Non può ritenersi imprevedibile che un motociclista su una moto di grossa cilindrata proceda ad elevata velocità in una strada provinciale a tratti gravata da limiti urbani, ma “trattata” come fosse a scorrimento veloce.
Così ha deciso la Corte di Cassazione nella sentenza numero 25927, depositata il 19 giugno 2015. Il caso. La Corte d’appello condannava, ai sensi degli articolo 589 c.p. omicidio colposo e 145 c.d.s. precedenza un imputato, accusato di aver causato, mentre si trovava alla guida della sua auto, la morte di un motociclista percorrendo una strada provinciale, l’imputato si era fermato a ridosso della linea di mezzeria, con indicatore acceso, per immettersi in un’area di servizio, ma non si accorgeva del sopraggiungere in direzione di marcia opposta della moto, condotta a velocità eccessiva ed in violazione dei limiti orari dalla vittima. L’imputato iniziava quindi la manovra di svolta a sinistra, provocando così la collisione. L’imputato ricorreva in Cassazione, sostenendo che non fosse stata raggiunta la prova della sua responsabilità penale, in quanto non era stato possibile determinare il punto d’urto, non era stata fatta l’autopsia mancava quindi la prova del nesso di causalità. Inoltre, deduceva anche il mancato raggiungimento della prova dell’elemento soggettivo del reato, sotto il profilo della condotta colposa, dal momento che l’imputato si sarebbe trovato nella concreta ed assoluta impossibilità di prevedere il sopraggiungere della moto a suo giudizio, era stata l’elevata velocità della moto a causare il sinistro, non potendo invece lui vedere la moto, a causa di un’altra macchina che procedeva a velocità moderata. Nessun problema di visibilità. La Corte di Cassazione sottolinea che dai rilievi fotografici poteva desumersi che si trattasse di un rettilineo preceduto, peraltro 200 metri prima del punto di impatto, «da una leggera curva destrorsa, comunque inidonea a creare problemi di visibilità». Inoltre, il motociclista aveva sorpassato l’auto, ritenuta dal ricorrente di intralcio alla visibilità, prima della leggera torsione stradale, per cui cadeva la tesi del ricorrente. Perciò, l’avvistamento reciproco dell’automobilista, fermo in procinto di svoltare a sinistra, da parte della vittima, e del motociclista da parte dell’imputato, era esigibile solo ponendo l’ordinaria attenzione e la minima diligenza. Non poteva ritenersi imprevedibile, come sostenuto al contrario dall’imputato, che un motociclista su una moto di grossa cilindrata procedesse ad elevata velocità in una strada provinciale a tratti gravata da limiti urbani, ma “trattata” come fosse a scorrimento veloce. Provato il nesso di causalità. Per quanto riguarda il nesso di causalità, era ininfluente la circostanza che non fosse stata condotta un’indagine sulle cause della morte, oppure sull’esatto punto di urto, in quanto la causa della morte era certa senza necessità di esame autoptico. Il nesso di causalità non avrebbe potuto essere escluso, neanche se si fosse ritenuto che la vittima fosse caduta prima dell’impatto, poiché tale caduta ci sarebbe stata per l’improvvisa decisione dell’imputato di iniziare la manovra di svolta, costringendo la vittima ad una brusca ed inefficace frenata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 – 19 giugno 2015, numero 25927 Presidente Zecca – Relatore Marinelli Ritenuto in fatto Con sentenza dell'11 giugno 2014 nei confronti di M.G., imputato del reato di cui ali'art.589 co.2 c.p. in relazione all'art.145 del codice della Strada, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lodi in data 16.07.2009, appellata dall'imputato, ferma restando la dichiarazione di responsabilità penale per il reato di cui sopra, riduceva la pena inflitta a M. G. a mesi 6 di reclusione e gli concedeva il beneficio della non menzione. All'imputato era stato contestato di avere per colpa generica e specifica cagionato la morte del motociclista M.A Secondo la contestazione, infatti, l'imputato, alla guida della sua autovettura, percorreva una strada provinciale allorquando si fermava a ridosso della linea di mezzeria, con indicatore acceso, allo scopo di immettersi in un'area di servizio per fare rifornimento di carburante. Nel far questo non si avvedeva del sopraggiungere in direzione di marcia opposta del motociclo condotto, a velocità eccessiva ed in violazione dei limiti orari imposti in quel luogo, da M.A., cosicchè iniziava la manovra di svolta a sinistra, così provocando la collisione e la morte di quest'ultimo. Avverso la sopra indicata sentenza proponeva ricorso per Cassazione M.G., chiedendone l'annullamento e censurandola per i seguenti motivi 1 violazione di legge ex artt.606 lett.b e d c.p.p., erronea applicazione o inosservanza degli articoli 192 e 530 c.p.p., degli articoli 40, 41 e 42 c.p. in correlazione con l'art.589 c.p. e 145 del Codice della Strada Mancata assunzione di una prova decisiva ai fini del decidere in violazione dell'art.507 c.p.p Sosteneva la difesa che non era stata raggiunta la prova della responsabilità penale dell'imputato, atteso che non era stato possibile determinare il punto d'urto, non era stata fatta l'autopsia per determinare le cause della morte del motociclista, erano state disattese le istanze formulate ex art.507 c.p.p. legate alla perizia cinematica effettuata nel giudizio di primo grado. Quindi, secondo la difesa, non ci sarebbe la prova del nesso di causalità, in quanto sarebbe certo soltanto che l'imputato era presente al momento della caduta della persona offesa, ma non ci sarebbe la piena prova che l'impatto sia effettivamente avvenuto a causa della condotta dell'imputato. 2 Mancanza di motivazione ex art.606 lett.e c.p.p. con riferimento alla confutazione della perizia di parte ed alla deposizione del CTP da parte della Corte di Appello e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza. Secondo la difesa neppure sarebbe stata raggiunta la piena prova dell'elemento soggettivo del reato, sotto il profilo della condotta colposa dal momento che l'imputato si sarebbe trovavo nella concreta ed assoluta impossibilità di prevedere il sopraggiungere del motociclo allorquando aveva deciso di impegnare la corsia opposta per accedere all'area di servizio. Solo la elevata velocità del motociclo avrebbe determinato l'incidente, dal momento che il M. non poteva vedere il motociclo che, nel momento in cui egli aveva calcolato di poter effettuare la svolta senza conseguenze, era coperto da un'altra macchina che procedeva a velocità moderata. Osservava la difesa che la impossibilità di prevedere il sopraggiungere della persona offesa che era stata evidenziata dalla perizia cinematica di parte induceva a ritenere che non vi era stata nessuna condotta negligente da parte dell'imputato. La difesa chiedeva infine che comunque, in caso di condanna, fossero riconosciuti all'imputato entrambi i benefici di legge, quello della sospensione della pena e quello della non menzione, così come riconosciuto nella sentenza di primo grado. Considerato in diritto Osserva la Corte di Cassazione che i proposti motivi di ricorso non sono fondati. Si osserva infatti cfr. Cass., Sez.4, Sent. numero 4842 dei 2.12.2003, Rv. 229369 che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ciò in quanto l'art.606, comma 1, lett.e c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di Milano hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la sussistenza della responsabilità del M. in ordine al reato ascrittogli. In particolare hanno operato una obiettiva ricostruzione del sinistro così come risultava sulla base delle emergenze istruttorie. Era infatti risultato pacifico che M. G. percorreva la strada provinciale in direzione del Comune di Melzo, allorquando si era fermato a ridosso della linea di mezzeria, con indicatore acceso, allo scopo di immettersi in un'area di servizio per fare rifornimento di carburante. Nel fare questo non si avvedeva del sopraggiungere in direzione di marcia opposta del motociclo condotto, a velocità eccessiva e in violazione dei limiti imposti nel luogo, da M.A Il M. iniziava quindi la manovra di svolta a sinistra, così provocando la collisione e la morte del M I giudici di appello evidenziavano poi che lo stato dei luoghi era stato cristallizzato dai rilievi fotografici da cui poteva desumersi che si trattava di un rettilineo preceduto, peraltro duecento metri prima del punto di impatto, da una leggera curva destrorsa, comunque inidonea a creare problemi di visibilità. Evidenziavano altresì che il motociclista deceduto aveva sorpassato l'autovettura condotta dal B. prima della leggera torsione stradale con la conseguente insostenibilità della tesi difensiva secondo cui il M. non aveva potuto vedere il motociclista perché coperto dall'autovettura del B Quindi, secondo i giudici della Corte territoriale, l'avvistamento reciproco dell'automobilista fermo in procinto di svoltare a sinistra da parte della vittima e del motociclista da parte dell'imputato era esigibile solo ponendo l'ordinaria attenzione e la minima diligenza . Non poteva quindi ritenersi imprevedibile, come invece sostenuto dalla difesa nel secondo motivo di ricorso, che un motociclista su di un motoveicolo di grossa cilindrata procedesse ad elevata velocità in una strada provinciale a tratti gravata da limiti urbani, ma trattata come fosse a scorrimento veloce. Anche a proposito della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'odierno ricorrente e il sinistro la motivazione della sentenza impugnata è assolutamente adeguata e congrua. I giudici di appello hanno infatti rilevato, rispondendo alle obiezioni della difesa, che ininfluente era la circostanza che non fosse stata condotta una indagine sulle cause della morte di M.A., ovvero una indagine sull'esatto punto d'urto, dal momento che la causa della morte del M. era certa senza necessità di esame autoptico. Nemmeno potrebbe escludersi il nesso di causalità qualora si ritenesse che la vittima fosse caduta prima dell'impatto in quanto, anche se ciò fosse rispondente al vero, la caduta ci sarebbe stata per l'improvvida decisione del M. di iniziare la manovra di svolta, costringendo il M. ad una brusca ed inefficace frenata, che gli comportava la perdita dell'equilibrio con conseguente rovinosa caduta. Sulla base di tali argomentazioni i giudici di appello ritenevano la inutilità di disporre una perizia diretta ad accertare la velocità tenuta dal M., velocità senz'altro contenuta, dal momento che egli ripartiva da una posizione di quiete e si sarebbe dovuto fermare in un'area di servizio collocata al di là della carreggiata. Anche l'accertamento dell'esatto punto d'urto non veniva ritenuto essenziale, nella fattispecie che ci occupa, per comprendere la dinamica del sinistro, dal momento che le modalità esecutive erano desumibili, al pari del punto d'urto, dalla posizione assunta dai veicoli, da parti di rottami staccatisi, dalla posizione del corpo della vittima, nonché dalle concordanti dichiarazioni di tutti i presenti, compreso l'imputato. Per quanto poi attiene ai benefici, si osserva che sono stati concessi entrambi, la sospensione condizionale della pena nel giudizio di primo grado e la non menzione della condanna in sede di appello. Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.