In tema di procedimento disciplinare in ambito di magistratura, rileva la condotta del magistrato che non abbia rispettato i termini per il deposito delle sentenze il principio della ragionevole durata del processo costituisce, infatti, un diritto fondamentale e prioritario, ergo inviolabile, dell’individuo e della parte processuale. Non costituisce impedimento legittimo ed assoluto la complessa situazione dell’ufficio, specie se frutto di incapacità di organizzare, adeguatamente, il proprio lavoro.
Il principio si argomenta dalla sentenza numero 13795/12, decisa il 13 marzo e depositata il 1° agosto. Il caso. Un magistrato, in servizio per sei anni e mezzo presso lo stesso Tribunale, viene sottoposto a procedimento disciplinare e a conseguente censura, da parte del C.S.M., per non avere rispettato, peraltro in un periodo di carenze strutturali amministrative oggettive del tribunale, i termini di deposito di 318 sentenze civili, con ritardi superiori ad un anno in 68 casi ed a due anni in dodici casi, e di 387 ordinanze civili, con un massimo di ritardo in 929 giorni. Nello stesso procedimento, il C.S.M. accertava, inoltre, la gravosità del carico di lavoro e l’impegno del medesimo magistrato nel deposito di 351 sentenze in due anni, oltre alla morte del di questi coniuge e al carico dei due figli, dichiarando inappuntabile la condotta in termini di diligenza e laboriosità e non giudicabile neghittosa e trascurata. Dopo la contestazione disciplinare, mediante l’adozione di misure organizzative adeguate, unitamente al cambio di funzioni per il magistrato accusato, si giungeva, comunque, all’eliminazione dell’arretrato, prima della celebrazione dell’udienza disciplinare. Nello stesso tribunale, altri dieci magistrati erano stati sottoposti a rilievi disciplinari per ritardi nel deposito di sentenze. Oggetto e punti focali della vicenda. Il caso, già esaminato dal C.S.M. sez. disciplinare 17-11-2011 numero 160 , verte in tema di ragionevole durata del processo, illeciti professionali, responsabilità e sanzioni disciplinari. Nella fattispecie, sotto il profilo formale, bisogna valutare la legittimità, o meno, della delibera consiliare adottata e, previamente, individuare gli elementi costitutivi dell’illecito contestato. In particolare, considerando l’apparente esclusione, da parte del C.S.M., della violazione, da parte del magistrato, di doveri professionali e quindi valutando se ciò possa valere a non qualificare il ritardo in termini di addebito, previo accertamento degli standard normo-giurisprudenziali, va stabilito se i ritardi possano configurarsi quali omissioni e rilevare, sul piano disciplinare, come illeciti e, quindi, sanzionabili oppure se la complessità dell’attività svolta dal singolo giudice possa attestare un legittimo ed assoluto impedimento e, quindi, configurarsi quale causa di giustificazione dei ritardi. L’illecito disciplinare tra natura giuridica e presupposti la giustificabilità e l’intollerabilità. Il ritardo nel deposito di una sentenza costituisce illecito disciplinare. Si presume non grave, salvo sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini ex lege per il compimento dell’atto. Segnatamente, non è necessario, per la configurazione dell’illecito, la compromissione del prestigio dell’ordine giudiziario, il pregiudizio alla fiducia verso il magistrato, la scarsa laboriosità, la violazione dei doveri di diligenza e quindi la negligenza , la valutazione dell’organizzazione dell’ufficio tali situazioni possono, però, rilevare, se provati, come indici di giustificazione del ritardo per inesigibilità della prestazione. Il discrimine tra giustificabilità ed ingiustificabilità richiede però, in casi di particolare gravità, il concorso di fattori eccezionali e proporzionati Cass. SS.UU. numero 28801/2011 . All’uopo, va precisato che l’ingiustificabilità non si configura come ulteriore elemento della fattispecie bensì quale elemento in funzione di adeguamento concreto tra condotta e situazione Cass. SS.UU. numero 18697 e 18699/2011 . Tuttavia, la quantità di casi e l’entità del ritardo determina culpa in re ipsa in termini, quantomeno, di incapacità di organizzare, in modo idoneo, il proprio lavoro Cass. SS.UU. numero 8488/2011 e 528/2012 . È, così, intollerabile, cioè ingiustificabile, il ritardo reiterato, grave e lesivo del diritto costituzionale ed europeo alla durata ragionevole del processo e quindi al giusto processo articolo 111 co. 2 Cost., articolo 6 par. 1 C.E.D.U. il diritto del cittadino ad una corretta e sollecita amministrazione della giustizia si attesta, infatti, prioritario ed erga omnes . Inoltre, la qualità del ritardo integra il requisito della reiterazione mentre non è richiesta l’abitualità Cass. sez. unumero nnumero 7193 e 18696/2011 . In ogni caso non sussiste violazione della ragionevole durata del processo se in primo grado non vengono superati i tre anni. Nella situazione in esame, peraltro, non è invocabile la non prevedibilità della sanzionabilità della condotta tenuta e non è ipotizzabile la violazione dei principi di legalità, della tipizzazione dell’illecito e di colpevolezza. Decisione legittimità della censura per violazione della ragionevole durata del processo . Il magistrato incolpato di ritardo nel deposito di sentenze ha l’onere di dimostrare l’inesigibilità, in quella situazione concreta, di un differente comportamento. Tuttavia, la violazione del principio del giusto processo, specialmente sotto il profilo temporale, configura, ex se ed ipso iure , colpa e, quindi, responsabilità disciplinare. Per l’irrogazione della sanzione disciplinare, il C.S.M. non è tenuto a comparare i ritardi del magistrato con la complessa attività dal medesimo svolta. Ergo , il Consiglio Superiore della Magistratura può legittimamente disporre la sanzione, peraltro minima, della censura. In ultimo, in termini formali, va precisato che l’ufficio del P.M. non può essere destinatario di pronunce sulle spese di giudizio Cass. SS.UU. nnumero 5165/2004 e 3824/2010 .
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 marzo – 1° agosto 2012, numero 13795 Presidente Luccioli – Relatore Petitti Svolgimento del processo A seguito di ispezione periodica ordinaria presso il Tribunale civile di Lecce, la Dott.ssa P E. è stata rinviata a giudizio dinnanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, per rispondere “dell'illecito disciplinare di cui agli articolo 18 r.d.lgs. 31 maggio 1946, numero 511, 1 e 2, comma 1, lettera q , d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109, perché, quale magistrato in servizio presso il Tribunale di Lecce, con funzioni di giudice nel periodo compreso tra il 21 maggio 2002 e il 17 novembre 2008 sottoposta a ispezione periodica ordinaria , ha omesso di rispettare i termini di deposito di 318 sentenze civili, con ritardi superiori ad un anno in 68 casi e a due anni in 12 casi, nonché di 387 ordinanze civili, con una punta massima di 929 giorni. Tali ritardi, evidentemente reiterati e gravi nella loro entità complessiva, non appaiono giustificati e sono, comunque, sintomatici di mancato rispetto, nell'esercizio delle funzioni attribuite al predetto magistrato, dei doveri di diligenza e laboriosità, con evidente lesione del diritto del cittadino ad una corretta e sollecita amministrazione della giustizia, nonché pregiudizio della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere e conseguente compromissione del prestigio dell'Ordine Giudiziario”. La Sezione disciplinare ha affermato la responsabilità dell'incolpata e ha comminato la sanzione della censura. Dopo avere dato atto delle funzioni svolte dalla Dott.ssa E. nel periodo interessato dalla ispezione, la Sezione disciplinare ha evidenziato come il quadro complesso della situazione della incolpata, caratterizzato da una molteplicità di impegni e di funzioni a lei assegnati, sia risultato aggravato dalla situazione del Tribunale di Lecce, che nel periodo di ispezione aveva sofferto di carenze strutturali amministrative oggettive, evidentemente incidenti sull'esercizio della giurisdizione. Per altro verso, si è rilevato che la Dott.ssa E. era sottoposta a valutazione in correlazione con gli standard medi di rendimento negli anni 2007 e 2008, e i dati emersi dall'analisi della sua situazione lavorativa evidenziavano una conclamata gravosità del carico di lavoro e il notevolissimo impegno profuso dal magistrato sotto il profilo della laboriosità. In particolare, quei dati mostravano come la incolpata avesse avuto un ruolo estremamente composito in relazione alle materie trattate di 2.026 procedimenti nel 2007 e di 2.024 procedimenti nel 2008, con depositi, rispettivamente, di 158 e 193 sentenze, e come detto ruolo fosse di gran lunga superiore a quello dei colleghi della medesima sezione ed eccedente i parametri di riferimento individuati dalla valutazione sugli standard. In aggiunta al profilo professionale, la Sezione disciplinare ha poi rilevato che il quadro delineato riguardante l'organizzazione e il carico di lavoro della Dott.ssa E. risultava ulteriormente gravato da severi eventi familiari e personali, quali la morte del coniuge e il conseguente carico dei due figli. La Sezione disciplinare ha quindi preso in esame la normativa rilevante e gli orientamenti espressi in ordine alla interpretazione dell'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006, evidenziando il diverso approdo ermeneutico affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con alcune pronunce del 2011 sentt. nnumero 7193, 8488, 18696 e 18697 , con le quali si è, da un lato, escluso che per integrare il requisito della reiterazione del ritardo sia necessaria l'abitualità dall'altro, si è affermata la sussistenza della gravità del ritardo quando lo stesso superi un anno, periodo questo desunto dagli standards elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, sulla base degli orientamenti della Corte Europea dei diritti dell'uomo, per individuare la ragionevole durata del giudizio, così venendosi a individuare il bene tutelato dalla disposizione in questione nel giusto processo piuttosto che nel prestigio dell'ordine giudiziario dall'altro ancora, si è attribuita una diversa configurazione al requisito della ingiustificatezza del ritardo, che risulta ora operante alla stregua di una causa di giustificazione, sicché è onere dell'incolpato dimostrare che nella situazione data un diverso comportamento era inesigibile. Facendo applicazione di tali approdi ermeneutici al caso di specie, la Sezione disciplinare ha rilevato che l'analisi del comportamento dell'incolpata, resasi responsabile di 68 ritardi eccedenti l'anno e di 12 eccedenti il biennio, nonché di 387 ritardi nel deposito di ordinanze civili nel periodo preso in considerazione, imponeva di ritenerne accertata la responsabilità, non assurgendo i fatti, soggettivi e oggettivi dedotti, ad impedimento assoluto tale da comportare l'inesigibilità di una condotta diversa da quella omissiva accertata. La Sezione disciplinare, nell'affermare la responsabilità della Dott.ssa E. , ha tuttavia evidenziato come il dato inerente alle vicende personali e professionali della stessa, consentivano di escludere un giudizio di neghittosità o trascuratezza a suo carico e ciò sulla base del rilievo che l'adozione di misure organizzative adeguate, unitamente al cambio di funzioni, aveva portato la Dott.ssa E. , in una fase successiva alla contestazione disciplinare, alla eliminazione dell'arretrato prima della celebrazione dell'udienza disciplinare, consentendole così di riprendere un cammino professionale qualitativamente apprezzabile. In conclusione, la Sezione disciplinare ha applicato la sanzione della censura, la minima prevista per il tipo di illecito accertato. Per la cassazione di questa sentenza la Dott.ssa patrizia E. ha proposto ricorso sulla base di otto motivi l'amministrazione intimata non ha svolto difese. Motivi della decisione 1. Il ricorso si articola in otto motivi. 1.1. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 606, lett. e , cod. proc. penumero , omessa motivazione su atti rilevanti del procedimento e su osservazioni svolte dalla difesa dell'incolpata, con conseguente travisamento del fatto, in relazione all'inattendibilità dei dati sui ritardi risultante dal testo della sentenza impugnata e dalla memoria con allegati depositati in sede di giudizio disciplinare. La ricorrente sostiene che la Sezione disciplinare non avrebbe tenuto conto della circostanza che i dati sui quali era stato formulato il capo di incolpazione erano del tutto inattendibili, come emergeva dalla documentazione prodotta, anche proveniente dall'Ispettorato, e come illustrato nella memoria difensiva, ove si evidenziava che i ritardi più significativi avrebbero interessato 54 sentenze delle quali 50 depositate oltre un anno e 4 oltre i due anni e non 68 come contestato, e che di tali 54 sentenze in 19 casi non era stato possibile riscontrare l'effettività del ritardo contestato per mancato reperimento del fascicolo informatizzato, mentre in altri casi il ritardo era risultato insussistente o aveva una consistenza diversa. In particolare, poi, emergeva che il contestato ritardo di 929 giorni nel deposito di un'ordinanza era insussistente, essendo stato il provvedimento depositato oltre quindici mesi prima. Richiamati tali elementi di fatto, la ricorrente si duole dunque che la Sezione disciplinare non abbia svolto in proposito alcuna argomentazione ed abbia affermato la responsabilità in relazione ad un illecito erroneamente contestato. 1.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , erronea applicazione di legge in relazione agli articolo 1, commi 1 e 3, e 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006, con specifico riferimento alla violazione dei doveri funzionali di diligenza e di laboriosità. La ricorrente rileva che l'incolpazione aveva ad oggetto la violazione delle indicate norme quale espressione della violazione dei doveri di diligenza e laboriosità. La sentenza impugnata ha invece dato atto della inappuntabilità della condotta del magistrato proprio con riferimento alla diligenza e alla laboriosità, escludendo la possibilità stessa di formulare un conclusivo giudizio di neghittosità e di trascuratezza a carico della incolpata. Orbene, osserva la ricorrente, avendo il giudice disciplinare escluso la sussistenza della violazione dei doveri oggetto di contestazione, e di cui il ritardato, grave, reiterato e ingiustificato deposito dei provvedimenti è espressione, la conclusione non avrebbe potuto essere altra che quella della esclusione dell'addebito e quindi del proscioglimento della incolpata. 1.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 606, lett. e , cod. proc. penumero , contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto ha affermato la responsabilità per l'illecito contestato pur avendo escluso un conclusivo giudizio di neghittosità e di trascuratezza a carico della incolpata, sostenendo che quest'ultima, che pure aveva addotto a giustificazione della propria condotta circostanze di fatto riscontrate dalla Sezione disciplinare, è stata ritenuta responsabile dell'addebito a lei contestato perché non avrebbe fornito la prova della inesigibilità assoluta del non ritardato deposito dei provvedimenti indicati nel pur erroneo capo di incolpazione. 1.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 606, lett. e , cod. proc. penumero , contraddittorietà e carenza di motivazione in ordine alla mancata giustificazione dei ritardi. La ricorrente si duole del fatto che la Sezione disciplinare non abbia proceduto, così come ritenuto necessario dalla sentenza numero 26138 del 2011 di queste Sezioni Unite, alla comparazione fra i ritardi, anche gravi, attribuibili al giudice e la complessiva attività dal medesimo svolta anche sotto il profilo della produttività, in quanto solo da tale comparazione si sarebbero potuti desumere significativi elementi di valutazione su un requisito costitutivo - l'assenza di giustificazione dei ritardi - dell'illecito contestato. Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di omissione motivazionale rilevante, atteso che nel caso di specie, pur nella conclamata ed eccezionale situazione di sovraccarico di lavoro, di disorganizzazione dell'ufficio e di produttività del magistrato - che tra l'altro aveva documentato attraverso la valutazione operata dalla IV Commissione del CSM un apprezzabile raggiungimento dell'obiettivo di assicurare la ragionevole durata dei processi - tale da consentire di escludere ogni rilievo sul piano della laboriosità e della diligenza, la Sezione disciplinare non avrebbe verificato se si era verificata quella situazione che consente di ritenere scriminato il ritardo. La Sezione disciplinare avrebbe, infatti, ritenuto i ritardi ingiustificabili a prescindere, dichiarando di adeguarsi ad un orientamento di queste Sezioni Unite, peraltro successivamente articolato nel senso suindicato, così finendo con il ritenere l'incolpata responsabile a titolo di responsabilità oggettiva. Non potrebbe, in particolare, ritenersi corretto esercizio di logica motivazionale escludere aprioristicamente che anche il grave ritardo ultrannuale sia giustificabile da condizioni lavorative eccezionalità del carico di lavoro in connessione con altrettanta eccezionale capacità di rendimento che hanno determinato l'impossibilità assoluta di porre in essere una condotta diversa. Invero, l'unica possibilità di evitare il ritardo nel deposito dei provvedimenti sarebbe stata - nelle condizioni date - quella di rinviare le udienze di precisazione delle conclusioni, con la conseguente incidenza di tali rinvii sul piano della ragionevole durata dei processi, che pure si intende tutelare anche con il contestato illecito disciplinare. Difetterebbe poi ogni motivazione in ordine alla esistenza di un concreto margine di autorganizzazione del lavoro che avrebbe potuto consentire la tempestività nel deposito dei provvedimenti così come non sarebbe neanche stata presa in considerazione la pure accertata situazione di marasma organizzativo del Tribunale di Lecce, della quale avevano dato atto gli stessi ispettori ministeriali, e che aveva determinato una condizione di enorme difficoltà operativa, tanto che ben dieci magistrati di quel Tribunale erano stati fatti oggetto di rilievi disciplinari per il ritardo nel deposito dei provvedimenti. 1.5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , falsa ed errata applicazione degli articolo 1 e 2 del d.lgs. numero 109 del 2006, con riferimento al carattere ingiustificato del ritardo disciplinarmente rilevante. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha rifiutato di esaminare le giustificazioni addotte dalla incolpata, violerebbe la norma che individua una fattispecie tipizzata di illecito disciplinare nella condotta di grave, reiterato e ingiustificato ritardo nel compimento di atti relativi all'esercizio delle funzioni. Peraltro, nel mentre la norma consente sempre l'accesso alla possibilità di giustificazione dei ritardi, da valutare poi in concreto, nel caso di specie, si sarebbe fatto ricorso, contra legem , ad una presunzione di ingiustificabilità del ritardo superiore all'anno, superabile solo con la prova dell'impedimento assoluto, contraria al dettato normativo, arbitraria e irragionevole, perché introduce una disparità di trattamento, quanto alla giustificabilità dei ritardi, tra ritardi infrannuali e ultrannuali, estranea alla disposizione normativa, e perché finisce per far coincidere l'ipotesi di impedimento assoluto prospettabile in riferimento ai ritardi ultrannuali, con la sospensione della esigibilità della stessa prestazione del magistrato aspettativa o altro impedimento . 1.6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , violazione dei principi di legalità, di tipizzazione dell'illecito e di colpevolezza, previsti dagli articolo 25 e 27 Cost L'orientamento, risalente alla sentenza numero 7193 del 2011 di queste Sezioni Unite, secondo cui la soglia di giustificabilità deve sempre ritenersi superata in concreto quando la durata del ritardo pregiudica il diritto delle parti alla ragionevole durata del processo, sicché il bene tutelato dalla norma disciplinare andrebbe individuato nel giusto processo e non più nella tutela del prestigio della magistratura - orientamento recepito dalla sentenza impugnata -, contrasterebbe, ad avviso della ricorrente, con i principi di legalità e di tipizzazione degli illeciti disciplinari. Siffatta interpretazione pretende infatti di integrare la disposizione disciplinare con la previsione di un ulteriore parametro di valutazione della gravità, non desumibile dalla sua lettura e neanche affermato esplicitamente dalla CEDU, ma derivato per analogia dal termine indicato come durata massima del giudizio di legittimità. Si finisce in tal modo con l'individuare una soglia di gravità massima, ulteriore rispetto a quella tipizzata, facendo ricorso ad un concetto appartenente ad altro corpo normativo che attribuisce all'illecito disciplinare del magistrato una finalità diversa e orientata verso la tutela della collettività. Il tutto, però, operando su una norma che, per il suo tenore testuale, non consente al destinatario di percepire chiaramente e immediatamente che un grave ritardo ultrannuale è ingiustificabile fino all'inesigibilità di un comportamento diverso. In sostanza, l'operazione interpretativa in esame finirebbe con il consentire una illegittima integrazione, per via analogica, della fattispecie disciplinare in malam partem . 1.7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 606, lett. e , cod. proc. penumero , errata e illogica motivazione sotto il profilo della violazione del diritto delle parti alla ragionevole durata de processo. Se è vero, infatti, che la violazione del diritto delle parti alla durata del processo non avviene quando il processo di primo grado abbia una durata inferiore a tre anni, è altresì vero che non necessariamente la violazione del termine annuale di deposito del provvedimento comporti la violazione della ragionevole durata del processo. Né potrebbe configurarsi un autonomo diritto delle parti al rispetto del termine massimo di un anno nei deposito del provvedimento, atteso che la durata del processo non è frazionabile e che altrimenti si finirebbe con il creare un nuovo e autonomo illecito disciplinare. Peraltro, nel mentre la verifica del termine di durata del procedimento nel quale il ritardo nel deposito si è verificato sembra esulare dall'ambito del procedimento disciplinare, non potrebbe non considerarsi che anche la durata triennale è suscettibile di diversa considerazione avuto riguardo ad elementi che non si identificano con la inesigibilità. 1.8. Con l'ultimo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , per omessa motivazione circa la sussistenza dell'elemento soggettivo e per violazione del principio di colpevolezza. La Sezione disciplinare avrebbe recepito una interpretazione della norma per la quale la colpa disciplinare si stempera nella responsabilità oggettiva. Inoltre, non si vedrebbe come la propugnata lettura della disposizione disciplinare, che daterebbe dal settembre 2011, possa portare ad affermare la responsabilità con riferimento a condotte poste in essere molto tempo prima del 2011, e che il destinatario del precetto potesse percepire chiaramente e immediatamente che un grave ritardo ultrannuale - non ingiustificabile alla luce della costante interpretazione della norma - sarebbe diventato ingiustificabile sino all'inesigibilità. 2. Il ricorso è infondato e va quindi rigettato. Giova premettere che, nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite si sono consolidati i seguenti principi a il ritardo nel deposito delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali integra l'illecito disciplinare di cui all'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006, qualora sia - indipendentemente da ogni altro criterio di valutazione - oltre che reiterato e grave, anche ingiustificato, come tale intendendosi - in ogni caso - il ritardo che leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo di cui agli articolo 111 Cost., secondo comma, e 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali b diversamente da quanto avveniva nella vigenza dell'articolo 18 del r.d.lgs. numero 511 del 1946, perché tale illecito sia integrato, non rilevano - quali condizioni per la sua stessa configurabilità - né la compromissione del prestigio dell'Ordine giudiziario o il venir meno della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, né la sussistenza di scarsa laboriosità o di negligenza dello stesso magistrato, né la valutazione della complessiva organizzazione dell'ufficio di appartenenza e di tutte le funzioni svolte dal magistrato oltre quelle interessate da detto ritardo, in quanto nessuno di tali elementi è previsto dalla fattispecie tipica del nuovo illecito disciplinare c tali circostanze di fatto - laboriosità o no del magistrato incolpato, suo carico di lavoro, organizzazione dell'ufficio giudiziario di appartenenza, funzioni giurisdizionali concretamente svolte -ed altre ancora, possono rilevare, se adeguatamente dimostrate, quali indici di giustificazione del ritardo, vale a dire quali situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo che determinino la concreta inesigibilità del rispetto dei termini stabiliti per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali d in ogni caso, la soglia di giustificazione deve ritenersi sempre superata in concreto, qualora il ritardo leda il su richiamato diritto delle parti alla durata ragionevole del processo e quando, per quantità di casi ed entità del ritardo, risulti superata in concreto tale soglia di giustificazione, il comportamento del magistrato è di per sé espressione di colpa, quantomeno in relazione alla incapacità di organizzare in modo idoneo il proprio lavoro in tal senso, v. Cass., S.U., numero 8488 del 2011, e pronunce ivi richiamate, nonché, successivamente, Cass., S.U., numero 528 del 2012 . Nella sentenza da ultimo citata, si è altresì rilevato, con specifico riferimento al tema della ingiustificabilità del ritardo, come la stessa non costituisca un ulteriore elemento della fattispecie, ma ne rappresenti un elemento esterno che gravità nell'area delle situazioni riconducibili alle condizioni di inesigibilità in tal senso, v. anche Cass., S.U., numero 18697 e numero 18699 del 2011 . Si tratta quindi di un elemento funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo con lo scopo di temperarne il rigore applicativo quando, per circostanze specificamente accertate, la sanzione apparirebbe irrogata non iure, potendosi parlare quindi anche di causa di giustificazione non codificata rilevante sul piano oggettivo o su quello soggettivo Cass., S.U., numero 528 del 2012, cit. . In tale quadro, si è attribuito un particolare rilievo ai ritardi di grande entità nel deposito dei provvedimenti, per il fatto che essi comportano la violazione del principio di ragionevole durata del processo riconducibile alla garanzia costituzionale del giusto processo articolo 111 Cost. e conseguentemente risultano intollerabili per la inerente lesione degli interessi delle parti e del regolare corso della giustizia. Si è anche indicato mediante valorizzazione di indicazioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo relative alla durata di un giudizio di legittimità nel superamento del termine di un anno l'elemento che può determinare tale specifica intollerabilità del ritardo cfr. Cass., S.U., numero 18699 del 2011, cit. . In casi di tale particolare gravità dei ritardi la possibilità che essi siano scriminati si restringe ed è richiesto a tal fine il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolarità gravità che, alla stregua dell'ordinamento giuridico, deve attribuirsi alla violazione cfr. le sentenze già richiamate, nonché Cass., S.U., numero 28801 del 2011 . 3. Ciò premesso, si può procedere all'esame dei singoli motivi di impugnazione, che possono essere accorpati per questioni poste. 3.1. È innanzitutto infondato il primo motivo di ricorso - vizio di motivazione in ordine alla deduzione della inesatta indicazione dei provvedimenti depositati in ritardo -, atteso che, nella stessa prospettazione della ricorrente, la denunciata erroneità del numero di provvedimenti depositati in ritardo indicato nel capo di incolpazione, non integrerebbe in ogni caso un vizio motivazionale di carattere decisivo. Infatti, pur volendo aderire alla ricognizione effettuata nel ricorso e alle indicazioni desumibili dalla memoria difensiva che si assume non essere stata, sul punto, presa in esame dal giudice disciplinare, residuerebbero tuttavia un significativo numero di provvedimenti depositati con un ritardo ultrannuale 50 anziché 68 e un altro numero, inferiore a quello indicato nella incolpazione 4 in luogo di 12 , con ritardo superiore a due anni. Analogamente, appare non decisivo il rilievo relativo al ritardo nel deposito di un'ordinanza riservata ritardo che era stato contestato nella misura di 929 giorni e che si assume in ricorso essere stato invece di gran lunga inferiore, atteso che il ritardo rimane nell'ordine di oltre 500 giorni, fermo restando che alcun rilievo specifico viene mosso in ricorso quanto alla indicazione del numero complessivo dei provvedimenti riservati depositati in ritardo. Le rilevate differenze numeriche, invero, non appaiono idonee ad inficiare il giudizio espresso dalla Sezione disciplinare sulla sussistenza dei requisiti della reiterazione e della gravità dei ritardi addebitati alla ricorrente. 3.2. Sono altresì infondate le censure, di violazione di legge e di vizio di motivazione, concernenti la asserita affermazione della responsabilità disciplinare pur in presenza di una positiva esclusione di rilievi di neghittosità o trascuratezza a carico della ricorrente. Vengono qui in rilievo le censure di cui al secondo e al terzo motivo del ricorso. Le censure risultano formulate sulla base della erronea premessa che la configurabilità del contestato illecito disciplinare presupporrebbe la violazione dei doveri funzionali di laboriosità e di diligenza violazione, nel caso di specie, positivamente esclusa dalla Sezione disciplinare. Come si è già rilevato, ai fini della integrazione dell'illecito di cui all'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006, diversamente da quanto avveniva nella vigenza dell'articolo 18 del r.d.lgs. numero 511 del 1946, non rilevano, tra l'altro, la sussistenza di scarsa laboriosità o di negligenza del magistrato, dovendosi piuttosto porre l'accento sul dato obiettivo della lesione del diritto delle parti alla durata ragionevole del processo di cui agli articolo 111, secondo comma, Cost. e 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali lesione che è di per sé idonea ad incidere anche sul prestigio della funzione giurisdizionale. La Sezione disciplinare ha recepito i richiamati recenti orientamenti espressi da queste Sezioni Unite in ordine alla consistenza dell'illecito in esame, con specifico riferimento alla connessione ritenuta esistente tra la individuazione, quale illecito disciplinare, del ritardo, con le caratteristiche prima evidenziate della reiterazione, della gravità e della ingiustificatezza, nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali e l'esigenza di assicurare la ragionevole definizione dei giudizi, secondo la regola propria del giusto processo, che è tale se è svolto in un tempo ragionevole, alla determinazione del quale concorre anche il lasso di tempo impiegato dal magistrato per il deposito del provvedimento a seguito della decisione. Né potrebbe obiettarsi che in tal modo verrebbe a gravarsi il magistrato di una responsabilità di tipo oggettivo, atteso che, come rilevato, la soglia di giustificazione deve ritenersi superata in concreto qualora il ri-tardo leda il su richiamato diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, costituendo in tal caso il comportamento del magistrato di per sé espressione di colpa, quantomeno in relazione alla incapacità di organizzare in modo idoneo il proprio lavoro in tal senso, v. Cass., S.U., numero 8488 del 2011, cit. . 3.3. È poi infondato il quarto motivo, con il quale viene denunciato un vizio di motivazione sostenendosi che la Sezione disciplinare avrebbe omesso di svolgere un esame comparativo dell'attività complessivamente svolta dal magistrato, secondo le indicazioni offerte da Cass., S.U., numero 26138 del 2011, ed avrebbe inoltre sostanzialmente eluso l'esame delle ragioni addotte a giustificazione dei ritardi. Quanto al primo profilo, occorre rilevare che nella sentenza impugnata sono presenti indici dell'avvenuta valutazione della complessiva attività del magistrato incolpato per ciascuno degli anni oggetto della ispezione e nei quali si sono verificati i ritardi contestati. All'esito di tale valutazione la Sezione disciplinare ha espresso un complessivo giudizio di non neghittosità e di non trascuratezza del magistrato, sicché la lamentata mancata comparazione della produttività della ricorrente rispetto ai colleghi addetti ad analoghe funzioni, ovvero la mancata esplicitazione dell'esito, certamente favorevole per l'incolpata, dell'esame concernente la sua produttività, non risulta idonea ad inficiare l’ iter argomentativo in base al quale la Sezione disciplinare è pervenuta ad esprimere un giudizio di responsabilità disciplinare. Non risponde poi al contenuto della sentenza impugnata la censura di omesso esame delle ragioni addotte a giustificazione dei ritardi. La Sezione disciplinare ha dato puntualmente conto delle ragioni organizzative e segnatamente della situazione del Tribunale di Lecce, che nel periodo di ispezione ha sofferto di carenze strutturali amministrative oggettive, evidentemente incidenti sull'esercizio della giurisdizione v. pag. 4 e di quelle personali addotte dalla incolpata, e tuttavia è pervenuta, con motivazione congrua, ad escluderne la rilevanza, non attingendo le giustificazioni addotte, né singolarmente né nel loro complesso, ove rapportate alla gravità e alla quantità dei ritardi, quella soglia di inesigibilità dell'adempimento puntuale del deposito dei provvedimenti. In proposito, si deve solo aggiungere che la valutazione della condotta ascritta all'incolpato e la valutazione delle ragioni da questa addotte a propria giustificazione implicano un tipico apprezzamento di fatto e sono, quindi, essenzialmente devolute alla valutazione di merito della Sezione Disciplinare, non censurabile in sede di legittimità ove assistita, come nella specie, da motivazione sufficiente e non contraddittoria. 3.4. Sono infondate anche le censure, veicolate con il quinto, il sesto e l'ottavo motivo, relative al recepimento, da parte della Sezione disciplinare, degli approdi cui sono giunte queste Sezioni Unite nella interpretazione dell'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006. È innanzitutto non condivisibile la tesi svolta dalla ricorrente nel quinto motivo, in quanto, contrariamente a quanto dalla stessa sostenuto, l'interpretazione dell'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006 affermata da queste Sezioni Unite non introduce affatto, e per di più contra legem , una presunzione di ingiustificabilità del ritardo superiore all'anno. Con le richiamate sentenze si è infatti individuato un criterio volto ad orientare l'interpretazione degli elementi costitutivi dell'illecito contestato, e segnatamente quello della gravità e quello della ingiustificatezza. Esaminando congiuntamente i due requisiti, infatti, in presenza di una previsione normativa che indica un criterio idoneo ad escludere la gravità del ritardo “si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto” , si è individuato un criterio temporale che, non solo vale a connotare in termini di gravità il ritardo, ma che opera anche sul piano delle ragioni che possono essere addotte a giustificazione dello stesso. E tale criterio non irragionevolmente è stato individuato nel termine di un anno, atteso che se si considera siffatto periodo idoneo alla conclusione di un intero grado di giudizio, lo stesso deve di norma, e salvo condizioni di inesigibilità, il cui onere probatorio grava sul magistrato, essere ritenuto sufficiente per il deposito di un provvedimento. Né vale obiettare che in tal modo si verrebbe a configurare due tipologie di illecito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006 - e cioè il ritardo infrannuale, suscettibile di essere giustificato anche senza fare ricorso a condizioni di inesigibilità, e quello ultrannuale, per il quale opererebbe come causa di giustificazione unicamente la inesigibilità della condotta prescritta -, atteso che la condotta disciplinarmente illecita continua ad essere caratterizzata dalla concorrenza dei tre requisiti della reiterazione, della gravità e della ingiustificatezza dei ritardi, mentre la entità del ritardo rileva nel senso che, in presenza di una condotta reiterata, la illiceità della condotta può essere esclusa solo allorché vengano addotte situazioni di inesigibilità. È agevole rilevare che siffatta interpretazione non incide in alcun modo sulla configurazione dell'illecito, ma mira ad offrire canoni suscettibili di omogeneità applicativa in presenza di situazioni idonee ad incidere sul diritto delle parti alla ragionevole durata del processo e, di riflesso, sullo stesso prestigio della magistratura. Né è configurabile la violazione dei principi di legalità, di tipizzazione dell'illecito disciplinare e di colpevolezza, denunciata nel sesto motivo, atteso che la individuazione di criteri obiettivi di interpretazione dell'illecito disciplinare come tipizzato dal legislatore non solo non integra una lesione del principio di legalità, ma è attività imposta dalla presenza di espressioni legislative che, evocando concetti quali quelli di gravità e di ingiustificatezza, richiedono l'intervento dell'interprete. Né può sostenersi che la violazione del principio di legalità sarebbe integrata per il fatto che risulterebbe mutato il bene giuridico tutelato dalla norma in tema di ritardi - ravvisabile, per effetto della richiamata interpretazione, nella ragionevole durata del processo - atteso che la norma continua ad operare, ovviamente, sul piano disciplinare e l'accertamento della violazione non comporta in alcun modo una ricaduta automatica sul diverso piano del diritto ad un indennizzo per la irragionevole durata del processo ai sensi della legge numero 89 del 2001. Il riferimento alla ragionevole durata del processo, giova ribadire, opera solo sul piano della valutazione delle giustificazioni addotte a fronte di ritardi che si protraggono per un lasso di tempo sufficiente, secondo uno standard affermato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo e di questa stessa Corte, per la definizione di un intero grado di giudizio. Peraltro, è innegabile che un reiterato e grave ritardo nel deposito dei provvedimenti, oltre ad incidere direttamente sui diritti delle parti, è idoneo ad arrecare pregiudizio anche al prestigio della funzione giurisdizionale e alla considerazione sociale dell'operato della magistratura. Né, infine, è configurabile una violazione del principio di colpevolezza, denunciata dalla ricorrente nel sesto e nell'ottavo motivo. Il reiterato superamento del termine indicato dall'articolo 2, comma 1, lett. q , del d.lgs. numero 109 del 2006 il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto , invero, vale già a connotare la condotta del magistrato in termini di possibile esposizione ad azione disciplinare e a porre il magistrato stesso nella condizione di dover giustificare la propria condotta. La individuazione di una soglia di ritardo rispetto alla quale la scriminante, per poter operare, deve attingere il livello della inesigibilità non viola quindi, al contrario di quanto sostenuto dalla ricorrente, il principio di colpevolezza, neanche sotto il profilo della non prevedibilità della sanzionabilità della condotta nel momento in cui la stessa è stata tenuta. 3.5. È infine infondato il settimo motivo, con il quale la ricorrente denuncia vizio di illogicità della motivazione con riferimento alla violazione della ragionevole durata del processo. L'assunto della ricorrente si sostanzia in ciò che, nel mentre è certo che la durata inferiore a tre anni non comporta la violazione della ragionevole durata del processo, non sarebbe invece certo che il superamento del termine di un anno per il deposito dei provvedimenti comporti necessariamente la violazione della ragionevole durata del processo nell'ambito del quale il provvedimento depositato in ritardo è stato emesso. Orbene, una simile impostazione della censura non può essere condivisa, in quanto la stessa presuppone la dimostrazione che i procedimenti nei quali il provvedimento è stato depositato con ritardo di oltre un anno, abbia avuto, in concreto, una durata inferiore a quella che ordinariamente si ritiene ragionevole per un giudizio di primo grado. Ma una simile dimostrazione non è in alcun modo stata offerta dalla ricorrente. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non essendo intervenuta costituzione in giudizio del Ministero della giustizia, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio, tenuto altresì conto che l'ufficio del pubblico ministero non può essere destinatario di pronunce sulle spese del giudizio né in caso di sua soccombenza, né quando soccombente sia uno dei suoi contraddittori Cass., S.U., numero 5165 del 2004 Cass. n, 3824 del 2010 . P.Q.M. La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.