Senza alterazione esterna dell’edificio condominiale non c’è lesione del decoro architettonico

Non vi può essere lesione del decoro architettonico del caseggiato da parte del condomino che, pur trasformando un locale di proprietà esclusiva, ricorre solo ad opere interne senza variazione del volume del locale originario e quindi senza alterare esternamente l’edificio condominiale.

È questo il principio espresso dalla Cassazione, con ordinanza numero 1326, Sesta sezione Civile, depositata il 30 gennaio. Il caso. La vicenda esaminata dai Giudici Supremi iniziava quando una condomina trasformava una soffitta in locale abitabile, suscitando la reazione di altri due condomini i quali impedivano l’allaccio del locale predetto alla luce ed al gas nella convinzione che le opere di trasformazione eseguite avessero alterato il decoro del caseggiato. Tuttavia prima il Tribunale – a cui gli oppositori della trasformazione si rivolgevano - e poi la Corte d’Appello ordinavano l’allaccio delle utenze e condannavano gli attori al risarcimento dei danni. Alle stesse conclusioni è pervenuta la Suprema Corte che, nella citata ordinanza, ha precisato come opere interne su parti di proprietà esclusiva non possono in alcun modo alterare il decoro di un caseggiato. Il concetto di decoro architettonico. È ormai giurisprudenza costante che per decoro architettonico debba intendersi l’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti dell’edificio una sua determinata armonica fisionomia ed un particolare pregio estetico. Come viene sottolineato, vi è decoro per tutti gli edifici e non solo per quegli stabili che rivestono un particolare valore interesse storico o artistico anche l’edificio popolare è dotato di decoro architettonico perché anche la più modesta costruzione ha pur sempre caratteristiche strutturali tali da conferire all’immobile una particolare fisionomia suscettibile di essere danneggiata da innovazioni su porzioni di proprietà esclusiva o sulle parti comuni che determinano una modifica, ancorché tali nuove opere apportino particolari utilità al singolo condomino o al condominio. L’alterazione del decoro va valutata caso per caso. Già solo da queste considerazioni si deduce come la valutazione dell’alterazione sia opera difficile che non può prescindere da una valutazione da effettuarsi caso per caso e che, pertanto, sfugge a catalogazioni normative. In caso di controversia, quindi, nel decidere sull’incidenza di un’innovazione sul decoro, il giudice deve adottare, caso per caso, i criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche dell’edificio interessato accertando se la struttura avesse originariamente, ed in quale misura, un’unitarietà di linee e di stile nonché se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini. La lesione del decoro deve essere apprezzabile. L’alterazione del decoro per essere contestata deve essere apprezzabile, situazione che ricorre quando le modifiche siano visibili ed apprezzabili dall'esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità. Tale situazione ricorre, ad esempio, quando viene installata dal condominio una veranda in ferro ed in vetro non avente alcuna caratteristica stilistica, e del tutto disomogenea rispetto ai colori, ai materiali di costruzione, e in generale rispetto al disegno architettonico della palazzina cui si appoggia, o quando viene installato un mastodontico condizionatore in facciata o nel caso di cambio dei serramenti installati, in sostituzione di quelli originari, alle finestre dell’unità immobiliare aperte sul prospetto del fabbricato. In ogni caso il decoro è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Pertanto, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell'originaria fisionomia, ma alterano quest'ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l'accertamento - del tutto opinabile - del risultato estetico della modifica. Quando si deve escludere la lesione del decoro. Alla luce delle considerazioni precedenti si può affermare, come precisa l’ordinanza in commento, che le opere esclusivamente interne su parti di proprietà esclusiva non possono mai recare pregiudizio al decoro dello stabile. Tuttavia si deve tenere conto che spesso disposizioni del regolamento di condominio di natura contrattuale richiedono il consenso dell’assemblea per determinate opere, espressamente individuate, come ad esempio l’installazione di doppi infissi, o stabiliscono che in ogni caso i condomini, prima di intraprendere nei locali di loro proprietà l’esecuzione di opere e di lavori che comunque possano interessare l’estetica dell’edificio, devono darne notizia all’amministratore. In tal caso, quando cioè sono state predeterminate in via convenzionale le opere soggette ad autorizzazione preventiva dell’assemblea, la loro esecuzione vale a farle qualificare presuntivamente come abusive e pregiudizievoli quando esse siano compiute in assenza dell’autorizzazione stessa, a prescindere dalla rilevata mancanza di una sanzione, nel regolamento, per l’opera abusiva e, tanto meno, dalla possibilità di una postuma convalida di essa da parte dell’assemblea.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 10 novembre 2011 – 30 gennaio 2012, numero 1326 Presidente Goldoni – Relatore D’Ascola Fatto e diritto Ba Pa. intendeva trasformare una soffitta sita all'ultimo piano in locali abitabili. Altri condomini, tra i quali G P. vi si opponevano, non consentendo l'allaccio delle utenze di luce e gas all'immobile Pa Costei, dopo aver agito in via di urgenza, conveniva in giudizio il sig. P. e tale sig.ra Z., i quali in via riconvenzionale chiedevano la condanna dell'attrice alla rimozione dei manufatti illecitamente costruiti. Venivano chiamate in causa le signore G. e R., acquirenti del locale Pa Il tribunale di Roma nel novembre 2002 ordinava alla Z. di consentire a G. e R. di accedere alla corte di sua proprietà per l'allaccio delle utenze e condannava entrambi i convenuti al risarcimento dei danni. P. proponeva appello e la Pa. appello incidentale in ordine alla compensazione delle spese di lite. La Corte d'appello di Roma l'11 novembre 2009 rigettava il gravame. P. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 22 gennaio 2010 alla Pa., la quale ha resistito con controricorso. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Parte ricorrente ha depositato memoria. Il ricorso, imperniato su tre motivi, è stato ritenuto infondato dalla relazione preliminare. Il Collegio ritiene invece che il primo motivo lamenta violazione dell'articolo 112 e 132 cpc per omessa pronuncia sulla domanda di danno da lesione del decoro architettonico, conseguente alla trasformazione del manufatto sito sulla terrazza condominiale in appartamento in uso residenziale, meriti accoglimento, nei limiti che si vanno a precisare. È vero che dalla sentenza impugnata non emerge un'esplicita decisione della Corte di appello in ordine alla domanda relativa alla violazione del decoro architettonico del fabbricato, questione oggetto di specifica conclusione contenuta in comparsa di risposta e riproposta in appello. L'omissione di pronuncia è quindi sussistente. Tuttavia il ricorso sul punto può essere con statuizione di merito da questa Corte sulla base degli accertamenti di fatto contenuti in sentenza. Quest'ultima ha affermato pag. 3 che la trasformazione dei locali Pa. è stata effettuata solo mediante opere interne, sicché non essendovi stata alcuna variazione né ampliamento di volume dei locali originari non si è verificata nessuna compromissione per l'accesso al lastrico solare di proprietà condominiale . Questa motivazione vale a escludere la lesione del decoro architettonico del fabbricato, che è logicamente incompatibile con l'insussistenza di modifiche esterne dello stabile. Né rileva, ai fini del decoro architettonico, l'apposizione di tendaggi e stracci sul terrazzo del'edificio e rimuovibile. Ai fini della tutela prevista dall'articolo 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, devono essere alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. In relazione a questo principio pacifico, non merita di essere presa in considerazione neppure la generica affermazione della lesività dell'installazione di servizi e impianti . Questa espressione, rimasta priva di precisazione sia in ricorso sia in memoria, è di per sé indicativa non di modifiche murarie strutturali o di alterazioni delle linee architettoniche di un edificio, ma di adeguamenti e aggiunte funzionali, che non rilevano sulla estetica del fabbricato, data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità. Ne consegue che, sulla base degli accertamenti di fatto già esperiti in sentenza d'appello e della stesse deduzioni del ricorrente, nonché di quanto osservato dalla relazione preliminare in ordine al secondo motivo, la domanda può essere ritenuta infondata. Il secondo motivo lamenta omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per la decisione l'omissione riguarderebbe il rinvio che la Corte d'appello avrebbe fatto agli atti di causa per descrivere le modalità e l'entità della trasformazione del locale Pa La censura è inammissibile per più profili. In primo luogo di essa non viene illustrata la rilevanza non viene cioè spiegato quale è l'aspetto che avrebbe dovuto emergere da una più dettagliata descrizione delle opere e che non sarebbe emerso e in qual modo ciò sia stato determinante per il rigetto di una domanda del P In secondo luogo essa sembra evolvere nella doglianza circa la mancata ammissione di prove richieste dal ricorrente, prove indicate nel primo motivo. Se si considerano i due capi di prova per interrogatorio formale riportati a pag. 7 del ricorso, si evince che essi si riferiscono a deposito di materiale sul terrazzo comune, all'affissione di tendaggi e stracci al fine di arrecare disturbo, con danno al decoro architettonico dello stabile . Orbene, come rilevato in precedenza, nonché in controricorso, tali comportamenti non meritano di essere considerati ai fini della lesione del decoro architettonico, cioè delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità, giacché non concernono opere edili incidenti sulla sagoma o la facciata del fabbricato, ma la posa transeunte di oggetti rimovibili, che non possono quindi pregiudicare il decoro architettonico, inteso nel preciso senso che a tale istituto conferisce il codice civile. Il terzo motivo lamenta violazione degli articolo 1223, 1226 e 2056 c.c. e omessa motivazione. Si riferisce alla liquidazione del danno da mancata disponibilità degli allacciamenti a causa degli impedimenti illegittimamente apposti dall'odierno ricorrente. Questi lamenta che il ricorso alla liquidazione equitativa di Euro seimila sia immotivato e non giustificato. La censura è infondata, perché dalla sentenza emerge congrua e logica motivazione della statuizione, basata sulla disdetta di un contratto di locazione pervenuta alla resistente, proprio a causa del mancato allaccio delle utenze e nella valutazione, necessariamente approssimativa, anche se ancorabile al primo elemento indicato, della compromissione di usufruibilità e godibilità dell'immobile . In considerazione della modestia degli importi di cui si tratta, relativi al mancato godimento di un appartamento al piano attico in Roma, la motivazione offerta è da ritenere sufficiente. In memoria si ribadisce che il criterio di liquidazione del danno non sarebbe stato esplicitato il rilievo non è condivisibile, atteso che la compensazione del mancato godimento di un bene immobile di rilievo sito nella capitale si riferisce esplicitamente ed inequivocabilmente all'utilizzazione locatizia di esso lo si evince dal riferimento in sentenza alla fonte del danno, costituita dalla disdetta della locazione pattuita. In relazione a ciò, la valutazione offerta dai giudici dei due gradi di merito, neppure contestata, è congrua e logica. Discende da quanto esposto il rigetto del secondo e terzo motivo del ricorso. L'accoglimento del primo motivo in ordine all'omissione di pronuncia, in relazione alla decisione di merito adottata, lascia ferma ogni statuizione dei giudici di appello tuttavia giustifica la compensazione delle spese di lite. Irrilevante è la mancata intimazione delle acquirenti dell'immobile. P.Q.M. La Corte rigetta il secondo e terzo motivo di ricorso. Accoglie il primo e, decidendo nel merito, rigetta il motivo di appello relativo alla domanda riconvenzionale. Spese compensate.