Impedire all'agente di entrare in macchina non è reato

Non far salire sulla volante un agente di polizia, attraverso una condotta di mera resistenza passiva, non integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

La Corte di Cassazione, con sentenza numero 16456/11, del 27 aprile, ha stabilito che non integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di mera resistenza passiva che impedisce all'agente di salire sulla macchina di servizio per impedire l'accompagnamento in Questura di un proprio amico.Il caso. L'imputato era intervenuto in soccorso dell'amico che poco prima aveva subito una brutale aggressione ad opera di sconosciuti e che, in stato di ebbrezza alcolica, aveva ingiuriato la polizia intervenuta sul posto, perché non lo avevano difeso. A questo punto, l'accusato aveva cercato di far calmare l'amico e di convincere gli agenti a soprassedere lasciandolo andare. Nel corso di questa discussione egli sarebbe rimasto, per qualche minuto, immobile tra la portiera ed il posto di guida della volante, impedendo all'agente di salire a bordo.La Corte d'appello confermava la sentenza di condanna del Tribunale per il reato di resistenza a un pubblico ufficiale. In cassazione, invece, la condotta viene valutata diversamente.Il comportamento non si è concretizzato in un atto di violenza. Nel caso concreto la condotta si configurava come resistenza passiva e non come atto di violenza. Infatti, presupposto per la configurazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex articolo 337 c.p. è il compimento di atti positivi di aggressione o minaccia che impediscano al pubblico ufficiale di compiere l'atto del proprio ufficio. Non essendo stata provata la violenza o minaccia da parte delll'imputato, la Corte di Cassazione decide di annullare la sentenza senza rinvio il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 1 aprile - 27 aprile 2011, numero 16456Presidente Garibba - Relatore CalvaneseRitenuto in fatto1. Con sentenza del 29 giugno 2010, la Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale M F. era stato ritenuto responsabile del reato di cui agli articolo 81, comma secondo, e 337 c.p., condannandolo alla pena di giustizia.F. era accusato di essersi opposto in data omissis , con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ad un intervento dei personale di Polizia finalizzato all'accompagnamento in Questura di J.D.P., impedendo ad uno degli agenti di riprendere il posto di guida sulla volante.2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione li difensore dell'imputato, con il quale denuncia l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e di norme processuali, la mancanza la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione.Secondo il ricorrente, i fatti attribuiti al F. non integrerebbero gli estremi di reato. La condotta dell'imputato assumerebbe i connotati della mera resistenza passiva, difettando degli elementi della violenza e della minaccia.Difetterebbe anche l'elemento psicologico del reato, posto che l'imputato era intervenuto solo per far accompagnare l'amico P. in ospedale.La condotta dovrebbe ritenersi inoltre scriminata, ai sensi dell'articolo 54 c.p., proprio perché necessitata dalla tutela dello stato di salute del P Il reato sarebbe in ogni caso prescritto alla data del primo luglio 2010.Considerato in diritto1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.Osserva la Corte che la ricostruzione in fatto operata dai Giudici di merito non offre elementi per ritenere che la condotta tenuta dall'imputato nella circostanza di cui è processo abbia integrato il reato di resistenza.Si evince infatti che l'imputato era intervenuto in soccorso dell'amico P., che poco prima aveva subito una brutale aggressione ad opera di sconosciuti e che aveva, in stato di ebbrezza alcolica, ingiuriato la polizia intervenuta sui posto, perché - a suo adire - non lo avevano difeso. In questo contesto, l'imputato si sarebbe dato da fare nei portare prima alla calma l'amico e nei convincere poi gli operanti di soprassedere e lasciarlo andare. Proprio nel corso di questo colloquio si sarebbe estrinsecato, secondo t giudici di merito, l'atto di resistenza del F., consistito nel rimanere, per qualche minuto, immobile tra la portiera ed il posto della volante, impedendo all'agente di salire a bordo.Può concludersi quindi che il comportamento tenuto dall'imputato non si è concretizzato in un atto di violenza, quanto piuttosto in una resistenza passiva, nel senso che costui non aderì all'invito rivoltogli dagli operanti di farsi da parte e lasciar sedere l'autista della volante.Giova qui ribadire che, ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'articolo 337 c.p., è necessario il compimento di atti positivi d'aggressione o di minaccia che impediscano ai pubblico ufficiale di compiere l'atto del proprio ufficio, rimanendo al di fuori della fattispecie un comportamento di mera disobbedienza o resistenza passiva Sez. 6, numero 37352 del 05/06/2008, dep. 01/10/2008, Parisi, Rv. 241187 .Risultando che nessuna violenza o minaccia è stata posta in essere dall'imputato, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.P.Q.M.Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.