Omicidio colposo per violazione degli obblighi di prevenzione degli infortuni sul lavoro: quale prescrizione?

Quando l’omicidio colposo deriva da violazione di normative di prevenzione degli infortuni sul lavoro il reato si prescrive in 15 anni.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24160 del 4 giugno 2013. Il caso. Una condanna per omicidio colposo in capo a due soggetti, per aver violato la normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in particolare agli imputati veniva addebitato di aver violato le norme cautelari con l’effetto del decesso del lavoratore dipendente. A giudizio davanti al Tribunale venivano condannati il datore di lavoro, un preposto della società che non aveva attuato le misure di sicurezza e sorvegliato la loro attuazione, nonché il dipendente che conduceva il carrello che aveva travolto con effetti letali la vittima. La situazione era destinata a ribaltarsi in appello dove la corte territoriale dichiarava l’avvenuta l’estinzione per intervenuta prescrizione. Ma i criteri di calcolo sono errati. A metterlo in evidenza è il Procuratore generale che ricorre per cassazione contro la sentenza d’appello che dichiarava la prescrizione. Il reato di omicidio colposo che deriva da violazione di norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro si prescrive infatti in 12 anni, aumentabili fino a un quarto per effetto delle interruzioni del decorso della prescrizione, per un totale di 15 anni. All’epoca della sentenza di appello, dunque, il reato non era ancora prescritto, non essendo spirato il termine entro cui lo Stato aveva interesse” a perseguire responsabilità penali, secondo indicazioni di tempo fatte proprie dalle norme del codice penale. Violazione della legge Ex Cirielli. Secondo il ricorso del Procuratore Generale accolto dalla Corte di Cassazione , la Corte territoriale non aveva fatto buon governo delle disposizioni contenute nella Legge 251/2005. Nonostante i giudici territoriali avessero correttamente ritenuto applicabile le disposizioni della Legge Ex Cirielli, perché norma più favorevole all’imputato ai fini del computo della prescrizione, rispetto al previgente assetto normativo, la Corte d’appello di Napoli aveva applicato la legge in modo incompleto non avvedendosi che doveva raddoppiarsi il termine per effetto del comma 5 dell’art. 157 c.p., come riformato, per l’omicidio colposo conseguenza della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni art. 589, comma 2, c.p. , termine ulteriormente allungato di un quarto per effetto delle interruzioni che, come noto, fanno decorrere il termine da cui la prescrizione decorre ex novo , oltre ai periodi di sospensione. Si riapre il giudizio di accertamento della responsabilità. Per effetto dell’annullamento con rinvio della sentenza ad altra sezione della Corte territoriale, si riapre in toto lo spazio dell’intervento decisorio circa la responsabilità degli imputati e le conseguenze. Tuttavia la Suprema Corte, pur ritenendo assorbiti gli altri motivi di ricorso, segnala alcuni profili, tra cui la contestata pretesa nullità di atti processuali compiuti in situazione di incompatibilità tra difensori richiamando l’attenzione sui principi già consacrati dalle Sezioni Unite che negano vi sia nullità o inutilizzabilità, ma raccomandano con forza al giudice di verificare l’attendibilità delle dichiarazioni in modo particolarmente incisivo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 aprile - 4 giugno 2013, n. 24160 Presidente Bianchi – Relatore Dell’Utri Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza resa in data 30.10.2009, il tribunale di Nola ha condannato S P. e A M. alla pena di un anno di reclusione ciascuno, e V F. alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, in relazione al reato di omicidio colposo commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di A D. , in omissis . A carico di ciascun imputato era stata contestata la violazione delle norme cautelari specificamente indicate nei rispettivi capi di imputazione, per effetto della quale era avvenuto il decesso del D. lavoratore dipendente della Stola Sud s.p.a., società incaricata della realizzazione di parti lastrate per modelli di autoveicoli progettati dalla Fiat Auto s.p.a. causato dallo scontro, all'interno dello stabilimento della Stola Sud s.p.a., tra lo stesso D. e un carrello della società Logint s.p.a. a sua volta incaricata dell'esecuzione delle attività logistiche all'interno dello stabilimento della Stola Sud s.p.a. carrello circolante all'interno delle aree dell'unità produttiva della Stola Sud s.p.a. in cui prestavano la propria attività, oltre ai dipendenti della Stola Sud s.p.a., anche i lavoratori della Logint s.p.a Nel dettaglio, al P. in qualità di datore di lavoro per la società Logint s.p.a. era stato contestato, oltre alla violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, di non aver provveduto affinché nell'uso dei carrelli circolanti all'interno dello stabilimento della Stola Sud s.p.a. fossero rispettate le regole di circolazione art. 35, comma 4-bis, d.lgs. n. 626/94 , nonché per non essersi assicurato che detti carrelli fossero utilizzati da lavoratori all'uopo incaricati e muniti dell'adeguata formazione sulla relativa utilizzazione, idonea a consentire un uso sicuro degli stessi carrelli, anche in relazione ai rischi causati ad altre persone artt. 35, comma 5, e 38 d. lgs. n. 626/94 . Al M. preposto della società Logint s.p.a. era stato contestato di non aver attuato le misure di sicurezza specificamente indicate nel capo d'imputazione e per non aver sorvegliato affinché fossero attuate le misure per il controllo delle situazioni di rischio per i lavoratori, in violazione degli artt. 4, d.lgs. n. 626/94, 4 e 6, d.p.r. n. 547/55. Al F. dipendente della ditta Login s.p.a. e conducente il carrello investitore del D. era stato contestato di non aver utilizzato correttamente il predetto carrello, in violazione dell'art. 5, d.lgs. n. 626/94 e di non aver regolato la velocità del mezzo in modo da averne il controllo ed evitare qualsiasi ostacolo, così assicurando la sicurezza degli altri operai e delle cose, avuto riguardo alle caratteristiche della zona nella quale si è verificato l'infortunio, in violazione dell'art. 141 c.d.s Con sentenza in data 22.3.2012, la corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, rilevata l'inammissibilità per difetto di specificità dell'appello proposto dal pubblico ministero, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei tre imputati, poiché estinti i reati loro ascritti per intervenuta prescrizione, salva la conferma delle statuizioni civili risarcitorie in favore delle parti civili costituite. Avverso la sentenza d'appello, hanno proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli, nonché, a mezzo dei propri difensori, A M. e P.S. . 2.1. - Con il proprio ricorso, il procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione all'art. 157 c.p., avendo la corte territoriale erroneamente proceduto al calcolo del tempo della prescrizione dei reati de quibus, ritenendo più favorevole agli imputati il regime introdotto dalla legge n. 251/2005, senza tuttavia applicare le disposizioni di tale ultima legge in modo integrale, in particolare là dove dispone - accanto al parametro fondamentale costituito dal termine edittale massimo di pena - il raddoppio dei termini di prescrizione per alcuni reati, tra i quali proprio quello di cui all'art. 589, cpv., c.p., oggetto dell'odierno processo. Sotto altro profilo il procuratore ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge in relazione alla ritenuta genericità dell'appello proposto dal pubblico ministero, avendo la corte territoriale omesso di procedere alla valutazione del gravame nel suo complesso, con riguardo alla contestata inadeguatezza della pena irrogata a carico degli imputati dal giudice di primo grado. Da ultimo, il procuratore ricorrente censura la sentenza d'appello per vizio di motivazione in relazione alla posizione del P. , avendo la corte territoriale, nel correlare la responsabilità di quest'ultimo al concorso di colpa del lavoratore deceduto, trascurato di valutare le circostanze, comprovate sulla base di elementi probato-ri già effettivamente acquisiti al processo, costituite dai precedenti sinistri verificatisi all'interno dello stabilimento della Stola Sud s.p.a. con le medesime caratteristiche di quello oggetto dell'odierno esame, con la conseguente mancata valutazione della grave colpa del P. nell'aver omesso di procedere alla modificazione della metodologia di produzione all'interno dello stabilimento de quo, tenuto conto del valore di tali pregresse esperienze infortunistiche. 2.2.1. - Con il primo motivo del proprio ricorso, M.A. censura la sentenza d'appello per violazione della legge processuale, avendo la corte territoriale utilizzato, ai fini della propria decisione, le dichiarazioni di due testimoni G. e Pa. la cui escussione non era stata ritualmente ripetuta in sede d'appello, a differenza di altri, dopo che il giudice di primo grado aveva irritualmente deciso la causa senza aver assistito siccome succeduto ad altro giudice all'istruttoria testimoniale condotta in prime cure. 2.2.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della responsabilità del M. in contrasto con le dichiarazioni rese dai testi N T. , D.N.N. e D T. , dalle quali erano emerse le circostanze dell'insussistenza di alcun piano di sicurezza e sorveglianza della diffusione solo a voce delle direttive sulla sicurezza nella circolazione dei carrelli della situazione di precarietà e inefficienza del controllo effettuato dagli utenti responsabili relativamente alla circolazione dei carrelli. Sotto altro profilo, il ricorrente sottolinea il carattere contraddittorio delle contestazioni contemporaneamente ascritte al P. e allo stesso M. , essendo stata a quest'ultimo contestata la mancata sorveglianza e attuazione delle regole di circolazione dei carrelli regole la cui mancata assicurazione era stata, a sua volta, indicata come omessa dal P. e dalla dirigenza della Logint s.p.a Con riguardo all'inidoneità del piano di sicurezza, dei presidi e dell'organizzazione della sorveglianza, nonché alla mancanza di una delega di funzioni ai preposti, il ricorrente censura la sentenza d'appello per aver omesso di fornire una motivazione del rigetto delle corrispondenti censure sollevate in sede di gravame censure peraltro condivise nell'impugnazione allora proposta dal pubblico ministero attraverso le quali il ricorrente aveva evidenziato il sostanziale difetto di efficienza causale del ruolo ascritto al M. , in un quadro di grave e generale insufficienza delle condizioni di sicurezza all'interno dello stabilimento certamente riconducibile a livelli di responsabilità gestionale cui il M. doveva ritenersi inevitabilmente estraneo. 2.2.3. - Da ultimo, il difensore del M. insiste per la conferma della correttezza della motivazione indicata dalla corte territoriale in relazione all'intervenuta prescrizione dei reati ascritti allo stesso, in contrasto con quanto infondatamente sostenuto nel ricorso in questa sede di legittimità proposto dal procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli, atteso che, per effetto della ritenuta equivalenza delle circostanze attenuanti con l'aggravante contestata, il giudice a quo ha di fatto applicato la sanzione di cui al primo comma dell'art. 589 c.p., anziché quella di cui al capoverso dello stesso articolo. 2.3.1. - Con il primo motivo del proprio ricorso, il P. censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 511, 525 e 526 c.p.p., per avere la corte territoriale omesso di disporre la rinnovazione delle prove orali in primo grado assunte da un giudice/persona fisica diverso da quello che ha successivamente deliberato la sentenza, con particolare riferimento all'esame dei testi G. , Pa. e A. , le cui dichiarazioni, rese dinanzi a un giudice di prime cure poi sostituito, sono state irritualmente utilizzate dalla corte d'appello ai fini della decisione assunta. 2.3.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, omessa assunzione di una prova decisiva e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 603 e 192 c.p.p., con particolare riguardo alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, avente ad oggetto la produzione documentale allegata all'atto d'appello riguardante la configurazione della compagine societaria della Logint s.p.a., attestante la delimitazione delle responsabilità del datore di lavoro, nonché le comunicazioni interne alla medesima società, attestanti la diffusione delle informazioni di sicurezza e, in generale, l'adempimento degli obblighi di vigilanza da parte del P. nei confronti dei lavoratori documentazione sopravvenuta alla sentenza di primo grado del tutto trascurata dalla corte territoriale, senza che la stessa esplicitasse le ragioni di tale mancata valutazione. 2.3.3. - Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 106, 178, lett. c , e 180 c.p.p., segnatamente nella parte in cui la corte territoriale ha disatteso l'eccezione di nullità dedotta nei motivi d'appello concernente la rilevata incompatibilità della difesa, ad opera dello stesso difensore, nel corso del giudizio di primo grado degli imputati P. e F. , senza fornire alcuna adeguata motivazione sul punto, ed anzi affermando che, trattandosi di nullità c.d. a regime intermedio”, l'eccezione risultava intempestiva. Nella specie, il comune difensore dei due imputati aveva deciso di rinunciare al mandato defensionale conferitogli dal F. , in ragione dell'inconciliabilità tra le posizioni processuali dei suoi assistiti, solo dopo lo svolgimento di più di 25 esami testimoniali. L'assoluta inconciliabilità delle posizioni processuali del F. e del P. avrebbe pertanto dovuto imporre il rilievo dell'incompatibilità del comune difensore, con la conseguente nullità della sentenza di primo grado, tempestivamente dedotta con i motivi di appello, a dispetto della contraria decisione assunta, in modo illogico e contraddittorio, dalla corte territoriale. 2.3.4. - Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, comma 2, e 192 c.p.p., nonché in relazione all'art. 578 c.p.p., nella parte in cui la corte territoriale, dopo aver dichiarato la prescrizione del reato, non ha reso un'adeguata motivazione in ordine alla mancata assoluzione nel merito dell'imputato. In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, da un lato, evidenzia, ai fini della dichiarazione della prescrizione del reato oggetto di esame, l'insussistenza dei presupposti per la constatazione dell'evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato e, dall'altro, attesta l'obbligo di una motivazione meramente incidentale ai fini delle statuizioni civili, in palese contrasto con il disposto dell'art. 578 c.p.p. che, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni pronunciata dal giudice di primo grado ed essendo ancora pendente l'azione civile impone al giudice d'appello di procedere a una piena cognizione di tutti gli elementi della fattispecie penale considerata, al fine di pervenire all'eventuale conferma della condanna risarcitoria pronunziata in prime cure. Nella specie, la corte territoriale ha omesso di procedere a un esame compiuto e integrale dei motivi d'impugnazione proposti, sia pure ai soli fini riguardanti gli interessi civili coinvolti dalla decisione. 2.3.5. - Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza d'appello per violazione della legge processuale e vizio di motivazione in relazione agli articoli 521, 522 e 589 c.p.p., nella parte in cui la corte territoriale ha omesso di assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 530 c.p.p., individuando, a sostegno della mancata pronuncia dell'assoluzione, un profilo di colpa specifica estranea all'imputazione e alla pronuncia di condanna emessa dal giudice di primo grado. In particolare, la corte d'appello ha affermato la colpevolezza dei P. per aver omesso di provvedere i carrelli circolanti all'interno dei luoghi di lavoro di una strumentazione atta ad impedire, regolare e/o segnalare un'andatura elevata, e comunque inadeguata alle modalità di tempo e di luogo con le quali venivano impiegati, comunque non oltre i 6 km orari e tanto, vieppiù, sulla base della testimonianza resa da un soggetto, il teste Pa. , il cui esame non era stato ritualmente rinnovato in sede di appello contestazione estranea a quelle contenute nel capo d'imputazione e nella stessa sentenza di primo grado, con la conseguente violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, oltre alle ulteriori illogicità motivazionali conseguenti a detta violazione. 2.3.6. - Con il sesto motivo di ricorso, l'imputato censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, comma 2, e 192 c.p.p., nonché in relazione agli artt. 589 c.p. e 34, comma 4 bis, d.lgs. n. 626/94, in tema di valu-tazione della prova, avendo la corte territoriale escluso l'assoluzione dell'imputato per mancanza di alcuna violazione della normativa antinfortunistica o per difetto del nesso causale o, ancora, per mancanza di alcun profilo di colpa a suo carico, senza rendere alcuna adeguata motivazione su tali punti. In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale -muovendo dall'erroneo presupposto che la colpa specifica dell'imputato fosse individuabile nell'aver omesso di dotare i carrelli de quibus dell'idonea strumentazione necessaria al rilevamento della velocità - ha del tutto omesso di considerare adeguatamente, in sede motivazionale, gli ulteriori profili difensivi evidenziati con riguardo 1 all'assolvimento, da parte del P. , degli obblighi di sicurezza sullo stesso incombenti con particolare riguardo alle necessarie raccomandazioni di prudenza impartite a tutti i conduttori di carrelli 2 al tema della responsabilità del dirigente e del preposto, nonché della figura del datore di lavoro nelle grandi imprese segnatamente alla luce del sistema del c.d. scalettamento” di responsabilità all'interno dell'azienda, in particolar modo tra la figura del dirigente e quelle del preposto 3 alla questione riguardante la velocità del carrello e il nesso di causalità con l'evento infortunistico, essendo nella specie mancato alcun sicuro accertamento in ordine alla dinamica dell'incidente se dovuto all'investimento del lavoratore o invece allo scivolamento del carico esistente sul carrello e all'effettiva velocità del carrello condotto dal F. 4 alla condotta del carrellista non adeguatamente considerata nella sua dimensione di abnormità e a quella del lavoratore infortunato, nella specie responsabile di una consapevole violazione della norma precauzionale allo stesso imposta nella circolazione a piedi all'interno dei luoghi di lavoro in esame, idonea a determinare un'interruzione del nesso causale tra la condotta omissiva contestata l'imputato e l'evento infortunistico verificatosi. 2.3.7. - Con il settimo motivo di ricorso, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione agli artt. 538, 539, 540 e 578 c.p.p., nella parte in cui la corte territoriale, dichiarando prescritto il reato in corrispondenza di una data presumibilmente anteriore alla sentenza di primo grado, ha ugualmente confermato le statuizioni civili rese in tale grado di giudizio, in contrasto con l'insegnamento delle sezioni unite della corte suprema sent. n. 10086/1998 , ai sensi del quale deve ritenersi illegittima la sentenza d'appello nella parte in cui, accertando una prescrizione maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado, ne confermi le statuizioni civili, in assenza dei presupposti che, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., consentono al giudice dell'impugnazione di decidere sugli effetti civili anche nel caso in cui dichiari l'estinzione del reato. 2.3.8. - Con l'ottavo e ultimo motivo di ricorso, l'imputato censura la sentenza d'appello per violazione di legge in relazione agli artt. 62 bis e 69 c.p. nella parte in cui la corte territoriale non ha ritenuto di valutare prevalenti le circostanze attenuanti generiche già concesse in primo grado, rispetto alla contestata aggravante di cui all'art. 589, comma 2, c.p., con la conseguente dichiarazione, per tale via, della prescrizione del reato. 3. - Con memoria depositata in data 28.12.2012, contestatane l'ammissibilità e la fondatezza, il P. ha concluso per il rigetto del ricorso proposto dal procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli. Considerato in diritto 4.1. - Dev'essere preliminarmente rilevata per il carattere condizionante e assorbente della questione la fondatezza del primo motivo del ricorso proposto dal procuratore generale presso la corte d'appello di Napoli e, correlativamente, l'infondatezza del terzo motivo del ricorso del M. , dovendo ritenersi che il calcolo della prescrizione operato dalla corte territoriale, con riguardo alle contestazioni sollevate nei confronti di tutti gli imputati, è errato. Al riguardo - conformemente alle doglianze sollevate sul punto dal procuratore ricorrente -, vale evidenziare come, nel determinare la disposizione più favorevole agli imputati, ai fini del computo della prescrizione, la corte d'appello di Napoli ne ha individuato il ricorso nella legge n. 251/2005, senza tuttavia disporre l'integrale applicazione di tale ultima legge in particolare incorrendo nell'errore di non procedere al raddoppio dei termini previsti dall'art. 157 c.p., in relazione al reato di cui all'art. 589, cpv., c.p., in conformità al dettato imposto dallo stesso art. 157 c.p., come riformulato proprio dalla richiamata legge n. 251/2005. Ne deriva che il termine di prescrizione applicabile al caso di specie avrebbe dovuto ritenersi ai sensi della legge n. 251/2005 pari a 12 anni, aumentabile fino a un quarto per effetto delle interruzioni della prescrizione complessivamente 15 anni ex art. 160 c.p. , maggiorato dei periodi di sospensione. Ciò premesso, fissato il tempo della commissione dei reati alla data del 6.3.2002, alla stregua della disciplina di cui alla legge n. 251/2005 il periodo prescrizionale in ogni caso mai inferiore a 12 anni, aumentabile fino a 15 anni, oltre ai periodi di sospensione non avrebbe potuto comunque ritenersi interamente decorso all'epoca della pronuncia della sentenza d'appello 22.3.2012 , così come alla data odierna. Quanto all'eventuale carattere di disposizione più favorevole agli imputati della disciplina previgente rispetto alla legge n. 251/2005, osserva questa corte come, posta l'eventuale conferma in appello del giudizio emesso dalla sentenza di condanna pronunciata in primo grado circa la mancata prevalenza delle circostanze attenuanti genetiche sulle aggravanti contestate , il computo dei termini di prescrizione avrebbe condotto ad esiti non difformi, atteso che, tenuto conto delle intervenute interruzioni della prescrizione nel corso del procedimento, detti termini sarebbero ancora coincisi con il periodo di 15 anni dalla data del reato del 6.3.2002 cfr. il testo degli artt. 157 e 160 c.p. vigente all'epoca del fatto oggetto dell'odierna contestazione . La sentenza d'appello, avendo dichiarato prescritti e dunque estinti i reati de quibus sulla base di un calcolo del tempo della prescrizione errato, dev'essere dunque annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Napoli, dovendo quest'ultima procedere in sede di rinvio alla rinnovazione della valutazione delle posizioni di tutti gli imputati ivi compreso Vincenzo F. che non ha proposto ricorso per cassazione ai fini dell'eventuale accertamento, alla luce dei motivi d'appello originariamente proposti, della relativa responsabilità agli effetti penali, con le conseguenti statuizioni assolutorie o condannatorie e relativa pena e risarcimento del danno , ovvero là dove ritenute eventualmente prevalenti le circostante attenuanti genetiche, rispetto alle contestate aggravanti, ad esito di una riformulazione del giudizio di comparazione procedere alla rinnovazione del giudizio in ordine all'accertamento della disposizione più favorevole agli imputati ai fini della prescrizione. 4.2. - L'annullamento della decisione impugnata, con riguardo all'accertamento della responsabilità penale degli imputati, vale a determinare la caduta dell'indefettibile presupposto che avrebbe fondato l'autonomia delle decisioni adottate dalla corte territoriale in relazione ai capi civili della sentenza impugnata ossia l'estinzione del reato, ai sensi dell'art. 578 c.p.p. decisioni che devono ritenersi, di conseguenza, inevitabilmente travolte, non potendo evidentemente ammettersi ipotizzando l'eventuale pronuncia di assoluzione nel merito degli imputati dalle contestazioni penali in sede di rinvio la conservazione delle statuizioni di condanna relative alle domande delle parti civili, dalla corte territoriale adottate in via autonoma rispetto alla verifica dei profili della responsabilità penale degli imputati sulla base di un erroneo presupposto. 4.3. - L'annullamento della sentenza impugnata per le ragioni indicate impone di ritenere assorbita la rilevanza di tutti gli altri motivi di ricorso illustrati con riguardo al tenore delle decisioni assunte dalla corte territoriale circa la responsabilità degli imputati e le conseguenze che ne derivano, riaprendosi in toto lo spazio dell'intervento decisorio della corte territoriale in sede di rinvio, sia pure entro i limiti dei motivi d'appello originariamente avanzati. Ciò posto, ritiene la corte di dover comunque procedere ai fini del giudizio di rinvio alla segnalazione di due profili emersi dalle censure sollevate dagli imputati con riguardo alla sentenza d'appello, segnatamente là dove, nella prospettiva della violazione di legge, hanno sottolineato l'avvenuta espressa utilizzazione, da parte della corte territoriale, di deposizioni testimoniali non ritualmente assunte nel contraddittorio delle parti, dinanzi al giudice che ha reso la decisione. Valuterà, sul punto, la corte investita del giudizio in sede di rinvio, l'opportunità di procedere alle eventuali integrazioni ove ritenute necessarie , al fine di radicare il giudizio da assumere sulla responsabilità degli imputati sulla base di fondamenti probatori ritualmente acquisiti. Allo stesso modo, la Corte di rinvio terrà adeguatamente conto con riguardo alla contestata pretesa nullità degli atti processuali compiuti in presenza di una situazione di incompatibilità dei difensori, secondo quanto denunciato al riguardo dal P. dei principi sul punto statuiti dalle sezioni unite di questa Corte e dalle successive pronunce rese in thema , secondo cui l’inosservanza del disposto di cui all’art. 106, comma 4 bis, c.p.p., ai sensi del quale non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento ovvero in procedimento connesso o probatoriamente collegato, non costituisce causa di nullità o di inutilizzabilità di dette dichiarazioni, comportando essa oltre la eventuale responsabilità disciplinare del difensore soltanto la necessità, da parte del giudice, di una verifica particolarmente incisiva relativa alla loro attendibilità Cass. Sez. Un., n. 21834/2007, Rv. 236373 Cass., Sez. 6, n. 47079/2008, Rv. 242145 . P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.