La suocera può chiedere indietro la casa coniugale se ne abbia impellente bisogno.
Il rapporto di comodato di un immobile concesso in uso a titolo gratuito dalla madre a un figlio è esterno e si configura insensibile alle vicende processuali del vincolo matrimoniale figlio nuora.La suocera deve anzi restare indenne dalla separazione della coppia. E così, se l'appartamento di sua proprietà, dato in comodato agli sposi, le serve con urgenza l'ex moglie assegnataria della casa coniugale deve restituirlo.Lo sottolinea la terza sezione civile di Cassazione, con la sentenza numero 4917, confermando il dovere di una ex moglie - convivente con il figlio minore - di lasciare la casa di proprietà della suocera assegnata a lei come casa coniugale dal giudice della separazione.Il caso. La suocera nel caso di specie si è rivolta al Tribunale di Lecce per sentire dichiarare cessato il rapporto di comodato precario dell'appartamento che aveva dato al figlio per viverci con la moglie e il loro bambino. Quando l'unione era andata a monte, la suocera ha voluto indietro la disponibilità della sua abitazione. Anche perchè, per motivi di salute, non poteva più vivere con l'altro figlio che la ospitava.Il Tribunale e poi la Corte di Appello di Lecce hanno condannato la nuora al rilascio dell'immobile. Invano la donna si è rivolta alla Cassazione.Comodato d'uso e inefficacia dei provvedimenti successivi per il comodante. La Cassazione ha precisato che se la madre di uno dei coniugi ha concesso in comodato d'uso a titolo gratuito un immobile perché venisse adibito a casa familiare, il successivo provvedimento, intervenuto nel giudizio di separazione, di autorizzazione a favore di uno di essi, ad abitare la casa stessa non è opponibile al comodante allorché, come in questo caso, lo stesso proprietario ne chieda la restituzione nell'ipotesi di sopravvenuto bisogno, segnato dai requisiti dell'urgenza e della non previsione .
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 gennaio - 28 febbraio 2011, numero 4917Presidente Trifone - Relatore UccellaSvolgimento del processoCon sentenza del 9 novembre 2004 il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda proposta da D D.P., diretta a dichiarare cessato il rapporto di comodato precario di un immobile concesso al figlio Do. e a V L. , sua nuora e, per l'effetto, condannava la L. al rilascio dell'immobile entro il 31 dicembre 2004, oltre spese processuali e rigettava ogni altra domanda.Su gravame della L. la Corte di appello di Lecce il 4 ottobre 2005 confermava la decisione di prime cure.Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione la L. , affidandosi a quattro motivi.Resistono con controricorso D D.P. , A.R. , D A. , A A. , questi ultimi tre in quanto comproprietari del bene, che avevano dispiegato intervento in causa il 7 maggio 2003.Motivi della decisioneVa posto in premessa che nei controricorso si deduce la inammissibilità della impugnazione sotto due aspetti mancata esposizione dei fatti di causa e dei quesiti.Sotto questi aspetti, contrariamente all'assunto dei resistenti, il ricorso è ammissibile sia per quanto si evince dallo stesso e che mette il Collegio in grado di conoscere sufficientemente l'oggetto della controversia anche nei suoi presupposti di fatto e sia per la dedotta mancanza dei quesiti che non necessitano in questa ipotesi, essendo la sentenza emessa in data anteriore al 2 marzo 2006.1. - Con il primo motivo, in estrema sintesi, la ricorrente lamenta che il giudice dell'appello non avrebbe affatto valutato la sua domanda riconvenzionaie dispiegata in primo grado e attinente al rimborso delle spese sostenute a titolo di lavori urgenti e necessari sull'immobile adibito a residenza coniugale familiare, incorrendo, quindi, nella violazione dell'articolo 112 c.p.c Il motivo va disatteso.Di vero, il giudice dell'appello ha esaminato la documentazione esibita dalla L. per dedurne che essa non fosse sufficiente a superare la presunzione di gratuità del comodato atteso che la predetta documentazione, peraltro riferita solo ad A.D. il marito appare compatibile con l'ordinaria utilizzazione dell'immobile che spetta al comodatario e con la posizione di comproprietario di 1/9 dell'Antonucci medesimo p.7-8 sentenza impugnata .Con siffatta motivazione il giudice dell'appello ha mostrato di avere implicitamente disatteso la domanda riconvenzionale, per cui nessun error in procedendo, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 112 c.p.c., è rinvenibile nella decisione assunta.2. - Con il secondo motivo, in estrema sintesi, la ricorrente si duole che erroneamente il giudice dell'appello avrebbe ritenuto esistente tra le parti un contratto di comodato, perché, nella fattispecie, mancherebbero sia la gratuità che la provvisorietà della concessione fatta.Infatti, secondo il suo assunto, le spese sostenute in considerazione dello stato di decadenza dello stabile, lungi dal costituire un mero modus, rappresenterebbe il corrispettivo dell'immobile con natura di controprestazione, che, di per sé, è sufficiente per escludere la sussistenza di qualsivoglia comodato p.8 - 9 ricorso .Né il giudice del gravame avrebbe ritenuto sussistere una donazione indiretta, adottando al riguardo una motivazione che reca non poche perplessità ed attesta palesemente l'errore di interpretazione in cui è incorso il primo giudice .In tal modo formulata la censura va disattesa, in quanto, come è noto, la interpretazione del contratto e la sua qualificazione sono di esclusiva competenza del giudice del merito.Nel caso in esame il giudice dell'appello, dopo avere affermato che la L. non aveva superato la presunzione di gratuità del comodato ha correttamente escluso anche la sussistenza di una donazione indiretta, in quanto non vi è stato alcun arricchimento dell'altra parte e perché la possibilità di disporre di un immobile da destinare a casa familiare si risolve in un risparmio di spesa per detti coniugi gratuità e non in un incremento del loro patrimonio p.8 sentenza impugnata .Né la ricorrente allega, nemmeno in questa sede, alcun elemento da cui possa desumersi la volontà della D.P. e/o degli altri comproprietari di consegnare ai coniugi A. la casa con l'intenzione di favorire il trasferimento sostanziale della proprietà.Ciò chiarito, non va trascurato il fatto che il giudice dell'appello ha dichiarato nuova e tardiva rispetto alle preclusioni di cui all'articolo 416 c.p.c. la eccezione e su tale novità e tardività, così come dichiarate, nulla deduce l'attuale ricorrente.3.-Con il terso motivo, anche qui in sintesi, la ricorrente lamenta che il giudice dell'appello l'avrebbe erroneamente condannata al rilascio dell'immobile,, violando e disattendendo il provvedimento giudiziale di assegnazione dello stesso quale casa familiare, perché affidataria del figlio nato dal matrimonio.La censura va disattesa.Infatti, una volta chiarito che la madre di uno dei coniugi ha concesso in comodato l'immobile perché venisse adibito a casa familiare, il successivo provvedimento, intervenuto nel giudizio di separazione, di autorizzazione a favore di uno di essi - la L. , sua nuora - ad abitare la casa stessa, emesso nei limiti normativi di cui all'articolo 155 quarto comma c.c., non è opponibile al comodante allorché, come nella specie, io stesso chieda la restituzione nell'ipotesi di sopravvenuto bisogno, segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione, ai sensi dell'articolo 1809, comma 2 c.c., Cass. S.U. numero 13603/04 v, anche Cass. numero 9253/05 .Peraltro, il giudice dell'appello, in virtù della documentazione offerta dai certificati medici depositaci in giudizio e dalla lettera, in atti, con la quale uno dei figli della D.P. comunicava alla madre la propria intenzione di non volerla più ospitare, per esigenze personali nella propria abitazione, ha rinvenuto proprio nel caso in esame la sussistenza di quel bisogno sopravvenuto caratterizzato dalla urgenza e dalla non previsione, ovvero integrante la fattispecie di applicabilità della norma di cui all'articolo 1809 comma 2 c.c In altri termini, in tale ipotesi il rapporto di comodato è esterno e si configura insensibile alle vicende processuali del vincolo matrimoniale.4.- Il quarto motivo, con cui la ricorrente lamenta che erroneamente, con motivazione apodittica, il giudice dell'appello avrebbe ritenuto di non ammettere i mezzi istruttori riproposti in secondo grado, va disatteso per le considerazioni precedentemente svolte circa la qualificazione ed interpretazione del rapporto giuridico intercorrente tra le parti.Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.P.Q.M.La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 5.200/00, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.