 1620 in cui, come detto, l’indagato, parlando con una donna, ebbe una reazione stizzita allorché la sua interlocutrice pronunciò la parola Daesch M. negò di far parte dell’Isis in tal senso si valorizza anche la conversazione numero 5514 del 20/12/2016, intercorsa con una donna . Anche le conversazioni numero 2963, 2966 e 2967, dimostrative secondo il Pubblico Ministero dell’intenzione dell’indagato di recarsi in Siria, a dire del Tribunale potrebbero invece essere interpretate in modo alternativo come una manifestazione di nostalgica sofferenza per non aver sposato la donna ed aver deciso di raggiungere l’Italia, partendo dal Marocco con la morte nel cuore pag. 8 ordinanza impugnata . Non diversamente, secondo il Tribunale a le manifestazioni di adesione compiute in occasione della diffusione delle notizie relative ad attentati terroristici sarebbero prive di valenza apologetica b l’affermazione contenuta nella conversazione numero 1016, in cui l’indagato avrebbe manifestato l’intenzione di recarsi in Siria, avrebbe in realtà un tono non serio c i commenti sulle vicende della guerra in corso in Siria si inserirebbero nell’ambito di conversazioni riguardanti la religione islamica d i filmati trovati all’interno del telefono cellulare confermerebbero solo la fede integralista dell’indagato. 4. In tale articolato quadro deve quindi essere valutato il ricorso del Pubblico Ministero che ha sostanzialmente contestato a il modo con cui il Tribunale ha proceduto al vaglio del compendio indiziario b la valutazione parcellizzata dei singoli elementi indiziari c la omessa valutazione delle fonti dichiarative. 5. Il motivo è fondato. Si coglie in giurisprudenza una tendenza ad allargare l’ambito applicativo del reato di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo. La ragione di tale tendenza è normalmente rinvenuta nella esigenza di adeguare in termini di efficienza ed effettività la risposta penale a condotte, comportamenti, azioni compiute da nuclei terroristici strutturati a cellula o a rete, che sono in grado di operare a distanza attraverso elementari organizzazioni di uomini e mezzi, facendo rientrare, in tale contesto, anche l’operato di coloro che, per la totale autonomia organizzativa, sono comunemente definiti lupi solitari . La pericolosità di tali nuovi fenomeni di terrorismo, riconducibili ad organizzazioni sostanzialmente militari con localizzazione centrale all’estero, è stata fronteggiata con plurimi interventi normativi che hanno implicato la necessità di doversi cimentare con nuove questioni di diritto penale, derivanti dall’introduzione di nuove fattispecie incriminatrici di comportamenti prodromici e finalizzate ad attribuire rilevanza al proselitismo, alla preparazione, al supporto ed al finanziamento delle azioni delle organizzazioni coinvolte. Si è assistito ad una progressiva anticipazione della soglia della rilevanza penale, anche della condotta di partecipazione , con conseguente corrispettiva anticipazione, sul piano processuale, del momento d’inizio delle indagini e della applicazione di misure cautelari. A ciò è conseguita, in dottrina ma anche nella giurisprudenza, una diffusa operazione di elaborazione, di riflessione e di adattamento di alcuni principi, per molto tempo affermati. 6. Le più recenti pronunce di legittimità sulla configurabilità del reato di cui all’articolo 270 bis, comma 2, cod. penumero richiamano principi giuridici consolidati in tema di reato associativo, reinterpretandoli, tuttavia, in modo, almeno in parte, nuovo e, soprattutto, elastico in ragione della necessità di adattarli e conformarli alle nuove manifestazioni criminali si valorizzano, al fine della configurazione della partecipazione all’associazione terroristica, condotte di mera propaganda, di proselitismo o arruolamento, purché supportate dall’adesione psicologica al programma criminoso dell’associazione medesima. È obiettivamente avvertito il rischio che dall’ampliamento dell’ambito applicativo della condotta partecipativa derivi uno svuotamento, una limitazione, una compressione del controllo giurisdizionale della necessaria ed effettiva materialità della stessa e della sua concreta incidenza causale in ordine alla realizzazione della finalità perseguita nel programma criminoso dell’associazione. Tale rischio si rivela concretamente e si coglie ove si consideri la parallela elaborazione giurisprudenziale in tema di partecipazione in associazione a delinquere di stampo mafioso articolo 416-bis, comma 1, cod. penumero e di concorso esterno nella associazione medesima, nel cui contesto è invece diffusa l’affermazione secondo cui si definisce partecipe colui che, risultando inserito stabilmente e organicamente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, non solo è ma fa parte della meglio ancora prende parte alla stessa locuzione questa da intendersi non in senso statico, come mera acquisizione di uno status, bensì in senso dinamico e funzionalistico, con riferimento all’effettivo ruolo in cui si è immessi e ai compiti che si è vincolati a svolgere perché l’associazione raggiunga i suoi scopi, restando a disposizione per le attività organizzate della medesima Sez. U, numero 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231673 . 6.1. La questione è oltremodo complessa perché, come sottolineato in dottrina, involge anche il rapporto tra condotta di partecipazione e le altre numerose condotte di sostanziale agevolazione dell’associazione terroristica ed attiene al come la progressiva, tendenziale, a volte sommersa, smaterializzazione della condotta di partecipazione si coniughi con la incriminazioni delle singole condotte di agevolazione . 7. Non potendo la condotta di partecipazione consistere in una mera adesione psicologica al programma criminale dell’associazione, essa presuppone il rigoroso accertamento a della esistenza e della effettiva capacità operativa di una struttura criminale, su cui si innesta il contributo partecipativo b della consistenza materiale della condotta individuale ovvero del contributo prestato, che non può essere smaterializzato, meramente soggettivizzato, limitato alla idea eversiva, privo di valenza causale ovvero ignoto all’associazione terroristica alla cui attuazione del programma criminoso si intende contribuire. Si tratta di snodi fondamentali che non possono discendere sul piano probatorio da accertamenti sincopati o sbrigativi. 7.1. Quanto al primo profilo, è consolidata nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui l’idea, anche se di natura eversiva, se non accompagnata da programmi e comportamenti violenti, riceve tutela proprio dall’assetto costituzionale, che ha consacrato il metodo democratico e pluralistico e che essa, contraddittoriamente, mira a travolgere Sez. 1, numero 8952 del 7/4/1987, Angelini, Rv. 176516 . Tale principio è stato riaffermato più recentemente dalla Corte di cassazione si è ribadito che il reato previsto dall’articolo 270-bis cod. penumero è un reato di pericolo presunto, per la cui configurabilità occorre, tuttavia, l’esistenza di una struttura organizzata, con un programma comune fra i partecipanti finalizzato a sovvertire violentemente l’ordinamento dello Stato e accompagnato da progetti concreti e attuali di consumazione di atti di violenza con la conseguenza che la semplice idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti e attuali di violenza, non vale a realizzare il reato. Sez. 1, numero 22719 del 22/3/2013, Lo Turco, Rv. 256489 Sez. 1, numero 30824 del 15/6/2006, Tartag, Rv. 234182 Sez. 1, numero 1072 del 11/10/2006, Bouyahia Maher, Rv. 235289 . Dunque, è necessaria una condotta del singolo che si innesti in una struttura organizzata, anche elementare, che presenti un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione del programma criminoso, mentre non è necessaria anche la predisposizione di un programma di concrete azioni terroristiche Sez. 5, numero 2651 del 8/10/2015, dep. 2016 , Nasr Osama, Rv. 265924 nello stesso senso, Sez. 6, numero 46308 del 12/7/2012, Chahchoub, Rv. 253943 . 8. Quanto al secondo dei profili indicati, occorre considerare che un fenomeno obiettivamente complesso e disarticolato, in cui ogni individuo può da sé commettere attentati in ragione della volontà di dare attuazione al programma di un’organizzazione terroristica, pone la difficoltà nell’individuazione del limite inferiore a partire dal quale possa dirsi che un soggetto che pure compie atti che possono coincidere con quelli attuativi del programma di un’associazione con finalità di terrorismo partecipa alla stessa, ai sensi dell’articolo 270 bis, comma 2, cod. penumero Sul tema è utile considerare che, dimostrata l’esistenza di una associazione per delinquere e individuati gli elementi concreti, sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno nelle attività dell’associazione stessa, e quindi la partecipazione alla vita di quest’ultima, non occorre anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto da quel medesimo soggetto nell’ambito dell’associazione, potendosi la partecipazione al sodalizio criminoso, per sua stessa natura, realizzarsi nei modi più svariati, con una condotta libera, la cui specificazione non è richiesta dalla norma incriminatrice in tal senso, Sez. 2, numero 43632 del 28/09/2016, Capuano, Rv. 268317 . Con riferimento a strutture organizzative cellulari o a rete , flessibili, che, come detto, possono operare in più paesi contestualmente, in tempi diversi e attraverso contatti a loro volta sparuti, sommersi, ovvero attraverso la rete, si è affermato che la fattispecie associativa è integrata anche da un sodalizio che realizza condotte di supporto all’azione terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali, quali quelle volte al proselitismo, alla diffusione di documenti di propaganda, all’assistenza agli associati, al finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di armi, alla predisposizione o acquisizione di documenti falsi, all’arruolamento, all’addestramento, ossia a tutte quelle attività funzionali all’azione terroristica, alcune della quali integranti anche fattispecie delittuose autonome Sez. 6, numero 46308 del 12/7/2012, Chahchoub, Rv. 253944 . Non diversamente, quanto alla prova della partecipazione all’associazione con finalità di terrorismo, Sez. 2, numero 25452 del 21/02/2017, Beniamino, Rv. 270171 ha precisato che la dichiarazione di responsabilità penale presuppone la dimostrazione dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte sintomatiche consistenti anche solo nello svolgimento di attività preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale. Ne segue che la partecipazione può concretarsi anche in condotte strumentali e di supporto logistico alle attività dell’associazione che, tuttavia, inequivocamente rivelino l’inserimento di un soggetto nell’organizzazione. 9. La questione allora attiene al quando è possibile affermare che sia stata raggiunta la prova dell’effettivo inserimento del singolo nella struttura associativa, e, in particolar modo, dell’associazione internazionale. In tale contesto si colloca Sez. 5, numero 48001 del 14/7/2016, Hosni, Rv. 268164. La Corte di cassazione ha chiarito che l’attività di indottrinamento, finalizzata ad indurre nei destinatari una generica disponibilità ad unirsi ai combattenti per la causa islamica e ad immolarsi per la stessa, non consente di ravvisare quegli atti di violenza terroristica o eversiva il cui compimento, per quanto detto, deve costituire specifico oggetto dell’associazione in esame. Si è notato come in passato la stessa giurisprudenza di legittimità avesse sì attribuito significatività, ai fini della ravvisabilità del reato, alla c.d. vocazione al martirio ma ciò, tuttavia, ai limitati fini della valutazione sulla sussistenza di gravi indizi per l’adozione di misure cautelari nei confronti del singolo partecipante ad una cellula terroristica, della quale sia stata aliunde riconosciuta l’effettiva operatività Sez. 2, numero 669 del 21/12/2004, dep. 2005 , Ragoubi, Rv. 230431 , e, comunque, a condizione che le attività di indottrinamento e reclutamento siano affiancate da quella di addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento Sez. 6, numero 46308 del 12/07/2012, cit. in modo da attribuire all’esaltazione della morte, in nome della guerra santa contro gli infedeli, caratteristiche di materialità che realizzino la condizione per la quale possa dirsi che l’associazione, secondo il dettato normativo già ricordato, si propone il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo . Con lucidità si è specificato che, al fine di accertare l’adesione al programma criminoso al di là della semplice condivisione ideologica, possono costituire, soprattutto in fase cautelare, elementi rilevanti anche i propositi eversivi degli aderenti, espressi con reiterate manifestazioni di disponibilità a partire per fare jihad , a condizione che detti propositi non siano astratti, cioè espressione di un’aspirazione personale o di una condivisione ideologica, quanto, piuttosto, sorretti da elementi concreti che rivelino l’esistenza di un contatto operativo reale tra il singolo e la struttura che consenta di tradurre in pratica i propositi di morte. 10. Dunque, i propositi di partire per combattere gli infedeli , la vocazione al martirio, l’opera di indottrinamento possono costituire elementi da cui desumere, quantomeno in fase cautelare, i gravi indizi di colpevolezza per il reato di partecipazione all’associazione di cui all’articolo 270 bis cod. penumero a condizione che vi siano elementi concreti che rivelino l’esistenza di un contatto operativo che consenta di tradurre in pratica i propositi di morte. È necessario che la condotta del singolo si innesti nella struttura, cioè che esista un legame, anche flessibile, ma concreto e consapevole tra la struttura e il singolo. Non paiono condivisibili costruzioni giuridiche che, ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione, ritengono sufficiente l’adesione del singolo a proposte in incertam personam quelle del sodalizio internazionale anche nel caso in cui l’adesione non sia accompagnata dalla necessaria conoscenza, anche solo indiretta, mediata, riflessa, di essa da parte della struttura internazionale. Per configurare la partecipazione alla associazione internazionale con finalità di terrorismo, è necessario che questa, anche indirettamente, sappia di avere a disposizione, di poter contare su un determinato soggetto. Esiste, anche nella giurisprudenza di legittimità, una tendenza invece a valorizzare l’assunto secondo cui la modalità di creazione dell’affectio societatis tra i sodali della singola cellula e la struttura internazionale terroristica ISIS è essa stessa peculiare, influenzata da una propaganda di adesione improntata ad un modello spontaneista e privo di formalismi, spesso avulso da qualsiasi contatto fisico tra soggetti che siano esponenti riconosciuti dell’organizzazione terroristica islamistica di riferimento e persone aderenti ai gruppi o cellule che compiono poi gli attentati Sez. 5, numero 50189 del 13/07/2017, Bakaj, Bakaj, Rv. 271647 così massimata la partecipazione ad una associazione terroristica di ispirazione jiahadista può manifestarsi anche attraverso modalità di adesione aperte e spontaneistiche, che non implicano l’accettazione da parte del gruppo, ma che comportano di fatto una inclusione progressiva dei partecipi. Fattispecie in cui si è ritenuta partecipe dell’associazione terroristica una cellula operativa autonoma composta di più soggetti attivi sul territorio italiano . E tuttavia, se è certamente vero che l’Isis e, in generale, le moderne organizzazioni terroristiche di matrice islamica radicale, propongono una formula di adesione alla struttura sociale che può definirsi aperta e in progress , sempre disponibile ad accogliere le vocazioni criminali provenienti da singoli e gruppi, è altrettanto vero che ciò che deve essere verificato è se, alla stregua delle singolarità del caso concreto e, soprattutto, delle condotte prodromiche poste in essere da chi si assume essere partecipe , siano individuabili in concreto contatti con associazioni criminose terroristiche internazionali e se tali contatti costituiscano espressione della concretizzazione del proposito del singolo di attuare azioni delittuose strumentali al perseguimento del programma del gruppo internazionale. Dalla prova della partecipazione ad un gruppo che opera sul territorio nazionale con finalità di terrorismo non discende automaticamente la prova della partecipazione all’associazione internazionale in senso diverso, Sez. 5, numero 50189 del 13/07/2017, Bakaj, cit. . Diversamente, si rischia di considerare partecipi all’associazione internazionale Isis anche coloro che con lo Stato Islamico non hanno nessun contatto la cui esistenza è ignota al gruppo madre i cui rapporti con questa sono limitati alla mera condivisione di informazioni mediante i più diffusi social-network la partecipazione all’associazione internazionale non può prescindere dalla esistenza di un contatto reale, non putativo, non eventuale, non meramente interiore, con chi a quella associazione è stabilmente legato perché partecipe della cellula madre. In astratto, la chiamata al jihad può essere onorata anche attraverso condotte individuali, autonome e scisse da ogni contatto, anche solo informativo, con qualsiasi struttura ovvero sulla base di un gruppo che opera sul territorio ma che, tuttavia, non abbia rapporti con quello madre internazionale in tale ultimo caso si può in astratto configurare la partecipazione, ai sensi dell’articolo 270 bis cod. penumero , ad una organizzazione con finalità di terrorismo, quella per cosi dire locale , ma da tale partecipazione non può farsi discendere automaticamente la partecipazione all’associazione internazionale Isis, in assenza di accertamenti ulteriori. Si è affermato condivisibilmente in dottrina che la legge penale non può che limitarsi a punire la partecipazione alle associazioni criminali, poiché sono queste ultime, in base come operano, a stabilire il quomodo della partecipazione ma si deve comunque adottare un criterio valutativo che rispetti le esigenze di coerenza intrasistematica e l’architettura fondante della teoria del reato associativo. 11. Dunque, una struttura organizzata, anche se elementare ed una condotta materiale, diversa dalla mera adesione psicologica o ideologica al programma criminale, che presupponga la dimostrazione di un inserimento nella struttura organizzata, anche attraverso il compimento di condotte sintomatiche. Non occorre uno stabile inserimento nell’apparato dell’associazione, né l’attribuzione di specifiche funzioni per partecipare e rafforzare una siffatta associazione è sufficiente che il partecipe si metta a disposizione della rete per attuare il disegno terroristico, che questa sappia dei progetti criminosi. 12. Il Tribunale della libertà non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati e ha rigettato l’appello del Pubblico ministero attraverso una motivazione gravemente viziata. È consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite. Sez. U., numero 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 Sez. 2, numero 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389 . Rispetto al quadro indiziario descritto dallo stesso Tribunale, sono fondati gli assunti del Pubblico Ministero la valutazione di numerose conversazioni intercettate è caratterizzata da una interpretazione irragionevole perché parziale in quanto non ha tenuto conto delle dichiarazioni assunte nel corso del procedimento. Non è chiara la ragione per cui il dialogo intervenuto il 24/01/2017 conv. numero 1016 tra l’indagato e tale O. , in cui, secondo gli stessi assunti del Tribunale, pure emergerebbe la volontà dell’indagato di recarsi in Siria per rispondere al Jihad, avrebbe in realtà una valenza scherzosa. Quella del Tribunale è un’affermazione da cui emerge la omessa valutazione sul piano probatorio di un tema costitutivo del procedimento, quello relativo al se l’indagato fosse effettivamente in contatto con persone intranee al circuito islamista, con le quali aveva instaurato rapporti a seguito del periodo di detenzione sofferto con essi in Marocco. Si tratta di un tema di assoluto rilievo, alla luce dei principi diritto enunciati, la cui esistenza si evince non solo dalle conversazioni intercettate, ma, soprattutto, dalle dichiarazioni rese da B.S. , amico dell’indagato, che aveva riferito della contiguità di quest’ultimo con un i componenti di una cellula terroristica attiva in Marocco, del viaggio compiuto dall’indagato in Turchia dove era stato arrestato-, dell’opera di proselitismo non diversamente, nessuna considerazione è stata data alle dichiarazioni di T.K. che, a sua volta, aveva fatto riferimento ai contatti dell’indagato con soggetti presenti sul territorio siro-iracheno, appartenenti a gruppi jihadisti, o, ancora, a quelle di Ba.Hi. che aveva riferito espressamente, seppure per averlo appreso dall’indagato, dei rapporti di questi con soggetti operativi sui territori ed appartenenti ad un gruppo del quale non mi ha fatto il nome . Sulle dichiarazioni in questione nessuna valutazione è stata fornita, non è stato spiegato perché quanto riferito sarebbe inattendibile, perché dette dichiarazioni non dovrebbero colorare sul piano indiziario il contenuto di quelle conversazioni, sbrigativamente considerate priva di valenza probatoria perché scherzose. Rispetto a tale rilevante tema di prova, la motivazione è strutturalmente assente, essendosi il Tribunale limitato ad affermare a pag. 11 del provvedimento che anche dalle dichiarazioni emerge che gli interlocutori dell’indagato hanno sempre decisamente manifestato allo stesso la propria disapprovazione . La motivazione è gravemente carente perché, da una parte, omette di valutare una serie di elementi rilevanti ed ulteriori rispetto al contenuto delle conversazioni, e, dall’altra, sulla base di tale grave omissione, attribuisce un assertivo significato demolitorio della prospettazione d’accusa al contenuto di quelle conversazioni. Ciò che non è chiara è la ragione per cui si sia sostanzialmente escluso che l’indagato, durante il periodo di detenzione in Marocco abbia davvero avuto contatti diretti con soggetti appartenenti all’organizzazione internazionale terroristica Isis, e, quindi, perché, nel corso di quelle conversazioni, non avrebbe potuto seriamente e non per scherzo fare riferimento alla possibilità di utilizzare detti contatti. Il Tribunale avrebbe dovuto valutare che M. in quei dialoghi intercettati non manifestava solo la sua aspirazione a recarsi a combattere per l’Islam, ad immolarsi per la causa religiosa, non cercava solo di indottrinare le persone con cui si relazionava al solo fine di diffondere un’idea, ancorché eversiva avrebbe dovuto considerare, al fine di perimetrare correttamente il giudizio sulla gravità indiziaria, gli elementi probatori che erano stai portati alla sua cognizione e cioè che l’indagato a era stato detenuto in carcere con persone partecipi dell’Isis b a seguito di quelle frequentazioni, aveva mutato profondamente il proprio modo di vivere c era andato via dal Marocco per timore di essere coinvolto nelle operazioni di polizia che avevano smantellato una cellula terroristica d in Turchia era stato arrestato e aveva, secondo più fonti dichiarative, contatti reali con soggetti siro-iracheni, appartenenti a gruppi jihadisti. All’esito di tale attività valutativa, il Tribunale avrebbe poi dovuto fare corretta applicazione dei principi di diritto, di cui si è detto, e verificare se le condotte attribuibili all’indagato fossero o meno penalmente neutre perché espressione di mere aspirazioni personali ovvero di idee soggettive, oppure, in ragione della esistenza di contatti reali con esponenti dell’associazione internazionale denominata Isis, fossero sintomatiche dell’inserimento dell’indagato nella struttura del sodalizio. Inesistente è, sotto altro profilo, la motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine al contenuto delle conversazioni intercorse tra il fratello e la sorella dell’indagato ed intercettate immediatamente dopo il fermo di questi, delle quali pure il Tribunale ha dichiarato pag. 5 di averne avuta la disponibilità, e che, secondo la prospettazione d’accusa, avrebbero fatto ancora una volta esplicito riferimento ai contatti tra il M. e soggetti appartenenti ad associazioni terroristiche internazionali conv. numero 2542 del 6.4.2017 . Rispetto a tale quadro di riferimento, è irragionevole e quindi viziata la motivazione nella parte in cui ha attribuito rilevante valenza alla conversazione numero 1620, in cui l’indagato, nel corso di un dialogo con una donna, allorché questa pronunciò la parola Daesch , ebbe una reazione stizzita negando di far parte dell’Isis in tal senso si valorizza anche la conversazione numero 5514 del 20/12/2016 si tratta di una conversazione che si presta a letture diverse, rispetto alla quale il Tribunale fornisce una motivazione sul significato prescelto che sbrigativamente consente di demolire la portata degli assunti accusatori ma che non considera il contesto nel cui ambito quella affermazione fu compiuta. 13. Sotto ulteriore profilo, è fondato l’assunto del Pubblico Ministero secondo cui il Tribunale avrebbe compiuto una verifica parcellizzata e atomistica dei numerosi ed ulteriori elementi indiziari portati alla sua cognizione. Anche in questo caso si tratta di un modo di procedere che è inficiato da un duplice vizio di presupposizione. Il primo è costituito, come detto, dall’aver omesso di motivare su un tema cardine del procedimento, e cioè se M. avesse o meno rapporti reali con soggetti direttamente o indirettamente riconducibili all’Isis, attesa la potenziale capacità di tale profilo di condizionare la valutazione delle altre risultanze investigative. Il secondo attiene alle modalità con cui il Tribunale ha proceduto alla valutazione degli altri elementi, considerati scissi tra loro, ed esaminati come se, appunto, non vi fosse il tema probatorio del rapporto tra M. e i soggetti appartenenti all’organizzazione internazionale. Esemplificativa è la valutazione fornita a rispetto al tema delle esternazioni-non pubbliche compiute in occasione della diffusione delle notizie degli attentati terroristici, in cui, a dire del Tribunale, M. si sarebbe limitato a commentare eventi ed a ripetere frasi inneggianti ad Allah per come pronunciate dagli attentatori pag. 9 ordinanza b in relazione ai dialoghi avuti con le donne che, secondo l’ordinanza, non avrebbero mai avuto quei connotati di concreta idoneità anche solo a convincerle della bontà del pensiero sull’Islam , atteso che i dialoghi sarebbero stati tenuti con toni più o meno scherzosi pag. 11 a sul materiale di interesse investigativo rinvenuto sul telefono dell’indagato al momento del fermo. Al cospetto delle nuove forme di manifestazione del terrorismo globale e specialmente del terrorismo islamista, l’uso della parola, al di là del tema del contenuto apologetico, assume un ruolo correttamente definito in dottrina- costitutivo , perché può non essere limitato alla semplice divulgazione, alla mera manifestazione del pensiero incitamento, propaganda, apologia o anche solo manifestazioni di simpatia possono essere componenti di un più ampio raggio di azione finalizzato ad indottrinare, a prospettare cambiamenti di vita, ad infondere idee e senso di potenza nei fedeli , ad incrementare l’arruolamento tra le fila radicali, soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui l’oggetto della comunicazione non riguarda uno specifico evento, un singolo attentato, quanto piuttosto, la vocazione al martirio, e, soprattutto, la partecipazione ad un gruppo terroristico. L’esaltazione di un’organizzazione terroristica, l’invito ad aderirvi, la militanza ideologica hanno una valenza diversa se compiuti da un soggetto che abbia davvero rapporti con l’associazione terroristica di cui parla, ovvero, viceversa, da una persona del tutto slegata da contesti di criminalità organizzata si tratta di condotte che possono rendere complessa la distinzione tra la libera posizione ideologica ed il fatto penalmente rilevante, a sua volta astrattamente riconducibile a diverse fattispecie eterogenee, che vanno dai comuni reati d’opinione, al delitto d’associazione con finalità di terrorismo, passando per un nutrito catalogo di ipotesi intermedie. 14. Rispetto a tali complesse tematiche, la motivazione è silente. Di tutto ciò il Tribunale ha mostrato di non avere tenuto conto si è limitato ad escludere la configurabilità del reato di apologia di cui all’articolo 414 cod. penumero , sul presupposto che i discorsi dell’indagato non fossero pubblici si è affermato sbrigativamente che il tono scherzoso, che sarebbe stato usato, proverebbe la innocuità dei dialoghi, senza tuttavia considerare che quel tono, ove davvero esistente, avrebbe potuto essere usato in funzione strumentale e strategica da parte di chi, magari, aveva davvero i propri contatti con il gruppo terroristico internazionale e fosse interessato a verificare innanzitutto il grado di interesse dell’interlocutore e, quindi, la possibilità di intraprendere una fidelizzazione progressiva della persona con cui aveva deciso di relazionarsi. 15. L’ordinanza, dunque, deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame. Il Tribunale, facendo rigorosa applicazione dei principi di diritto indicati a ricostruirà il perimetro cognitivo entro il quale formulare la valutazione della gravità indiziaria b specificherà la condotta in concreto attribuita all’odierno indagato c verificherà se la condotta in questione sia penalmente rilevante ed eventualmente, posto che lo sia, se sia giuridicamente qualificabile in termini di partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo ovvero sia riconducibile ad altra fattispecie di reato d riformulerà, sulla base delle verifiche indicate, l’eventuale giudizio sulle esigenze cautelari. 16. Sul ricorso dell’indagato. Anche il ricorso proposto nell’interesse dell’indagato è fondato. Evidenzia il difensore come il Tribunale dell’appello abbia dedicato al capo b solo poche affermazioni a pag. 11 dell’ordinanza, per il resto integralmente redatta in funzione del capo a , e, nell’ambito di tale succinta motivazione, si sarebbe limitato ad affermazioni assertive. Dalla lettura dell’ordinanza emerge chiaramente come il giudizio sulla gravità indiziaria da parte del Tribunale sia stato in effetti formulato nel penultimo periodo di pag. 5, in cui si afferma le conversazioni e le dichiarazioni evidenziate nel P.M. nell’atto di appello consentono di ravvisare gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato anche per le contestazioni riguardanti le condotte di detenzione, in concorso con il fratello e con P.M. , di sostanza stupefacente del tipo cocaina , e in un periodo contenuto a pag. 11 sostanzialmente assertivo. La motivazione sul giudizio di gravità indiziaria è apparente, totalmente omessa, strutturalmente inesistente, essendosi il Tribunale pigramente limitato a richiamare le possibili fonti di prova, senza tuttavia indicare anche solo un fatto, un elemento concreto confermativi, ancorché solo sul piano indiziario, dell’ipotesi accusatoria. L’ordinanza deve essere annullata con rinvio anche sul punto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata in ordine ai reati di cui agli articolo 270 bis e 302 cod. penumero ed in ordine al reato di cui all’articolo 73 D.P.R. 309/90 limitatamente all’estensione del reato alla sostanza stupefacente del tipo cocaina e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Perugia. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. penumero