L’attenuante del fatto di lieve entità e il reato di gruppo: il fatto cristallizzato nel giudicato non si tocca

L’attenuante di cui all’art. 311 c.p., come da consolidata giurisprudenza sul punto, è circostanza avente natura oggettiva. La valutazione del danno o del pericolo, ai fini della circostanza diminuente della lieve entità del fatto ex art. 311 c.p. va effettuato con riferimento non già, soggettivamente, alla misura del contributo apportato dal singolo sodale bensì, oggettivamente, da tutti i soggetti che hanno commesso il delitto.

La circostanza attenuante del fatto di lieve entità deve inerire più al gruppo, alla struttura complessiva dell’operato dei soggetti, al loro essere unitario, che non alla iniziativa estemporanea e scollegata di uno dei compartecipi. Ne consegue che questa distinzione, questo diverso piano valutativo di sussistenza, richiederebbe sul punto da parte del giudice di merito, onde accedere alla valutazione di sussistenza, un esame discrezionale che non può più essere svolto proprio per lo sbarramento costituito dalla irrevocabilità della sentenza. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 28468 del 2 luglio 2013. Il caso condanna per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 c.p. e altri delitti. L’imputato era stato condannato a scontare una pena di anni diciassette e mesi sei di reclusione e a mesi uno e giorni quindici di arresto per violazione degli artt. 605, 630, 628 c.p. e altro. Lo stesso chiedeva la rideterminazione e la riduzione della pena da eseguire previa applicazione della diminuente di cui all’art. 311 c.p. in forza dell’avvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale dello stesso art. 630 c.p. con sentenza n. 68/2012 della Corte Costituzionale nella parte in cui non prevedeva l’applicazione della predetta diminuente nei casi di ricorrenza dei relativi presupposti. Il provvedimento prendeva per vero in esame la sola peculiarità del comportamento concreto dell’imputato con ciò operando una distinzione discretiva rispetto al resto dei sodali che era già una prima risposta negativa circa la estensibilità della diminuente al resto della compagine. Il fatto cristallizzato nel giudicato non si tocca. Dunque, in linea generale, se il giudice dell’esecuzione ha in astratto il potere di adeguare la pena alla legittimità del sistema normativo vigente, in quanto in forza degli artt. 136 Cost. e 30, commi 3 e 4, L. n. 87/1953 le norme dichiarate incostituzionali non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Nella fattispecie, tuttavia, il giudice dell’esecuzione, non potrebbe esimersi dall’effettuare una nuova e inammissibile valutazione di merito, non potendo essere sufficiente una mera attività ricognitiva circa la già avvenuta ravvisabilità della fattispecie anche circostanziale e una semplice attività di emersione di efficacia. Al contrario viene richiesto un nuovo accertamento fattuale, la modifica del piano concettuale del giudizio non più tangibile che impedisce definitivamente e per sempre l’interpretazione invasiva del giudicato ancorchè al solo fine di uniformarlo all’ordinamento vigente. La circostanza che l’attenuante del fatto di lieve entità debba inerire più al gruppo e alla struttura complessiva dell’operato dei soggetti che non alla iniziativa estemporanea e scollegata di uno dei compartecipi, fa sì che questa distinzione e questo diverso piano valutativo richieda sul punto, da parte del giudice di merito un esame discrezionale, onde accedere alla valutazione di sussistenza, che non può più essere svolto proprio per lo sbarramento costituito dalla irrevocabilità della sentenza. La rigidità del giudicato impedisce di rimettere in discussione la attualità cristallizzata dal titolo in esecuzione, non consentendo una incursione nel merito di causa che non sia tout court apprezzabile dalla lettura della decisione e non richieda, a cascata, ulteriori apprezzamenti discrezionali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 aprile - 2 luglio 2013, n. 28468 Presidente Siotto – Relatore Barbarisi Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza deliberata in data 18 giugno 2012, depositata in cancelleria il 20 giugno 2012, il Tribunale di Lecce rigettava l'istanza avanzata nell'Interesse di F.R. volta a ottenere, per il combinato disposto di cui agli artt. 673 cod. proc. pen., 136 Cost. e 30 L. n. 87/53, la declaratoria di non eseguibilità della sentenza del Tribunale di Perugia 1 dicembre 1984 che lo aveva condannato alla pena di anni diciassette e mesi sei di reclusione e a mesi uno e giorni quindici di arresto per violazione degli artt. 605, 630, 628 cod. pen. e altro decisione confermata dalla Corte di Appello di Perugia In data 11 giugno 1985 secondo l'istante occorreva rideterminare e ridurre la pena da eseguire previa applicazione della diminuente di cui all'art. 311 cod. pen. fatto di lieve entità in forza dell'avvenuta declaratoria di illegittimità incostituzionale dello stesso art. 630 cod. pen. con sentenza 23 marzo 2012, n. 68 della Corte Costituzionale nella parte in cui non prevede l'applicazione della predetta diminuente nei casi di ricorrenza dei relativi presupposti. Il giudice argomentava la propria decisione rilevando come ostasse al riconoscimento in fase esecutiva della diminuente in parola l'intangibilità del giudicato. 2. - Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione F.R. chiedendone l'annullamento per violazione di legge. Il ricorrente rilevava che il forte carattere di giurisdizionalizzazione del procedimento di esecuzione avrebbe consentito al giudice di impedire che una sanzione penale, per quanto inflitta attraverso una sentenza divenuta irrevocabile, fosse ingiustamente sofferta dal condannato sulla base di una norma dichiarata successivamente illegittima dalla Corte Costituzionale. Osserva in diritto 3. - Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. 3.1 - Occorre osservare che osta all'accoglimento della richiesta, a prescindere dalle primarie considerazioni circa l'inviolabilità del giudicato che pur nell'evoluzione giurisprudenziale rimane come caposaldo e punto di riferimento dell'intera fase esecutiva, la tranciante osservazione che l'attenuante invocata di cui all'art. 311 cod. pen., come da consolidata giurisprudenza sul punto, è circostanza avene natura oggetti va. È stato per vero osservato che la valutazione del danno o del pericolo, ai fini della circostanza diminuente della lieve entità del fatto di cui all'art. 311 codice penale va effettuata con riferimento non già, soggettivamente, alla misura del contributo apportato dal singolo sodale, bensì, oggettivamente, da tutti i soggetti che hanno commesso il delitto Cass., Sez. 1, 10 giugno 1988, n. 10269, rv. 179494, Raffaele, conf. mass. N. 179982 conf. mass. N. 172067 conf. mass. N. 164238 . In altre parole la circostanza deve inerire più al gruppo, alla struttura complessiva dell'operato dei soggetti, al loro essere unitario, che non all'iniziativa estemporanea e scollegata di uno dei compartecipi. Ne consegue che questa distinzione, questo diverso piano valutativo dell'attenuante, richiederebbe sul punto da parte del giudice di merito, onde accedere alla valutazione di sussistenza, un esame discrezionale che non può più essere svolto proprio per lo sbarramento costituito dalla irrevocabilità della sentenza. La rigidità del giudicato impedisce di rimettere in discussione la fattualità cristallizzata dal titolo in esecuzione, non consentendo un'incursione nel merito di causa che non sia tout court apprezzabile dalla lettura della decisione e non richieda, a cascata, ulteriori apprezzamenti discrezionali. Il provvedimento prende per vero in esame la sola peculiarità del comportamento concreto del F. con ciò operando una distinzione discretiva rispetto al resto dei sodali che è già una prima risposta negativa circa la estensibilità della diminuente al resto della compagine. È poi di ostacolo all'ingresso dell'istanza dell'odierno ricorrente anche una seconda valutazione di discrezionalità, quella che attiene più propriamente all'entità della diminuente stessa le pene comminate pei delitti preveduti da questo titolo sono diminuite quando , così recita l'art. 311 cod. pen. non essendo possibile stabilire l'esatta ampiezza dell'abbattimento. Non è chi non veda come anche questa operazione involga di per sé una disamina approfondita della specifica vicenda occorsa al F. , richiedendo una nuova valutazione del comportamento del soggetto e l'apprezzamento di tutte le circostanze di fatto che hanno accompagnato la vicenda, apprezzamento che non è pensabile né ammissibile che possa essere operata dal giudice dell'esecuzione neppure incidentalmente. 3.2 — Se il giudice dell'esecuzione ha dunque, in astratto, il potere di adeguare la pena alla legittimità del sistema normativo vigente, in quanto in forza degli artt. 136 Cost. e 30, commi terzo e quarto, legge n. 87 del 1953 le norme dichiarate incostituzionali non possono trovare applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, Cass., Sez. 1, 27 ottobre 2011, n. 977, rv. 252062, P.M. in proc. Hauohu nella fattispecie tuttavia il giudice dell'esecuzione, non potrebbe e-simersi dall'effettuare una nuova e inammissibile valutazione di merito, non potendo essere sufficiente una mera attività ricognitiva circa la già avvenuta ravvisabilità della fattispecie anche circostanziale e una semplice attività di emersione di efficacia. Al contrario, viene richiesto un nuovo accertamento fattuale, la modifica del piano concettuale del giudizio, non più tangibile, che impedisce definitivamente e per sempre l'interpretazione invasiva del giudicato ancorché al solo fine di uniformarlo all'ordinamento vigente. 4. - Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.