Decorso del termine delle indagini preliminari? Occorre la completa identificazione dei soggetti iscritti nel registro delle notizie di reato

L’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome del soggetto cui questo è attribuito, per gli effetti che ne conseguono ai fini del computo del termine di durata delle indagini e dell’utilizzabilità degli atti espletati, postula la completa identificazione dello stesso, non essendo sufficiente l’indicazione del nome e cognome.

Questo è il principio di diritto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 24941/13, depositata il 6 giugno. Il caso. Venivano condannati in primo e secondo grado 4 imputati per il reato di truffa aggravata, in quanto gli stessi dipendenti dell’ASL si erano ripetutamente allontanati dal posto di lavoro senza aver richiesto un previo permesso, ed anzi risultavano regolarmente in servizio, essendosi registrati a mezzo delle apparecchiature marcatempo’, inducendo così in errore l’ASL stessa, che erogava loro l’intera retribuzione. Avverso la sentenza di seconde cure ricorrevano per cassazione i difensori dei prevenuti, deducendo un motivo comune e altri motivi relativi alle singole posizioni. Inutilizzabilità delle indagini preliminari. La doglianza comune a tutte le difese attiene all’inutilizzabilità degli atti effettuati nel corso delle indagini preliminari, per asserita violazione degli articoli 405 e 406 c.p.p Tale eccezione era già stata formulata in sede di udienza preliminare e rigettata dal G.U.P. a seguito di riproposizione nei motivi di appello, era stata nuovamente delibata in senso sfavorevole dalla Corte territoriale, con richiamo alle motivazioni dell’ordinanza del G.U.P. stesso. La medesima eccezione, infine, veniva dedotta, per la terza volta, nell’atto di ricorso per cassazione ad avviso delle difese il dies a quo per l’apertura delle indagini sarebbe decorso dalla presentazione di una prima denuncia avente comportato l’iscrizione nel registro degli indagati dei 4 ricorrenti , e non da una successiva denuncia avente comportato l’iscrizione di altri due soggetti, la cui posizione è stata, poi, stralciata . Gli atti sono utilizzabili. La Suprema Corte ha disatteso le doglianze difensive, rimarcando che l’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome dei soggetti cui questo viene attribuito - per gli effetti che ne conseguono ai fini del computo del termine di durata delle indagini e dell’utilizzabilità degli atti espletati - postula la completa identificazione degli stessi, non essendo sufficiente l’indicazione dei loro nomi e cognomi. Tale affermazione, infatti, si ricava dall’art. 417 comma lett. a codice di rito, che, tra i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio, indica le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgano ad identificarlo . E, infatti, è logica conseguenza di tale previsione che solamente nei confronti di una persona identificata compiutamente possano attuarsi i vari meccanismi di controllo e contraddittorio che l’articolo 406 c.p.p. prevede in caso di proroga delle indagini preliminari ciò evoca, peraltro, la necessità che alla formale iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p. corrisponda l’accertamento dell’identità soggettiva della persona cui la stessa iscrizione si riferisce. Nel caso concreto, poi, i Supremi Giudicanti rilevano come la questione sia priva di qualsivoglia utilità, dal momento che i ricorrenti non hanno neppure indicato quali siano gli atti che sarebbero stati compiuti dopo la scadenza del termine delle indagini. I difensori, poi, propongono altri motivi di gravame inerenti i singoli assistiti, che possono essere, però, trattati congiuntamente - mancanza/illogicità di motivazione relativamente all’irrilevanza del danno economico - mancato riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno con criterio di prevalenza - illogicità della motivazione quanto alla mancata prova di un eventuale rientro in ufficio di due imputate. Tertium non datur. La Corte di Cassazione ritiene infondata la prima doglianza, secondo un ragionamento logico, per cui non vi sarebbe alternativa tra la sussistenza del danno e la sua assenza nel caso di specie, infatti, non pare dubbio che il danno esista, anche sulla scorta della concessa circostanza attenuante del risarcimento. Impossibilità di vagliare il bilanciamento. Inaccoglibile si rivela, poi, il motivo riguardante il mancato riconoscimento con criterio di prevalenza della suddetta attenuante del risarcimento del danno è, infatti, precluso ai giudici di legittimità un siffatto sindacato, a fronte di una motivazione della Corte di appello, avente ritenuto, in modo logico ed esente da vizi, che il risarcimento non fosse espressione di resipiscenza. Quanto alla lamentata carenza di prova circa il rientro in ufficio, gli Ermellini dichiarano di non poter valutare la mancata acquisizione di tale prova, in primis perché la censura non era stata proposta in sede di appello, in secundis perché trattasi di una valutazione meramente fattuale, che non può trovare ingresso dinnanzi alla Corte stessa. A fronte di questa considerazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e di ricorrenti condannati alle spese.

Corte di Cassazione, Sez. II Penale, sentenza 23 aprile 6 giugno 2013, n. 24941 Presidente Petti Relatore Fiandanese Svolgimento del processo La Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, confermava la condanna pronunciata il 7 gennaio 2009 dal G.U.P. del Tribunale di Taranto, nei confronti di M.C. , A.C.C.N. e L.G. , dichiarati colpevoli del delitto di truffa aggravata per essersi ripetutamente allontanati dal posto di lavoro, senza richiedere il previsto permesso orario, ma anzi risultando regolarmente in servizio per effetto delle registrazioni effettuate a mezzo dell'apparecchiatura marcatempo, inducendo in errore la ASL di che gli erogava l'intera retribuzione. Propongono ricorso per cassazione i difensori degli imputati, i quali propongono un motivo comune mancanza di motivazione in ordine alla eccezione di inutilizzabilità delle indagini preliminari per violazione degli artt. 405 e 406 c.p.p. Tale eccezione era stata sollevata in sede di udienza preliminare e rigettata con ordinanza del G.U.P. del Tribunale di Taranto in data 8 ottobre 2007 e la Corte di Appello aveva rigettato il relativo motivo di gravame limitandosi a rinviare alla predetta ordinanza, trattandosi di mera riproposizione della eccezione già respinta dal G.U.P. I difensori, dopo avere dedotto la mancanza di risposta a specifici motivi di appello, ripropongono la suddetta eccezione, affermando che le indagini avevano avuto inizio a seguito di una denuncia sporta da C.A. che aveva comportato l'iscrizione, in data 28 febbraio 2004, nel registro delle notizie di reato di D.C. + 4 odierni imputati, pertanto, da quella data decorreva il dies a quo delle indagini e non dalla diversa data ritenuta dai giudici di merito del 12 febbraio 2005, successiva ad un seconda denuncia che aveva comportato l'iscrizione nel registro delle notizie di reato di P.M. e P.N., per i quali vi sarà uno stralcio. Il difensore di M. , inoltre, deduce anche i seguenti motivi 1 mancanza o illogicità della motivazione, in quanto la Corte di Appello avrebbe dovuto aderire alla tesi difensiva della irrilevanza del danno economico, poiché gli accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria riguardavano condotte limitate e circoscritte ad alcuni giorni. 2 mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno con criterio di prevalenza. 3 mancanza di motivazione in merito alla contestazione ex art. 479 c.p Il difensore della L. deduce, inoltre, l'illogicità della motivazione, per la irrilevanza del danno economico ed anche perché se vi era la prova dell'uscita dell'imputata dall'ufficio, non era stata acquisita la prova di un eventuale rientro, sicché non si potrebbe escludere la possibilità che quell'allontanamento potesse essere limitato ad una pausa dal lavoro. Il difensore della A. , inoltre, deduce motivo identico a quest'ultimo proposto dalla L. e si lamenta, altresì, del diniego del riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno con criterio di prevalenza. Motivi della decisione I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati. Con riferimento al motivo, proposto da tutti i ricorrenti, di inutilizzabilità delle indagini preliminari per pretesa scadenza del termine, deve osservarsi che l'iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona alla quale questo è attribuito, per gli effetti che ne derivano ai fini del computo del termine di durata delle indagini e della utilizzabilità degli atti compiuti, postula la completa identificazione della stessa, non essendo sufficiente al riguardo la semplice indicazione del nome e del cognome. Ciò si ricava, tra l'altro, dall'art. 417 c.p.p., comma 1, lett. a , che, tra i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio indica le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgano a identificarlo Sez. 1, 27 settembre 1996, Maceri, Rv. 206218 . D'altra parte, soltanto nei confronti della persona compiutamente identificata possono innestarsi i vari meccanismi di controllo e di contraddittorio che l'art. 406 c.p.p. prevede in sede di proroga dei termini delle indagini, evocando, dunque, la necessità che alla formale iscrizione del nominativo dell'indagato nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. corrisponda l'accertamento della identità soggettiva della persona cui l'iscrizione stessa si riferisce Sez. 2, n. 36590 del 26 settembre 2007, Trotta, Rv. 237806 . D'altra parte, la questione si rivela comunque priva di concreto risalto agli effetti dell'odierno scrutinio, non avendo il ricorrente neppure indicato l'atto o gli atti che - in ipotesi - sarebbero stati compiuti dopo la scadenza del termine delle indagini. Le tesi difensive dei ricorrenti M. e L. sulla presunta irrilevanza del danno economico sono manifestamente infondate, poiché non è data alternativa o il danno esiste e nel caso di specie non vi è dubbio che esista posto che è stata concessa l'attenuante del risarcimento del danno ed è configurabile il reato oppure non esiste e non è configurabile il reato in mancanza di evento offensivo. La doglianza del M. e della A. relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno con criterio di prevalenza non è consentita in questa sede di legittimità, poiché il giudice di appello, con motivazione corretta dal punto di vista logico e giuridico, ha giustificato la sua valutazione, ritenendo che il risarcimento medesimo non fosse espressione di resipiscenza . Del tutto infondato e incomprensibile è la deduzione del ricorrente M. di difetto di motivazione con riferimento al delitto di cui all'art. 479 c.p., posto che con riferimento a tale reato l'imputato è stato assolto in primo grado perché il fatto non sussiste. Il motivo di ricorso di L. e A. con il quale si contesta la mancata acquisizione della prova di un eventuale rientro in ufficio delle imputate, non è consentito per la L. , in quanto non risulta proposto con i motivi di appello, e, comunque, trova una specifica risposta anche per la A. nel punto in cui la sentenza impugnata afferma, con valutazione dei fatti non sindacabile in questa sede di legittimità, che secondo la prova specifica, non rientrava in ufficio e che l'orario al quale era tenuta era continuativo, senza possibilità, cioè, di allontanarsi dall'ufficio sicché falsa è la timbratura in uscita alle ore 19 e priva di qualsivoglia fondamento e legittimità l'ipotesi difensiva di una pausa dal lavoro . I ricorsi, dunque, devono essere rigettati, con la conseguenza della condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.