La parte divenuta maggiorenne intervenendo nel processo di gravame ha dimostrato di aver avuto conoscenza dell’instaurazione del giudizio in grado di appello, così che lo scopo dell’atto di citazione è stato in ogni caso raggiunto.
Non è inammissibile l'impugnazione nella specie, citazione in appello proposta nei confronti di minore d'età, divenuto maggiorenne nel corso del precedente giudizio benché l'evento non sia stato dichiarato né notificato, qualora il gravame sia stato notificato ai suoi genitori nella qualità di esercenti la potestà, laddove la nullità scaturente da tale vizio di notifica risulti sanata mediante costituzione in giudizio dell'interessato. È quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con sentenza numero 24450 del 21 novembre. Il caso. A seguito di un sinistro stradale in cui un trattore aveva investito un minorenne a bordo di un motociclo, il giudice di primo grado condannava proprietario e conducente del mezzo al risarcimento danni. I soccombenti hanno proposto appello notificandolo al difensore del genitore esercente la potestà sul ragazzo investito, il quale nel frattempo è divenuto maggiorenne. Il ragazzo è intervenuto in appello e ha concluso in modo conforme alle conclusioni del padre, e cioè per l’inammissibilità dell’impugnazione. Appello notificato al difensore del genitore del minore, nel frattempo divenuto maggiorenne, e costituzione in giudizio del l’ex minore. I giudici del gravame hanno sentenziato che l’atto di appello era stato erroneamente proposto e notificato nei confronti del genitore e, pertanto, era da dichiararsi inammissibile. A tal proposito, la Corte d’appello ha osservato che l’intervento in giudizio del figlio divenuto maggiorenne, pur sanando il difetto di legittimazione del genitore non spiegava anche l’effetto di sanare l’errore dei ricorrenti nel notificare l’atto questi hanno precisato che nel corso del giudizio di primo grado vi era stata la costituzione di un nuovo difensore – cui è stata poi destinata la notifica – la cui procura era stata conferita dal padre quando, però, il figlio era divenuto maggiorenne . Errore incolpevole e raggiungimento della maggiore età in corso del processo. L’orientamento tradizionale delle S.U. Le Sezioni unite hanno affermato che dall’articolo 328 c.p.c. – che regolamenta il decorso del termine per impugnare in caso di morte o perdita di capacità delle parti - si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena equiparazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato. Tuttavia, la Cassazione ha ritenuto altresì che «limitatamente ai processi pendenti alla data del 30 aprile 1995 - rispetto ai quali non opera la possibilità di sanatoria dell'eventuale errore incolpevole nell'individuazione del soggetto nei cui confronti il potere di impugnazione deve essere esercitato, offerta dal nuovo testo dell'articolo 164 c.p.c., come sostituito dalla legge 26 novembre 1990, numero 353, nella parte in cui consente la rinnovazione, con efficacia ex nunc, della citazione e dell'impugnazione in relazione alle nullità riferibili ai nnumero 1 e 2 dell'articolo 163 c.p.c. - il dovere di indirizzare l'impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell'evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto che propone l'impugnazione, essendo tale interpretazione l'unica compatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa articolo 24 Cost. ». Ne segue che l’esigenza di tutela della parte incolpevole non si pone rispetto alle ipotesi del raggiungimento di maggiore età nel corso del processo, in quanto non si tratta di evento imprevedibile ma facilmente deducibile. Il cambiamento di rotta in considerazione della costituzione tardiva della parte e in nome del “giusto processo”. Nella sentenza in commento i giudici di legittimità, pur confermando i principi generali poco sopra richiamati, ritengono che bisogna, nondimeno, contemperare gli effetti di un errore evitabile perché dagli atti era deducibile il raggiungimento della maggiore età con l’effetto da attribuirsi alla costituzione tardiva in appello della parte interessata, secondo l’articolo 164 c.p.c. , vecchio testo, all’epoca vigente. La parte divenuta maggiorenne, infatti, con l’intervento nel processo di gravame ha dimostrato inequivocabilmente di aver avuto effettiva conoscenza dell’instaurazione del giudizio in grado di appello, così che lo scopo dell’atto di citazione, pur erroneamente notificato, è stato in ogni caso raggiunto. La costituzione della parte effettivamente legittimata ad agire in questo caso, a resistere ha pertanto sanato l’errore di introduzione e di notificazione del relativo atto introduttivo. Questo assunto vale in considerazione dei seguenti presupposti 1 in virtù delle norme costituzionali articolo 24 e 111, comma 1, già vigenti all’epoca dei fatti , non è più sufficiente l’acquisizione o il riconoscimento formalistico delle posizione soggettive, ma è necessario che la prima o il secondo siano connotati di concretezza al fine di produrre un giudizio che contemperi gli interessi azionati 2 in virtù del cd. giusto processo, il legislatore ha superato una visione formalistica del contraddittorio, intervenendo su di esso con la prospettiva di assicurare, avanti al giudice, che esso si svolga tra le parti che effettivamente dimostrino di avervi interesse e che al riguardo non è più rilevante la astratta conoscibilità o non conoscibilità della instaurazione del giudizio, qualora si verifiche l’avvenuta, effettiva conoscenza da parte del soggetto della vicenda processuale che lo vede coinvolto. Le ipotesi di sanabilità di un atto invalido, dunque, devono essere interpretate in tal senso. 3 A maggior sostegno di quanto asserito, si deve considerare, altresì, che in un precedente analogo i giudici di legittimità - fermi restando i principi delle S. U. – avevano sentenziato che la ratio delle norme dettate in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, destinato ad assumere la veste di parte del giudizio, sia quella di garantire al medesimo la conoscenza o la conoscibilità della potenziale instaurazione di un giudizio civile a suo carico. Nel caso in esame, tale ratio è a maggior ragione soddisfatta perché invece che della semplice conoscibilità dell’atto si è verificata l’effettiva conoscenza dello stesso, da cui l’intervento in giudizio della parte effettivamente legittimata. In nome del giusto processo si tende a superare l’eccessivo formalismo processuale. Il provvedimento della Suprema Corte è interessante non solo perché suscita condivisione, ma anche perché si inserisce in un filone giurisprudenziale teso a liberare le regole processuali, pur formali per definizione, dal mero formalismo, specie quando l’applicazione rigorosa delle norme ne svuota il significato e lo scopo ultimo di tutela dei diritti delle parti il tutto in nome del principio del giusto processo che è interpretato in una delle sue accezioni più virtuose evento non sempre ricorrente nella giurisprudenza, specialmente quando lo si voglia considerare sotto l’aspetto della ragionevole durata del processo .
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 ottobre – 21 novembre 2011, numero 24450 Presidente Petti – Relatore Uccella Svolgimento del processo Il 12 ottobre 2000 il Tribunale di Vibo Valentia dichiarava la responsabilità concorrente nella percentuale del 58% del conducente del trattore C.S. nella causazione del sinistro verificatosi il omissis nel quale Z.D., all'epoca, anche si alcuni mesi, minorenne, a bordo del motociclo Cagiva, era stato coinvolto perché investito dal trattore di proprietà di C.G., riportando gravi lesioni. Il C.G. e il C.S. venivano condannati al pagamento a titolo risarcitorio di Euro 617.707.751, oltre interessi, rivalutazione e spese di lite. Su gravame di C.G. in proprio e D.P.D., C.G. e C.M., eredi legittimi di C.S., deceduto il omissis , ovvero dopo la sentenza di primo grado, e proposto e notificato a Z.C. , in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio D., la Corte di appello di Catanzaro il 28 dicembre 2005 ha dichiarato inammissibile l'appello e ha compensato integralmente le spese del grado. Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione gli originari appellanti, affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso Z.D. . Motivi della decisione 1.-Osserva il Collegio che la questione centrale del ricorso è data dal primo motivo, di natura esclusivamente processuale, attesa la declaratoria di inammissibilità dell'appello da parte del giudice a quo. Infatti, con il primo motivo violazione e falsa applicazione di legge in relazione al comb.disp. degli articolo 85, 157, 300, 301 c.p.c., 320 c.c., 1398, 1399 c.c. omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e con il secondo, i ricorrenti sottopongono al Collegio la questione di diritto ed, ovvero se essi avrebbero dovuto proporre e notificare l'appello al soggetto ormai divenuto maggiorenne, che in sede di appello era intervenuto per sostenere l'inammissibilità dell'appello, che invece era stato notificato al padre Z.C. . Per il vero, i ricorrenti chiedono di rispondere al detto quesito, precisando che vi era stata costituzione di un nuovo difensore nel corso del giudizio di primo grado con conferimento dello jus postulandi da parte del padre Z.C. quando, però, il figlio era divenuto maggiorenne. Infatti, all'udienza del 12 marzo 1990, in sostituzione dei procuratori dello Z.C. , che avevano rinunciato al mandato, si era costituito un nuovo difensore, la cui procura gli era stata conferita dal C. , padre del D. , quest'ultimo divenuto maggiorenne, essendo nato il omissis . L'appello contro la sentenza di primo grado del 12 ottobre 2000 fu proposto e notificato a Z.C. , genitore del D. , divenuto maggiorenne - circostanza nota. 2.-Ciò rilevato, osserva il Collegio che il difetto di legittimazione del genitore, che agisca in giudizio in rappresentanza del figlio non più soggetto a potestà per essere divenuto maggiorenne, può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio, con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti per effetto della costituzione in giudizio di quest'ultimo, perché la procura originariamente conferita dal genitore al difensore è solo un atto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali attinenti a violazione degli articolo 83 e 125 c.p.c. Cass. numero 23291/04 . Nella specie, intervenendo in appello e concludendo in modo conforme alle conclusioni del padre anche nel merito, il D. ha manifestato in modo non equivoco la propria volontà di sanatoria. 3. - Superata questa parte della questione di cui al ricorso e che, per incidens va detto non ha formato oggetto di esame da parte del giudice dell'appello, passando alla questione di diritto di cui si è occupata la sentenza impugnata e su cui, in definitiva, si incentra l'attuale impugnazione, va detto che il giudice dell'appello, conformandosi alla decisione delle S.U. di questa Corte, che riporta, numero 15783/05, trattandosi di processo pendente alla data del 30 aprile 2005, ha avuto modo di statuire che, essendo stato l'atto di appello erroneamente proposto e notificato nei confronti di Z.C. in qualità di genitore esercente la potestà sul figlio D. , divenuto, invece, maggiorenne, l'appello andava dichiarato inammissibile. Peraltro, il giudice a quo rilevava che l'intervento nel giudizio del D. ai fini della sanatoria del vizio sanante la individuazione erronea della parte nei cui confronti andava esercitato il potere impugnatorio, stante l'articolo 164 c.p.c., vecchio testo, all'epoca previgente, non spiegava l'effetto richiesto dagli attuali ricorrenti p. 11-12 sentenza impugnata . A fronte di questo argomentare il Collegio osserva quanto segue. 4.-Le Sezioni Unite di questa Corte con la sent. numero 15783/05 seguita da Cass. numero 23082/05 Cass. numero 3455/07 Cass. numero 4345/10 Cass. numero 6346/11, che tutte riprendono il solo principio di diritto in quella del 2005 chiaramente espresso hanno affermato, tra l'altro, che dall'articolo 328 c.p.c. si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che della impugnazione, con piena equiparazione, a tali effetti, tra l'evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato né notificato. Alla luce di questa norma il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati. Tuttavia, il dovere di indirizzare la impugnazione nei confronti dell'unico soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell'evento secondo criteri di normale diligenza da parte del soggetto che propone la impugnazione, essendo tale interpretazione l'unica compatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa articolo 24 Cost. . Ciò statuito, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l'esigenza di tutela della parte incolpevole non si pone in ogni caso rispetto alla ipotesi del raggiungimento della maggiore età nel corso del processo, in quanto tale raggiungimento non costituisce un evento imprevedibile, ma, al contrario, un accadimento inevitabile nell’an ed agevolmente riscontrabile nel quando. 4.-Su questa statuizione la sentenza impugnata ha fondato la sua declaratoria di inammissibilità. In merito, osserva il Collegio che va tenuto fermo il principio delle Sezioni Unite, riaffermato dalla successiva giurisprudenza, ma che, in relazione alla ricostruzione della vicenda, come si rinviene nella sentenza ora soggetta a ricorso, si pone l'ulteriore problema di un contemperamento tra gli effetti di un errore che poteva essere evitato in quanto dagli atti del processo emergeva il raggiungimento medio tempore della maggiore età e quale effetto debba attribuirsi, anche alla luce del giusto processo, alla costituzione tardiva della parte interessata, secondo il vecchio testo dell'articolo 164.p.c. all'epoca vigente. Al riguardo, non va trascurato che la Corte costituzionale, pur dichiarando inammissibile la questione che coinvolgeva l'articolo 164 c.p.c., testo vigente all'epoca del presente giudizio, ha affermato, tra l'altro, che l'articolo 24 Cost. è fonte diretta di regolamentazione dei rapporti giuridici Corte cost. ord. numero 27/00 e questa affermazione trova puntuale riscontro nell'articolo 111 comma 1 Cost., già entrato in vigore nella fase di appello della controversia , che è espressamente orientato nella sua ratio a vedere nel gioco processuale i reali portatori degli interessi in gioco. Sono essi che con la loro condotta si conformano o colmano eventuali lacune o contrastano eventuali, altrui esigenze. In altri termini, in virtù dei parametri costituzionali nettamente precettivi, non è più sufficiente l'acquisizione o il riconoscimento formalistico delle posizioni soggettive, ma è necessario che la prima o il secondo siano connotati da concretezza al fine di produrre un giudizio che effettivamente attinga e contemperi gli interessi azionati. E ciò sotto l'aspetto soggettivo, mentre sotto quello della sistematica e delle vicende dell'atto processuale, che pure assume rilievo perché in questa sede si discute della sua valida o meno proposizione e valida o meno notificazione, a parere del Collegio, è opportuno rilevare che in via generale l'efficacia sanante di un atto invalido nella specie, di natura processuale sia un principio immanente dell'ordinamento, in quanto strettamente connesso al principio di conservazione di ogni atto giuridico, e sia ispirato ad una visione, ormai positivizzata a livello costituzionale articolo 111 comma 1 Cost. , che rafforza la finalità con cui nel codice di procedura civile sono indicate le norme in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, che è chiamato ad assumere la veste di parte nel giudizio. Si può affermare, quindi, che, alla luce del c.d. giusto processo, la voluntas legis circa le ipotesi anche giurisprudenziali di sanabilità, per quanto possibile, di un atto invalido, deve essere interpretata nel senso che il legislatore, ormai, ha superato una visione formalistica del contraddittorio, intervenendo su di esso con la prospettiva di assicurare, avanti al giudice, che esso si svolga tra le parti che effettivamente dimostrino di avervi interesse e che al riguardo non è più rilevante la astratta conoscibilità o non conoscibilità della instaurazione del giudizio, qualora si verifichi la avvenuta, effettiva conoscenza da parte del soggetto erroneamente pretermesso della vicenda processuale che lo interessa. Peraltro, in un caso analogo, questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che, ferma restando la piena adesione al dictum della Sezioni Unite, che avevano ritenuto, in concreto un errore non scusabile la notifica anziché al soggetto divenuto maggiorenne, bensì ai genitori, suoi rappresentanti legali all'epoca della instaurazione del giudizio, la ratio delle norme dettate in tema di esatta individuazione del soggetto processuale, destinato ad assumere la veste di parte nel giudizio, sia quella di garantire al medesimo la conoscenza o la conoscibilità della potenziale instaurazione di un giudizio civile a suo carico. Questa ratio resta senz'altro soddisfatta se al requisito della sola legale conoscibilità si sostituisce quella attestata dalla costituzione in giudizio della avvenuta, effettiva conoscenza da parte dell'interessato della vicenda processuale che lo riguarda Cass. numero 8930/06, in motivazione . Ciò perché, per quanto già sopra considerato, ormai il giudizio non può non svolgersi tra i soggetti effettivamente titolari delle esigenze in palio. Nel caso in esame, lo Z.D. , con il suo intervento in appello, concludendo in modo conforme alle conclusioni del padre C. , eccepì la inammissibilità dell'appello e, in subordine, salvo gravame, richiese di dichiarare che Cappello stesso era infondato in fatto e in diritto v. conclusioni riportate in epigrafe alla sentenza impugnata . Con il che, lo Z.D. ha dimostrato, chiaramente ed in modo inequivoco, che egli fosse a conoscenza della instaurazione del giudizio in grado di appello, sanando, così, l'errore di introduzione e di notificazione del relativo atto di citazione. L'accoglimento del primo motivo, rende assorbiti gli altri e comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla stessa Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri cassa e rinvia la sentenza impugnata alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione per un nuovo giudizio e che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.