In tema di condominio negli edifici, costituisce un uso illegittimo della cosa comune, ai sensi degli artt. 1102 e 1120 c.c., l’apertura di un varco sul muro condominiale verso un altro edificio anche se per mettere in comunicazione due unità immobiliari appartenenti alla medesima persona, in quanto tale condotta comporta la possibilità di costituzione di una servitù di passaggio gravante sul condominio.
Il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 21395 del 18 settembre 2013 è conforme all’orientamento consolidato ed unanime espresso dagli stessi ermellini. La sentenza si segnala anche per un altro aspetto se esiste già un varco aperto, la seconda apertura può essere legittimamente considerata un aggravamento della servitù e come tale essere considerata illecita ai sensi dell’art. 1067 c.c In tal caso l’esame fattuale è rimesso al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Il caso . Un condominio romano fa causa ad uno dei condomini. Motivo nell’unità immobiliare di quest’ultimo è stato praticato un varco sul muro perimetrale per metterla in comunicazione con altro fondo sempre dello stesso soggetto, ma ubicato in altro edificio. Si chiedeva la rimessione in pristino e la condanna del condomino al risarcimento del danno. Quest’ultimo chiamava in causa l’ex conduttore dell’unità immobiliare. Tra queste due parti nasceva il classico scaricabarile che non rivestiva alcuna utilità per nessuno dei due il giudice di primo grado li condannava in solido. La sentenza veniva impugnata ma confermata dal giudice del gravame che non riscontrava alcuna illegittimità. Insomma l’apertura del varco rappresentava un uso illecito della cosa comune muro perimetrale in grado di far sorgere una servitù di passaggio a favore di un altro fondo e ciò non poteva avvenire se non con il consenso di tutti i comproprietari art. 1059 c.c. . Da qui il ricorso per Cassazione del conduttore chiamato in causa. Spiegare perché una condotta è illecita non vuol dire viziare la sentenza di ultrapetizione . Il primo motivo di ricorso puntava a demolire la sentenza d’appello per violazione dell’art. 112 c.p.c. Gli ermellini hanno ritenuto infondata questa doglianza. Né nel primo, né nel secondo grado di giudizio, cosa rilevante ai fini della pronuncia in esame, i giudici erano andati oltre le richieste delle parti. Nello specifico il condominio aveva domandato la chiusura dell’apertura in quanto costituente illegittima utilizzazione del muro perimetrale comune ed i giudici avevano ritenuto fondata quella richiesta. Motivare argomentando sui possibili rischi di costituzione di una servitù non vuol dire eccedere rispetto alla domanda. Il varco sul muro verso un’altra proprietà è sinonimo di uso illegittimo anche se l’altra proprietà è di un condomino . A nulla è valso specificare nel ricorso che la sentenza impugnata doveva considerarsi errata in quanto il varco era stato aperto verso un’unità immobiliare che, sia pur ubicata in altro edificio, apparteneva ad uno dei condomini. Ciò non basta per scongiurare un uso illegittimo della cosa comune e su questo punto, tengono a chiarire i giudici di piazza Cavour, non ci sono dubbi ormai da anni. In sostanza la sentenza di secondo grado era incensurabile anche su questo aspetto. La decisione impugnata si legge in sentenza è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di utilizzazione del muro perimetrale dell'edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 c.c., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell'edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione e possono dar luogo all'acquisto di una servitù di passaggio a carico della proprietà condominiale cfr., fra le tante, Cass. n. 3035/2009, n. 9036/2006, n. 1708/1998, n. 350/1995, n. 2773/1992, n. 5780/1988 . Costituisce comunque un aggravamento della servitù l’apertura di un nuovo varco . A nulla sono valse le doglianze relative al fatto che l’apertura praticata non fosse la prima tra le due proprietà. Come dire non può parlarsi di uso illegittimo e di servitù esistendo già una situazione del genere. Anche sul punto la Corte regolatrice ha ritenuto il ricorso infondato. La condotta censurata, infatti, rappresentava comunque un aggravamento non consentito di una servitù già esistente. La sentenza d’appello risultava ben motivata sul punto e come tale incensurabile in Cassazione. Danno liquidato in via equitativa non significa motivazione sbrigativa della sua quantificazione . L’unico punto sul quale i giudici di Cassazione hanno ritenuto censurabile la sentenza impugnata è stato quello relativo alla quantificazione del danno. Lesione del diritto di proprietà valutata pari ad 25.000,00 in primo grado e poi abbassata ad 10.000,00 in appello. I criteri di liquidazione di queste somme, però, non sono stati chiari. Da qui la cassazione della sentenza sul punto con rinvio alla Corte d’appello competente.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 giugno - 18 settembre 2013, n. 21395 Presidente Triola Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 26/5/1994 il Condominio di viale omissis chiedeva la condanna di F C. a rimettere in pristino un muro perimetrale che il convenuto, proprietario dell'unità immobiliare all'interno del fabbricato condominiale, aveva demolito per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà con un locale attiguo facente parte di un altro condominio chiedeva inoltre il risarcimento dei danni. Il convenuto eccepiva di non essere stato l'esecutore della demolizione e di non averla autorizzata chiamava in causa in manleva la Mondial Shoes, conduttrice dei locali in quanto esecutrice dei lavori. La terza chiamata non contestava di avere eseguito i lavori, ma ne contestava l'illiceità e assumeva che i lavori erano stati autorizzati dal proprietario dei locali condotti in locazione e che l'amministratore del condominio ne era a conoscenza. Il Tribunale di Roma con sentenza del 20/3/2003 condannava la terza chiamata alla rimessione in pristino del muro nonché, in solido con il convenuto, al risarcimento dei danni liquidati in Euro 25.000 ritenendo l'illiceità delle opere eseguite sul muro condominiale. Mondial Shoes proponeva appello e C.F. proponeva appello incidentale il Condominio si costituiva per resistere alle impugnazioni. La Corte di Appello di Roma con sentenza del 30/11/2005 rigettava l'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento, confermava l'illiceità delle opere e l'ordine di rimessione in pristino, riduceva ad Euro 10.000,00 l'importo risarcitorio, accoglieva la domanda di manleva del C. . La Corte distrettuale, per quanto qui ancora interessa, rilevava - che era corretta la motivazione del giudice di prime cure secondo la quale l'apertura del varco tra i due locali assoggettava ad un peso il bene condominiale in particolare le fondazioni, il suolo, i solai e le strutture , prodromico alla costituzione di una servitù per usucapione - che la censura dell'appellante principale e dell'appellante incidentale, secondo la quale la servitù di passaggio era preesistente, non poteva essere accolta perché la nuova apertura poneva le premesse del formarsi di una ulteriore servitù che invece avrebbe dovuto essere consentita, ai sensi dell'art. 1059 c.c., da tutti i condomini - che il danno risarcibile doveva essere individuato nel peso posto a carico del bene condominiale, prodromico alla costituzione di una servitù su parti comuni e doveva essere equitativamente accertato e liquidato - che l'ammontare del danno poteva essere equitativamente liquidato nella somma di Euro 10.000,00 tenuto conto del tempo trascorso tra la realizzazione delle opere e la sentenza. Mondial Shoes s.r.l. propone ricorso affidato a cinque motivi e deposita memoria. Resiste con controricorso il Condominio di Viale omissis . È rimasto intimato F C. . Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c. e sostiene che il giudice di primo grado e il giudice di secondo grado, ritenendo che le opere fossero idonee alla costituzione di una servitù, hanno esaminato e posto a fondamento della decisione una questione giuridica mai dedotta dalle parti e, in particolare, dal condominio attore che aveva ricondotto l'illiceità dell'opera alla violazione di norme regolanti il condominio. 1.1 Il motivo è infondato. Il Condominio attore aveva chiesto la declaratoria di illegittimità del varco realizzato dal condomino nel muro condominiale, assumendo che al condomino non era consentito realizzare quel varco. I giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che l'opera fosse illegittima e che al condomino così come conduttore del locale di proprietà del condomino non era consentita l'apertura in quanto poneva a carico della proprietà condominiale un peso non consentito che, con il trascorrere del tempo, avrebbe potuto giustificare l'usucapione di una servitù apparente e, dunque, con implicito ma inequivoco riferimento ad un uso della cosa comune non consentito. Pertanto la Corte di Appello non è incorsa in alcun vizio di extrapetizione, non ha accolto una domanda diversa ad esempio una negatoria servitutis ma ha esattamente accolto la domanda del condominio senza mutare le circostanze di fatto che ne erano state poste a fondamento e senza mutarne il petitum inoltre il giudice di appello si è limitato a confermare il percorso motivazionale del primo giudice rispetto al quale non era stato dedotto, con gli appelli, un vizio di extrapetizione, ma solo una censura di merito così che la Corte di Appello neppure avrebbe potuto rilevare, di ufficio, una eventuale extrapetizione, il che esclude ab imis un error in procedendo . 2. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1027 c.c. sostenendo che la servitù che consentiva l'accesso da un locale all'altro già esisteva e che pertanto l'apertura dell'ulteriore varco di accesso rappresentava l'esercizio di una facoltà già ricompresa nella originaria servitù la cui esistenza, al contrario, legittimava proprio l'apertura del varco. 3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1065 e 1067 c.c. e sostiene che, avendo, essa, l'esclusiva detenzione dei due locali posti in reciproca comunicazione, l'apertura di un secondo accesso non poteva minimamente aggravare la condizione del fondo servente perché rimanevano inalterati il contenuto, la portata e l'oggetto della servitù, ma variavano solo le modalità di esercizio che non erano predeterminate. 4. Il secondo e il terzo motivo devono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono all'unitaria censura secondo la quale l'apertura di un secondo varco nel muro perimetrale dell'edificio non costituirebbe né una nuova servitù, né un aggravamento della servitù preesistente. I due motivi sono infondati. La decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di utilizzazione del muro perimetrale dell'edificio condominiale da parte del singolo condomino, costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 c.c., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva proprietà, esistenti nell'edificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione e possono dar luogo all'acquisto di una servitù di passaggio a carico della proprietà condominiale cfr., fra le tante, Cass. 6/2/2009 n. 3035 Cass. 19/4/2006, n. 9036 Cass. 18/2/1998 n. 1708 Cass. 13/1/1995 n. 360 7/3/1992 n. 2773 25/10/1988 n. 5780 . Le censure oggetto dei due motivi qui in esame non sono idonee a contrastare la correttezza, in diritto, della sentenza impugnata perché - la Corte di Appello ha dato atto della preesistenza di un altro varco ubicato in altra parte dell'immobile, ma l'apertura di altro e diverso varco non può essere ritenuta una semplice modalità di esercizio ampliativa della preesistente facoltà o in essa ricompresa ai sensi dell'art. 1027 c.c., ma determina un onere nuovo e diverso a carico del fondo servente ciò comporta l'infondatezza del secondo motivo - la Corte di Appello ha ritenuto che l'apertura del nuovo varco oltre a quello preesistente ponesse le premesse per la costituzione di una ulteriore servitù di passaggio tra i due fondi motivando anche con riferimento al nuovo peso a carico delle strutture del fabbricato e pertanto le censure di cui al terzo motivo sono estranee al contenuto della decisione e non attingono la sua ratio decidendi , trattandosi di censure in merito all'erronea applicazione delle norme di cui all'art. 1065 c.c. esercizio conforme al titolo o al possesso e all'art. 1067 c.c. divieto, per il proprietario del fondo dominante di fare innovazioni che rendano più gravosa la condizione del fondo servente tali censure non sono congrue rispetto alla motivazione della sentenza, non censurata ex art. 360 n. 5 c.p.c., nella parte in cui si afferma che sono state poste le premesse per la costituzione di una ulteriore servitù e si è imposto un ulteriore peso a carico delle strutture dell'edificio, escludendosi così l'ipotesi del semplice aggravio della servitù preesistente. 5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1226 c.c. e sostiene che nella fattispecie non poteva essere applicato l'art. 1226 c.c. in quanto non solo mancava la prova del danno nel suo preciso ammontare, ma il danno era proprio insussistente né poteva essere ravvisato nelle limitazioni al diritto di proprietà del condominio perché questo non aveva accesso in alcuno dei due locali che con le opere erano stati posti in comunicazione. 5.1 Occorre premettere che ai sensi dell'art. 2058 c.c. la violazione del diritto reale richiede una rimozione del fatto lesivo e, quindi, la tutela primaria è costituita dalla rimessione in pristino che nel giudizio è stata disposta con la condanna alla rimessione in pristino, come risulta dalla stessa sentenza di appello. Ciò tuttavia non esclude che possa essere risarcito per equivalente un danno ulteriore che non sia possibile risarcire con la sola rimessione in pristino. Dalla sentenza di appello risulta che la rimessione in pristino è avvenuta, ma la Corte di Appello ha ritenuto risarcibile un danno ulteriore. Il varco aperto nel muro perimetrale è stato realizzato con la demolizione del muro di proprietà condominiale che costituiva l'elemento di separazione tra un condominio e un altro condominio così che il condominio che ha subito l'evento lesivo, ha dovuto subire, fino al ripristino, le conseguenze dell'avvenuta demolizione dell'elemento separatore, come ritenuto dalla Corte di Appello nel suo riferimento al danno conseguente alla realizzazione per effetto dell'apertura del varco dei presupposti per la realizzazione di una servitù su parti comuni del fabbricato tale danno è qualificabile come danno conseguenza e dipendente da un fatto illecito, come accertato in sentenza. È quindi infondata l'affermazione della ricorrente secondo la quale il diritto di proprietà è rimasto integro, conclusione del resto incompatibile con l'accertata demolizione di una parte della proprietà, per giunta destinata alla specifica funzione di separare un condominio da un altro condominio. L'impianto motivazionale della sentenza di appello costituisce coerente applicazione dell'art. 1226 c.c. e la sentenza non è stata impugnata, quanto all'esistenza del danno, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Il quarto motivo deve pertanto essere rigettato. 6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla mancata indicazione dei criteri che giustificano la quantificazione del danno in via equitativa e sostiene che la Corte territoriale è venuta meno all'obbligo di indicare, quanto meno sommariamente, i criteri seguiti per la liquidazione del danno non essendo sufficiente il generico riferimento al periodo di tempo intercorso tra la realizzazione delle opere e la sentenza di appello. 6.1 Il Giudice di merito - nel caso che non sussistano elementi utili e sufficienti per la precisa determinazione del danno - certamente può pervenire ad una liquidazione che non si discosti in misura notevole dalla reale entità del pregiudizio, ma deve indicare, almeno sommariamente e sia pure con l'elasticità propria dell'istituto e dell'inerente ampio potere discrezionale, i criteri seguiti per determinare il quantum Cass. 6067/2006 Cass. 6426/2001 Cass. 14166/99 Cass. 4894/98 . Nel caso di specie la Corte territoriale, pur avendo individuato il danno lamentato dal Condominio attore nelle conseguenze derivanti dalla realizzazione dell'intervento demolitorio che ha realizzato i presupposti per la costituzione di una servitù su parti comuni del fabbricato, non ha dato minimamente conto degli elementi sulla base dei quali è pervenuta a quantificare tale danno, ai sensi dell'art. 1226 c.c., nell'importo di diecimila Euro. Infatti, l'unico criterio di liquidazione enunciato nella sentenza il tempo intercorso tra la realizzazione dell'opera demolitrice e la data della sentenza di appello è del tutto incongruo in considerazione del fatto che il muro risulta ricostruito anteriormente alla pronuncia della sentenza senza che sia neppure enunciato in sentenza il protrarsi di ulteriori conseguenze dannose la motivazione è carente non solo per l'evidenziata incongruità, ma anche perché non da alcuna indicazione sulla reale entità del pregiudizio subito dal condominio nella concreta situazione al fine di individuare una proporzionalità con il danno liquidato in misura non certo simbolica, ma significativa. Il motivo va, pertanto, accolto, con conseguente rinvio della causa ad altra sezione della corte di appello di Roma che, nel procedere ad una nuova valutazione del danno, si atterrà al principio più sopra riportato. 7. All'udienza del 9/1/2013 era stato disposto il rinvio della causa per consentire al controricorrente di produrre la deliberazione dell'assemblea di autorizzazione all'amministratore del condominio che aveva proposto il controricorso a stare in giudizio. Infatti l'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione Cass. S.U. n. 18331/2010 . In questo giudizio di cassazione, dopo il rinvio disposto per la regolarizzazione, è stata prodotta una delibera autorizzativa risalente al 1989 e, quindi, non relativa a questo giudizio di cassazione, perché la sentenza impugnata è di data 30/11/2005 successiva di circa sedici anni e il ricorso per cassazione è stato posto in notifica il 10/1/2007. Ne discende l'inammissibilità della costituzione del condominio a favore del quale, pertanto, non potranno in nessun caso essere liquidate le spese di questo giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso, accoglie il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione corte di appello di Roma. Dichiara inammissibile la costituzione del condominio per questo giudizio di cassazione.