Lavori condominiali per il tetto, ma il ‘pezzo’ condonato chiama in causa il condomino. Responsabile per i danni arrecati

Contestazioni per l’intervento realizzato, che provoca una riduzione di ‘luce’ per l’appartamento di una condomina. Opere affidate a un’impresa dal condominio, ma la parte realizzata dal singolo condomino è stata oggetto di condono edilizio. E le relative ripercussioni negative sono a suo carico confermata la condanna a risarcire.

Lavori condominiali per modificare la falda del tetto, con conseguenze però negative per un appartamento, la cui proprietaria si ritrova con una riduzione della ‘luce’ e, soprattutto, è obbligata ad un piccolo intervento, ossia la sostituzione dell’inferriata mobile, non più utilizzabile per le minori dimensioni dell’apertura. Ma la responsabilità, col relativo risarcimento, è da addebitare a un singolo condomino Quest’ultimo, difatti, ha chiesto e ottenuto il condono delle opere che hanno modificato la falda del tetto Cassazione, sentenza numero 6597, Seconda sezione Civile, depositata il 30 aprile . Work in progress. Eppure, il ‘balletto’ per il riconoscimento del danno segue un andamento altalenante. La domanda della condomina danneggiata dai lavori, difatti, viene respinta in primo grado, ma accolta in secondo grado. Per la Corte d’Appello, difatti, la «responsabilità» del condomino discende «dal fatto che questi aveva chiesto ed ottenuto il condono edilizio delle opere che, modificando l’andamento delle falde del tetto, avevano cagionato il danno» alla proprietà della condomina. E, viene ancora chiarito, per danno si deve intendere non la riduzione della ‘luce’ ma «il costo dell’inferriata mobile non più utilizzabile». A lavoro, anzi giudizio, in corso, l’addebito della responsabilità è controverso Carta canta Per difendere la propria posizione, l’uomo – condannato a pagare un risarcimento inferiore ai 2mila euro – presenta ricorso per cassazione, attestando la condominialità dei lavori, affidati a un’impresa, e contestando «la documentazione relativa al condono edilizio delle opere di copertura» del proprio appartamento. E, in questo quadro, riferimento principale è l’operato del condominio che, secondo il legale del ricorrente, ha incaricato un’impresa di costruzioni di «effettuare interventi di manutenzione straordinaria sul coperto e sulle finestre con sostituzione dei bancali». Per i giudici di Cassazione, però, gli accertamenti e le valutazioni, che la Corte d’Appello ha espresso, hanno pieno fondamento. Soprattutto perché, da un lato, il condomino è stato identificato come «autore delle modifiche apportate al tetto», e, allo stesso tempo, dall’altro, è stato acclarato il condono edilizio in merito alla parte di tetto che funge da copertura dell’appartamento del condomino e la cui modifica ha provocato danni alla condomina. Complessivamente, quindi, è chiara la «riferibilità soggettiva dei lavori di variazione delle falde del tetto», e logica è la quantificazione dei danni, nonostante il coinvolgimento anche del condominio. E, di conseguenza, è legittima, e da confermare, la pronuncia di condanna emessa in Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 gennaio – 30 aprile 2012, numero 6597 Presidente Oddo – Relatore Manna Svolgimento del processo Lamentando che una modifica alla falda del tetto dell’edificio condominiale avesse, tra l’altro, danneggiato una luce del proprio appartamento, G.S. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna il condomino U.M., cui addebitava i lavori che avevano cagionato il danno. Il convenuto resisteva attribuendone la responsabilità al condominio, che aveva deliberato i lavori. Respinta in primo grado, la domanda era accolta, invece, dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza pubblicata il 28.7.2009, che condannava U.M. al pagamento in favore di G.S. della somma di € 1.976,50 a titolo di risarcimento del danno. Quindi compensava per un terzo le spese di giudizio, ponendo la restante frazione a carico del M., e analogamente ripartiva, le spese di c.t.u. Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte felsinea ricavava la responsabilità del M. dal fatto che questi aveva chiesto ed ottenuto il condono edilizio delle opere che, modificando l’andamento delle falde del tetto, avevano cagionato il danno alla proprietà S. Quindi, osservava che la riduzione del 10% della luce, mentre non arrecava alcun pregiudizio all’illuminazione del vano cui serviva, comportava, tuttavia, un danno per il costo dell’inferriata mobile non più utilizzabile date le minori dimensioni dell’apertura, danno che quantificava nell’importo sopra detto. Per la cassazione di tale sentenza, ricorre U.M., formulando otto motivi d’impugnazione, illustrati da memoria. Resiste con controricorso G.S. Motivi della decisione 1. - Preliminarmente va esaminata l’eccezione d’inammissibilità del controricorso sollevata dal ricorrente nella memoria ex articolo 378 c.p.c., in quanto la relativa procura mancherebbe di specifico riferimento alla fase processuale di cassazione. 1.1. – L’eccezione è infondata. Il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, essendo per sua natura speciale, non richiede ai fini della sua validità alcuno specifico riferimento, al giudizio in corso, sicché risultano irrilevanti sia la mancanza di uno specifico richiamo al giudizio di legittimità sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al giudizio di merito Cass. numero 26504/09 . 1.2. - Nella specie la procura è stata apposta a margine del controricorso, per cui, nonostante il relativo testo attribuisca all’avvocato la difesa “in ogni stato e grado”, e “con ogni potere di legge, compresa la chiamata di terzi in causa, la facoltà di transigere e conciliare”, la sua localizzazione non ammette dubbi di sorta sulla riferibilità esclusiva al presente giudizio di cassazione, per il quale lo stesso controricorso risulta redatto. 2. - Il primo motivo deduce la difettosa e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’articolo 360, numero 5 c.p.c., in ordine alla ritenuta irritualità della produzione della lettera 30.6.2005 depositata dall’appellato. La Corte ha ritenuto non dimostrata la rituale introduzione in causa del documento, il quale, al contrario, era stato prodotto dalla difesa del M. all’atto della precisazione delle conclusioni. 2.1. - Il motivo è inammissibile per due concomitanti ragioni. 2.1.1. - La prima è data dal fatto che il vizio di mancanza, insufficienza o contradditorietà della motivazione, ai sensi dell’articolo 360, numero 5 c.p.c. nel testo anteriore al D.Lgs. numero 40/06 , è denunciabile soltanto ove abbia ad oggetto un punto del fatto sostanziale, inerente ad una domanda ovvero ad una eccezione di merito, non anche allorché ricada sulla motivazione relativa al fatto processuale quale svolgimento complessivo del modo in cui facoltà e poteri processuali sono stati esercitati dalle parti e dal giudice, sia perché spetta alla Corte di Cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività processuale attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto Cass. nnumero 27728/05, 22130/04 e 7620/01 , sia perché la censura, implicando un error in procedendo, deve essere denunciata ai sensi dell’articolo 360, numero 4 c.p.c. e non sub specie di vizio motivazionale cfr. Cass. numero 11034/03 e successive conformi . 2.1.2. - In secondo luogo, l’omesso esame di documenti, riconducibile al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360, numero 5, c.p.c. ricorre solo nel caso in cui questi ultimi si rivelino idonei a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo od estintivo del rapporto giuridico in contestazione, tanto da condurre ad una pronunzia diversa il potere-dovere di stabilire se il documento di cui si lamenta l’omesso esame sia, sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza, tale da indirizzare ad una pronuncia diversa da quella adottata compete alla corte di cassazione in sede di esame del ricorso Cass. numero 9701/03 . A tal fine il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, controllo che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative giurisprudenza costante v. per tutte e da ultimo, Cass. numero 17915/10 2.2. - Nella specie, manca nel ricorso sia la trascrizione del documento, sia la specifica allegazione del contenuto di esso e, quindi, della sua concreta attitudine a indurre, in termini non di possibilità o di probabilità, ma di certezza una soluzione di merito difforme da quella cui è pervenuta la Corte territoriale. 3. - Con il secondo motivo è dedotta la violazione di norme di diritto, nonché la contraddittorietà della motivazione circa le modalità della produzione documentale da parte della S. In particolare, parte ricorrente lamenta che la documentazione relativa al condono edilizio delle opere di copertura dell’appartamento del M. sia stata prodotta dalla controparte nel giudizio d’appello nel corso dell’accertamento tecnico e dunque in maniera non rituale, con la conseguenza che la Corte territoriale non avrebbe dovuto tenerne conto. 3.1. - Il motivo è inammissibile. Premesso che la causa in oggetto è stata introdotta nel 1990 v. pag. 5 sentenza impugnata , vigenti, dunque, le norme processuali ante novella ex lege numero 353/90, e che le indagini del c.t.u. sono state svolte nel processo di primo grado come si ricava dalla narrativa dello stesso ricorso , di guisa che anche la produzione documentale di cui si discute deve ritenersi effettuata in quel giudizio, deve osservarsi che l’irrituale produzione di un documento nel giudizio di merito non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata nell’udienza immediatamente successiva ad essa, con la conseguenza che, in caso di mancata tempestiva opposizione, il compimento dell’attività irregolare non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità giurisprudenza costante di questa Corte cfr. sent. nnumero 896/87, 5722/84, 4121/83, 594/82 e 4261/80 . 3.1.1. - Nella specie, né dalla sentenza impugnata, né dal ricorso emerge che la parte odierna ricorrente abbia eccepito in primo o in secondo grado che i documenti relativi al condono edilizio delle opere di copertura dell’appartamento del M. siano stati prodotti in violazione di norme o principi processuali, di guisa che ogni questione al riguardo deve ritenersi preclusa in questa sede. 4. - Il terzo motivo denuncia, ai sensi del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., la contraddittorietà e illogicità della motivazione circa la rilevanza della sanatoria nei confronti dell’asserito danno arrecato a alla luce dell’appartamento di proprietà Santarelli, in quanto, secondo parte ricorrente, collega aprioristicamente l’andamento delle falde alla restrizione di detta apertura, come se esistesse una causalità necessaria tra i due fatti, non considerando che sulle aperture sia luci che vedute è intervenuta un’impresa esterna che le ha manipolate. Tale ragionamento ha preso le mosse dalle falde e dal velux, ma si è concluso sulle dimensioni della luce e della relativa inferriata, senza rendersi conto, prosegue il ricorrente, del salto logico dipendente dalla mancanza di un nesso di causalità necessaria. In particolare, si afferma, il nesso eziologico tra la modifica delle falde del tetto e di una finestra velux e la lamentata riduzione della luce è escluso dal fatto che è ipotizzabile una miriade di variazioni delle falde, tutte prive di incidenza sulla dimensione di una luce che tale nesso non è stato provato dalla S., su cui incombeva il relativo onere e che U.M. ha provato, con tutti i documenti prodotti in primo grado, che è stato il condominio ad incaricare l’impresa di costruzioni A.Emme di effettuare interventi di manutenzione straordinaria sul coperto e sulle finestre con sostituzione dei bancali. 4.1. Il motivo è infondato. Il vizio di contraddittorietà della motivazione, sia nell’ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione stessa, sia nel caso di assoluta inconciliabilità delle ragioni esposte a fondamento della decisione, è tale solo se intrinseco alla sentenza, afferendo alla sua stessa logicità, e può, pertanto, essere riscontrato nel suo solo ambito, non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti - pur denunciabili sotto altri profili - tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di prove e documenti Cass. numero 6787/00 . 4.1.1. - Nello specifico, la Corte territoriale dopo aver identificato nel M. l’autore delle modifiche apportate al tetto, ha affermato che “dalla documentazione allegata dalla attuale parte appellante alla c.t.u., il tetto nella parte in cui, funge da copertura all’appartamento del M. è stato oggetto di condono edilizio. Nel maggio del 1997, infatti, il Comune di Bologna aveva autorizzato a sanatoria le opere eseguite dal M. in via dell’Unione numero 7 di Bologna, consistenti in “diverso andamento delle falde e diversa dimensione di 1 velux”. Quello stesso coperto di cui oggi si discute e la cui modifica strutturale ha comportato i danni per il cui risarcimento la S. agisce. Conseguentemente, la modifica del coperto è stata eseguita dal M., che ha anche provveduto a pagare il condono ” pag. 8 sentenza impugnata . Così accertata la riferibilità soggettiva dei lavori di variazione delle falde del tetto, la Corte territoriale ha poi proseguito osservando che “la c.t.u. espletata in primo grado, mentre nulla ha potuto accertare in relazione alla finestra della camera da letto ha accertato una diminuzione dell’apertura della finestra del bagno di circa il 10% nella parte inferiore della veduta. Ciò, specifica il c.t.u., se ha comportato una riduzione di cm. 22 delle dimensioni dell’apertura, non ha comportato alcuna diminuzione di luminosità, che diminuisce solo se si diminuisce la parte alta della finestra, mentre nella specie è stata ridotta la parte bassa. E’ stata, peraltro limitata la possibilità di affaccio” pag. 9 sentenza impugnata . Orbene, è di tutta evidenza per la logica consecuzione degli argomenti svolti nella sentenza, i quali nella loro oggettiva concatenazione altro non autorizzano intendere, che la Corte bolognese abbia ritenuto accertato, sulla base della relazione del c.t.u., che sia stata la variazione del tetto fatta eseguire dal M. a provocare il danno all’appartamento della S. E poiché per rendere chiaro tale concetto non occorreva ripetere oltre che l’oggetto dell’accertamento tecnico era appunto la modifica del tetto e le sue conseguenze sulla proprietà dell’attrice, né riportare pedissequamente come il c.t.u. fosse pervenuto alle sue conclusione, illogico, semmai, è negare che il ragionamento espresso nella sentenza contenga la giustificazione del nesso causale tra condotta modifica delle falde del tetto ed evento riduzione delle dimensioni dell’apertura esistente nella proprietà S. . Per il resto la censura si basa sulla mera negazione di un fatto - la responsabilità del M. quale autore delle modifiche del tetto - che non attiene al controllo motivazionale, ma alla valutazione di merito degli elementi istruttori, non sindacabile in questa sede quanto ai risultati raggiunti. 5. - Col quarto motivo è dedotta la violazione dell’articolo 2697 c.c. in connes-sione col vizio di motivazione, ai sensi dei nnumero 3 e 5 dell’articolo 360 c.p.c., per aver 1a sentenza impugnata posto a carico del M. l’onere della prova relativo alla manipolazione della “luce” dell’appartamento di proprietà S. Parte ricorrente lamenta che, essendo stato accertato che il tetto dell’edificio fu modificato sia dal condominio, sia dal M., illogicamente la Corte territoriale avrebbe posto a carico di quest’ultimo l’onere di provare chi dei due sarebbe stato autore del fatto dannoso. 5.1. - Anche tale motivo non merita accoglimento, in quanto si basa su di una lettura parziale e decontestualizzata di un singolo passo della sentenza d’appello. La frase riportata nel motivo “Può anche darsi che il coperto sia stato, poi, ristrutturato a spese del condominio, tra cui della S., ma ciò non è idoneo a trasferire sul condominio la responsabilità della modifica strutturale, non avendo il M., sul quale incombeva il relativo onere probatorio, una volta accertata la modifica strutturale del coperto a sue spese e per sua richiesta, provato la relativa circostanza” pagg. 8-9 della sentenza impugnata e su cui si basa la censura è preceduta dalle altre - riportate sopra al § 4.1.1. - che ben illustrano il ragionamento svolto dalla Corte territoriale ed escludono il denunciato malgoverno dei principi che presiedono al riparto dell’onere probatorio. Letta nel suo sviluppo, senza stravolgerne l’ordine logico né estrapolarne strumentalmente singole parti, la sentenza impugnata mostra con chiarezza che la responsabilità del M. è stata ricavata da un accertamento svolto in positivo, avendo la Corte d’appello ritenuto che fu questi ad operare le variazioni del tetto e, segnatamente, delle sue falde, provocando l’alterazione della luce del bagno dell’appartamento di proprietà S. L’espressione di tipo ipotetico trascritta nel motivo in esame costituisce null’altro che un obiter dictum il cui senso non è quello che parte ricorrente tenta di attribuire ai giudici d’appello, bensì quello di precisare in maniera sovrabbondante, com’è nella natura degli obiter dicta che “una volta accertata la modifica strutturale del coperto a sue spese e per sua richiesta”, il M. non aveva fornito dal canto suo una prova contraria a quella che lo designava come responsabile del fatto dannoso. 6. - Il quinto motivo denuncia il vizio di ultrapetizione della sentenza, per violazione degli articolo 342 e 163 c.p.c. in relazione al numero 3 rectius, 4 dell’articolo 360 c.p.c., relativamente al titolo e al quantum della liquidazione del danno. Sostiene parte ricorrente che mentre la domanda della S. era – testualmente - diretta ad ottenere il risarcimento del danno “nella misura risultante dall’espletanda istruttoria”, e dunque sulla base di un qualche rinnovo dei mezzi di prova, la Corte bolognese ha accolto la domanda senza dar corso ad altri incombenti, di guisa che, secondo il ricorrente, essa avrebbe accolto una domanda mai proposta, sulla base di conclusioni mai assunte, correggendo implicitamente quelle rassegnate, al fine di renderle compatibili con la decisione. 6.1. - Il motivo è manifestamente infondato. Oggetto della domanda è il bene della vita, o se si preferisce l’effetto di giudicato, richiesto, mentre il suo titolo è la norma di legge su cui si fonda la pretesa. Il modo attraverso cui il giudice, selezionando le prove raccolte e i fatti pacifici, perviene alla decisione di accoglimento non è oggetto di domanda e non riguarda la sfera di disponibilità delle parti. 7. Con il sesto motivo è dedotta la violazione dell’articolo 2697 c.c. e il vizio di motivazione nella determinazione dell’ammontare del danno, in relazione ai nnumero 3 e 5 dell’articolo 360 c.p.c., atteso che la S. non ha provato di aver acquistato l’inferriata mobile e di averla pagata, né ha dedotto prove al riguardo. 7.1. Anche tale motivo è manifestamente infondato. Il risarcimento del danno presuppone la titolarità del diritto leso, non il modo in cui esso è pervenuto al danneggiato, né l’adempimento delle obbligazioni corrispettive dell’acquisto stesso, l’uno e l’altro aspetto non avendo rilevo alcuno nell’ambito della relativa aestimatio rei, che assolve la funzione di reintegrare un valore, non quella di rimborsare una somma se ed in quanto erogata. 8. - Il settimo motivo denuncia, ai sensi del numero 5 dell’articolo 360 c.p.c., l’omessa motivazione in ordine agli effettivi criteri di liquidazione delle spese di lite, non avendo la Corte d’appello giustificato le ragioni per cui ha ritenuto di compensarli, solo parzialmente. 8.1. - Il motivo è infondato, perché è solo la compensazione delle spese, e non già l’applicazione della regola della soccombenza, cui il giudice si sia uniformato, a dover essere sorretta da motivazione. La facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione Cass. S.U. numero 14989/05 e successive conformi . 9. - Con l’ottavo motivo, infine, si deduce la violazione dell’articolo 92 c.p.c., in relazione al numero 3 dell’articolo 360 c.p.c., per aver la Corte territoriale condannato alle spese i M., nonostante la domanda sia stata accolta in minima parte, sicché avrebbe dovuto trovare applicazione, semmai, la condanna della parte attrice a tutte le spese ovvero la compensazione integrale delle stesse. 9.1. - Anche tale motivo è manifestamente infondato. L’articolo 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie , non impone ma consente, in base ad una valutazione discrezionale, di compensare le spese ove ricorrano giusti motivi né tanto meno impone al giudice, nel caso di accoglimento parziale della domanda, di condannare la parte attrice al pagamento delle spese stesse, essendo al più consentito, in tal caso, di compensarle v. Cass. numero 2381/09, che ha esteso la disciplina delle soccombenza reciproca in tema di spese al caso - in sé diverso - dell’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo . 10. - In conclusione il ricorso va respinto. 11. - Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza del ricorrente. P.q.m. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in € 900,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.