L’addetta che gonfia le buste paga è l’unica responsabile

L’addetta alle paghe di un’impresa che, gonfiando la propria busta paga e quelle dei colleghi, si macchia del reato di appropriazione indebita, è da ritenersi l’unica responsabile del reato volontario, se i dipendenti ed il legale rappresentante dimostrano la propria inconsapevolezza.

La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 16 luglio 2013, n. 30670, mette in guardia i dipendenti addetti alla predisposizione delle buste paga per l’intera azienda, dalla responsabilità penale in cui potrebbero incorrere, in seguito all’accertamento del reato di appropriazione indebita, derivante dall’aver predisposto stipendi gonfiati rispetto agli accordi contrattuali. Il caso. L’addetta paghe di un’impresa era stata condannata per il delitto di appropriazione indebita aggravata, per il fatto che aveva ripetutamente gonfiato i superminimi della propria busta paga e di quelle degli altri dipendenti. Secondo i Giudici, l’impiegata era da ritenersi l’unica responsabile volontaria del reato, sulla base del fatto che in sede di conciliazione i dipendenti favoriti dall’illecito si erano resi disponibili a restituire quanto ricevuto del maggior salario dovuto. Danno ingiusto subito dall’impresa. Non solo, ma anche il legale rappresentante dell’impresa ha espressamente smentito di aver impartito o concordato tali modifiche con la dipendente che, di fatto, hanno unicamente procurato un ingiusto danno all’impresa, dovuto alla corresponsione di una busta paga eccedente il dovuto. L’impiegata proponeva ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado, contestando di essere l’unica responsabile del reato. La Suprema Corte ritiene inammissibile il ricorso e ribadisce come le dichiarazioni del legale rappresentate e la volontà degli altri impiegati di restituire l’eccesso di salario determinino i motivi del fatto che solo ad essa venga attribuita la responsabilità del reato. fonte www.fiscopiu.it

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 giugno – 16 luglio 2013, n. 30670 Presidente Fiandanese – Relatore Iannelli Osserva 1- B.C. , già condannata in abbreviato con sentenza, in data 19.2.2008 del tribunale di Monza alla pena di mesi sei di reclusione per il delitto di appropriazione indebita aggravata ex artt. 81 cpv., 61 n. 11 e 646 c.p., ricorre per cassazione avverso la decisione di secondo grado - corte di appello di Milano in data 19/31.10.2012. - che, rideterminando il tempo e l'entità della condotta di appropriazione, riduceva la pena a mesi tre di reclusione, deducendo, con una unica ragione di doglianza, vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato per il quale è intervenuta condanna. In breve il fatto come ritenuto dai giudici dell'appello l’imputata, addetta alla predisposizione delle paghe dei dipendenti della società Lamberti s.a.s., redigeva prospetti paga, per sé e per altri cinque dipendenti, aumentando arbitrariamente i superminimi, procurando così un ingiusto danno ai suoi datori di lavoro per la corresponsione di una paga eccedente il dovuto. Sia i giudici di primo che di secondo grado traevano il convincimento della condotta dolosa dell'imputata dal fatto che i dipendenti in questo modo favoriti, in sede di conciliazione, si erano determinati a restituire quanto ricevuto del maggior salario dovuto proprio per i superminimi come calcolati dalla B. . Il che riscontrava le dichiarazioni del datore di lavoro che, contrariamente a quanto dichiarato dall'imputata, negava di aver mai concordato con quest'ultima l’entità dell'emolumento superminimo. La ragione di doglianza si riduce a contestare il valore significativo della transazione avvenuta con i dipendenti, non già sotto il profilo che l'emolumento non era dovuto, quanto sotto il profilo della consapevolezza del non dovuto da parte della ricorrente. Ma il ricorso si rivela generico, a-specifico nella misura in cui non menziona per nulla l'altro dato significativo valorizzato da entrambi i giudici di merito le dichiarazioni cioè di G.S. , legale rappresentante dell'impresa, che ha espressamente smentito che i superminimi fossero stati contrattati con l’imputata, responsabile della formazione delle buste paga. La parte privata che ha proposto il ricorso deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.