Abusi sessuali su minore: la Cassazione indica i parametri di “credibilità” delle dichiarazioni rese

La particolarità dell’esame del minore vittima di abuso sessuale implica l’esame dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto e delle sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne a tal fine è idoneo ed efficace procedere ad indagine psicologica in ordine all’attitudine del bambino a testimoniare sotto il profilo intellettivo ed affettivo e la sua conseguente credibilità.

La valutazione sulla attendibilità e credibilità delle dichiarazioni del minore vittima di abuso sessuale non deve avvenire con riferimento esclusivo alla intrinseca coerenza interna del racconto, dovendosi adeguatamente tenere conto di ogni altra circostanza concreta che possa influire su tale valutazione, dovendosi essa testimonianza inquadrare in un più ampio contesto sociale, familiare e ambientale, al fine di escludere l’intervento di fattori inquinanti in grado di inficiarne la credibilità. Così si è espressa la Terza sezione della Cassazione con la sentenza n.551, depositata il 9 gennaio 2015, che si occupa della triste vicenda nella quale un educatore è stato definitivamente riconosciuto colpevole d’aver dato corso a toccamenti nei confronti di un minore di cui doveva occuparsi in ragione e virtù della propria professione. Queste le vicende salienti del caso che resterebbe confinato al mondo degli episodi immondi se le risposte giuridiche fornite dalla Corte ai quesiti proposti con ricorso non apparissero in grado di tracciare, in alcuni casi ribadendo linee e principi già elaborati, alcuni fondamentali indici in tema di valutazione delle dichiarazioni rese dal minore vittima di abuso sessuale. L’esame del minore. Le disposizioni dettate dal codice di rito per l’esame del minore dettate dall’articolo 498 comma 4 c.p.p. come è noto prevedono la possibilità per il giudicante di avvalersi di un esperto in “psicologia infantile”. La disposizione, ben nota a tutti coloro che si sono dovuti confrontare con un tema tanto delicato quanto complesso, trova applicazione, pressoché standard, in tutti i casi di incidente probatorio atto a raccogliere la testimonianza della vittima di abuso sessuale. La norma dà origine, a mio modesto avviso, a due distinte e certamente errate storture applicative ed interpretative possiamo, infatti, imbatterci nella figura del Giudicante che ritiene del tutto inutile la presenza dell’esperto in psicologia infantile, ritenendo sufficienti le esperienze maturate nella propria personale storia, od in quello che demandi integralmente all’esperto di psicologia infantile il ruolo di conduzione e svolgimento dell’incombente con ciò rinunciando a quella funzione che il legislatore ha, invece, inteso, espressi verbis , attribuirgli. Il tutto ovviamente condito da una terza ma non meno rilevante variabile costituita dalle modalità con cui viene scelto e definito esperto il soggetto incaricato di svolgere quella funzione di assistenza che l’articolo 498 comma 4 c.p.p. ha disegnato. L’esperto dovrebbe vantare capacità concrete e specifica formazione nell’ambito della psicologia forense ovvero rinunciare ad assumere nei confronti del paziente un qualsiasi atteggiamento che possa far pensare o presumere l’esistenza tra dichiarante e se medesimo di un patto terapeutico e dovrebbe, quindi, limitarsi a sondare le “capacità” psicologhe del minore in ordine e relazione alla narrazione che egli sta effettuando. Analisi che egli è chiamato a svolgere utilizzando l’indagine psicologica che altro non è che una perizia psicologica che trova nella disposizione positiva contenuta nel codice di rito, ingresso nel dibattimento laddove, come sappiamo, essa è ritenuta inammissibile ex articolo 220 comma 2 c.p.p L’esperto psicologo. Gli esperti nella e della materia hanno proceduto a dar vita ad un vero e proprio statuto epistemologico non solo della professione di “psicologo forense” ma anche delle regole cui l’esperto dovrebbe attenersi nell’esecuzione dell’incarico affidatogli dal Giudice. Si tratta della celeberrima Carta di Noto, della Carta di Venezia e di molti altri documenti, tranquillamente reperibili in tema, che da questi hanno preso spunto ed origine. Ben lontani dall’assioma tanto diffuso quanto infondato contenuto nella massima esperienziale “i bambini non mentono mai” i documenti citati indicano, in totale conformità a molteplici esperimenti svolti in tema, come i bambini non solo mentano, ma mentano in proporzione ben più rilevante rispetto a quanto facciano gli adulti. Proprio su questo tema, ovvero la possibilità di menzogne inconsapevoli, per parafrasare il titolo di un celebre romanzo, da parte del minore è necessario che l’esperto sia un vero esperto ovvero che conosca nel dettaglio la materia e che si muova secondo quelle linee guida e quei protocolli contenuti nei documenti citati che, come detto, costituiscono vere e proprie pietre miliari in tema. L’attitudine a testimoniare del minore. La caratteristica, tutta psicologica, va valutata facondo esclusivo ed espresso riferimento a due componenti che, unendosi, le danno origine e la connotano ovvero la capacità intellettiva e la maturità affettiva. Qui la Suprema Corte detta, in modo davvero impressionante per la precisione, vere e proprie “istruzioni” cui il giudice e l’esperto o l’esperto e il giudice debbono attenersi la capacità intellettiva ed affettiva del minore va esaminata considerando la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa da valutarsi in relazione all’età, alle condizioni emozionali che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Quindi un’analisi psicologica che tenga conto delle effettive capacità del minore da valutarsi in relazione alla sua età ed al suo vissuto. Sparisce ogni e qualsiasi riferimento a casi astratti od a categorie generali la valutazione psicologica deve essere fatta esclusivamente sul soggetto dichiarante che è un unicum cui non possono essere associati né paragonati altri soggetti. La credibilità del minore. Con riferimento alla credibilità del minore «occorre valutare il modo in cui il minore ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna». Come fare? Qui le regole contenute nella Carta di Noto e nei documenti citati sono in grado di offrire valido strumento interpretativo sotto il profilo psicologico – giuridico che è quello di interesse per la materia, agli interpreti e, mi sia consentito l’appunto, agli avvocati che, spesso, approcciano al tema senza alcuna specifica preparazione finendo con il non riconoscere la presenza di indici che potrebbero rilevarsi assai utili al proprio assistito in prospettiva difensiva. Ciò che vale per il giudice deve valere per gli altri soggetti processuali se rimproveriamo al giudice la tendenza a ritenersi davvero peritus , dobbiamo saper rifuggire analoga tentazione e, quindi, formati in modo corretto sul tema, sapere affidarci ad esperti psicologi forensi in grado di aiutarci a muoverci in quel complicato labirinto psicologico che è costituito dalla mente umana qui più complesso che altrove in virtù della particolare “qualità” della mente da analizzarsi che ancora non è completamente formata sotto il profilo della coscienza e della capacità di analisi e percezione della realtà. Il rischio dell’analisi intrinseca. Per chi si sia interessato di meccanismi della memoria e della testimonianza, che altro non è che un recupero di fatti dalla memoria, non costituirà certo una sorpresa il diktat della Corte allorché essa richiama il giudice all’obbligo di non limitarsi ad effettuare una verifica intrinseca di ciò che ha dichiarato il minore. Ben difficilmente, infatti, a meno di imbattersi in evidenti casi di menzogna, il racconto effettuato mostrerà profili di intrinseca contraddizione. Ciò che semmai è possibile rilevare, in caso di menzogna possibile, è che il racconto originariamente limitato ad un nucleo essenziale e centrale, viene ad essere arricchito, ad ogni deposizione, di altri, nuovi e sempre più dettagliati particolari che potrebbero indicare fenomeni affabulatori in corso nel minore che cerca di sostenere con richiami ad altri elementi prima non indicati la verità del proprio racconto per non essere identificato e vissuto, da sé e dagli altri, quale “bugiardo”. Ciò che l’interprete deve, dunque, ricercare, al di là ed oltre agli indici necessariamente sintetici e velocemente indicati sopra, è una lettura complessiva ed estrinseca, ovvero effettuata partendo dal racconto del minore ma rivolta alla ricerca di riscontri esterni non necessariamente testimoniali, dei fatti e degli atteggiamenti o, per meglio dire, dei vissuti del minore e delle condotte che egli ha posto in essere prima, durante e dopo i fatti abusanti narrati. Ovviamente in uno ad una attenta lettura dell’ambiente, familiare, scolastico e sociale, in cui il minore è inserito al fine di limitare al massimo le possibilità di inquinamento, quasi sempre involontario, della deposizione stessa del minore. Un lavoro delicato che non può essere né improvvisato né superficiale, soprattutto per gli interessi in gioco che rischiano di produrre danni al minore anche nel caso di una sua falsa ricostruzione del reale che, prima o poi, riemergerà in tutta la propria devastante portata resa ancor più immane dalla possibile esistenza di una condanna irrogata sulla base della stessa ad un soggetto innocente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 dicembre 2014 – 9 gennaio 2015, numero 551 Presidente Teresi – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, con sentenza dell'8/1/2014 ha confermato la decisione con la quale, in data 8/3/2012, il Tribunale di Velletri aveva riconosciuto C.M. responsabile del reato di cui agli articolo 81, 609-quater, 609-ter cod. penumero , per avere, in più occasioni, compiuto in danno di S.G. ed E. , nati il omissis , condotte di toccamento a connotazione sessuale dei genitali dei minori, approfittando della qualità di educatore dei predetti fatti commessi dall'estate al . Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, rilevando che la Corte del merito non avrebbe fornito risposta alle doglianze formulate nell'atto di appello e concernenti l'attendibilità del minore G. . Premesso che la maggior parte delle condotte originariamente formulate erano state ritenute insussistenti nel corso del giudizio di merito e che l'affermazione di penale responsabilità per quelle residue, concernenti i toccamenti delle zone genitali dei minori, era fondata esclusivamente sulle dichiarazioni del minore G. , lamenta che la Corte territoriale non avrebbe spiegato per quale ragione, se i racconti dei minori erano infondati per ciò che riguarda i fatti più gravi, perché inventati o basati su una distorta percezione della realtà, altrettanto non poteva dirsi anche per ciò che concerne i palpeggiamenti. Osserva che tale evenienza era resa maggiormente evidente anche dal fatto che i minori erano sempre stati insieme durante gli episodi, cosicché la inattendibilità delle dichiarazioni della bambina non potevano non riverberarsi anche su quelle del fratello, ad esempio attraverso un reciproco inquinamento. Aggiunge che la Corte del merito avrebbe omesso di considerare anche la ulteriore circostanza della reiterazione delle dichiarazioni che il bambino aveva dovuto rilasciare, erroneamente considerandola quale indice di attendibilità. Lamenta, inoltre, che la Corte territoriale, pur ritenendo la minore E. inattendibile, sulla base delle risultanze della perizia cui la stessa era stata sottoposta, ha comunque valorizzato quanto riferito de relato dall'affidataria della minore sulle confidenze da questa ricevute, incorrendo, conseguentemente, in un evidente errore logico. Afferma, poi, che i giudici del gravame non avrebbero neppure considerato che l'atteggiamento severo nei confronti dei minori potrebbe aver ingenerato un sentimento di antipatia o ripulsa nei confronti del loro educatore, né, tanto meno, le modalità con le quali si sarebbero svolti i fatti contestati nella camera da letto, non chiusa a chiave, della famiglia dei minori, mentre i genitori erano presenti in casa in un'altra stanza, con il rischio di essere scoperti, pur disponendosi di occasioni diverse per agire tranquillamente. 3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale avrebbe interpretato in modo erroneo le condotte contestate all'imputato, il quale ben potrebbe aver toccato fugacemente le parti intime dei minori durante l'attività svolta, senza che a quanto accaduto possa automaticamente attribuirsi una connotazione sessuale, considerato anche che tutti rimanevano vestiti e la porta della stanza non era chiusa a chiave e che l'atteggiamento dell'educatore ben poteva essere equivocato dai bambini. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Le censure formulate in ricorso sono sostanzialmente ripetitive delle doglianze mosse alla sentenza di primo grado con l'atto di appello alle quali, come meglio si dirà, la Corte del merito ha fornito adeguata risposta, senza incorrere nel vizio denunciato, che il ricorrente individua attraverso una lettura frammentaria dell'apparato motivazionale del provvedimento impugnato, arricchita da considerazioni che, in via del tutto ipotetica, forniscono una soggettiva interpretazione delle risultanze processuali. 2. La Corte di appello, dopo aver ricordato i fatti come ricostruiti dal primo giudice, ha chiarito che questi era pervenuto ad un giudizio di attendibilità e credibilità del minore G. , in conformità a quanto osservato dal perito che lo aveva esaminato e che, riguardo alla minore E. , dichiarata, sempre a seguito di perizia, inidonea a rendere testimonianza, la prova degli abusi in suo danno era ricavabile dalle dichiarazioni del fratello e dal comportamento riferito dalla affidataria. Riportati poi nel dettaglio i motivi di appello, i giudici del gravame hanno opportunamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minore vittima di abusi sessuali e, attenendosi ai principi richiamati, hanno effettuato una puntuale disamina delle doglianze formulate dalla difesa. 3. La prima questione affrontata dai giudici dell'appello è quella concernente l'attendibilità del minore S.G. , riconosciuta, conformemente a quanto avvenuto nel giudizio di primo grado, sulla scorta degli esiti della perizia, rispetto alla validità della quale neppure la difesa aveva formulato rilievi. Fatta tale premessa, la Corte del merito osserva che il disvelamento degli abusi subiti dal bambino era stato spontaneo, in quanto avvenuto confidandosi con un sacerdote senza sollecitazioni, che i giudici del gravame hanno escluso anche in considerazione dell'atteggiamento dei genitori dei minori, completamente disinteressati nonostante precisi segnali, quali il fatto che l'imputato si chiudesse al buio con i bambini nella camera da letto e manifestasse nei loro confronti un atteggiamento morboso ed il racconto delle molestie subite in presenza di altro sacerdote, che non aveva impedito al padre di portare ancora i bambini in casa dell'educatore. Osservano poi i giudici che il racconto degli abusi era stato reiterato ad altro sacerdote, alla madre, nell'incidente probatorio ed al perito in modo coerente e logico, fornendo particolari sulle circostanze di luogo e modalità di svolgimento che ne confermavano l'attendibilità. Il racconto, aggiunge la Corte territoriale, era accompagnato da un atteggiamento di sofferenza e ritrosia, descritto nel dettaglio, che allontanava ulteriormente ogni sospetto di inattendibilità. 4. Si tratta, ad avviso del Collegio, di considerazioni del tutto adeguate, che non prestano il fianco ad alcuna censura e risultano pienamente allineate ai principi formulati dalla giurisprudenza di questa Corte. Pare opportuno ricordare, a tale proposito, come si sia chiarito Sez. 3, numero 8962 del 3/7/1997, Ruggeri, Rv. 208447 , che la particolarità dell'esame del minore vittima di abuso sessuale implica l'esame dell'attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto e della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Viene inoltre ritenuta efficace l'indagine psicologica in ordine all'attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo e la sua credibilità. Il primo profilo riguarda la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo profilo - da tenere distinto dall'attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice - è diretto ad esaminare il modo in cui il minore ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna. È inoltre richiesto di evitare ogni trauma ulteriore, non strettamente ed assolutamente indispensabile. L'assunto è stato successivamente ribadito Sez. 3, numero 5003 del 7/11/2006, Miloti, Rv. 235649 Sez. 3, numero 39994 del 26/9/2007, Maggioni, Rv. 237952 Sez. 3, numero 29612 del 5/5/2010, R., Rv. 247740 . Si è altresì specificato che la valutazione sulla credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali non deve avvenire con riferimento esclusivo alla intrinseca coerenza interna del racconto, dovendosi tenere adeguatamente conto di ogni altra circostanza concreta che possa influire su tale valutazione Sez. 3, numero 4069 del 17/10/2007 dep. 2008 , Scarpulla, Rv. 238543 , chiarendo successivamente che la deposizione del minore deve essere inquadrata in un più ampio contesto sociale, familiare e ambientale, al fine di escludere l'intervento di fattori inquinanti in grado di inficiarne la credibilità Sez. 3, numero 8057 del 6/12/2012 dep. 2013 , V., Rv. 254741 . 5. Formulato tale giudizio di attendibilità, la Corte territoriale ha preso in esame la specifica doglianza difensiva riguardante l'incidenza sullo stesso delle altre accuse rivelatesi poi infondate, doglianza prospettata anche in questa sede, ritenendo la risposta dei giudici del gravame non sufficiente. La Corte territoriale ritiene tuttavia significativa la circostanza che le dichiarazioni del minore G. sui subiti palpeggiamenti erano rimaste immutate nel tempo e che, sulla base degli atti disponibili, risultava che le diverse e più gravi accuse erano originate dalle dichiarazioni della sorella, ritenuta però incapace di testimoniare. Si tratta di argomentazioni del tutto logiche, che non vengono minimamente scalfite dalle argomentazioni sviluppate in ricorso. Si sostiene, infatti, che anche G. avrebbe riferito fatti più gravi rispetto ai toccamenti, richiamando il contenuto di non meglio precisati atti di indagine utilizzati nel dibattimento di primo grado, senza ulteriori specificazioni, cosicché il motivo di ricorso evidenzia una assoluta genericità che non consente alcuna valutazione a questa Corte. Anche la possibilità di un reciproco condizionamento dei minori, pure prospettata nel motivo di ricorso, resta confinata nell'ambito delle mere ipotesi, non essendo suffragata da alcun elemento di certezza, mentre del tutto infondata risulta l'ulteriore deduzione secondo la quale i giudici del gravame avrebbero dapprima affermato l'inattendibilità della minore E. per poi valorizzare il racconto fatto alla sua affidataria, poiché non è questo che risulta dalla motivazione del provvedimento impugnato. La Corte di appello ha infatti inequivocabilmente valorizzato non le dichiarazioni rese dalla bambina all'affidataria e da questa riferite nel corso della sua deposizione testimoniale, quanto, piuttosto, il comportamento tenuto dalla minore e direttamente percepito dalla donna. A pagina 4 della sentenza impugnata, nel richiamare le conclusioni del primo giudice, i giudici del gravame fanno riferimento al “particolare comportamento riferito dall'affidataria”, la quale aveva raccontato che la bambina l'aveva toccata nelle parti intime e, alla sua reazione, aveva affermato che si trattava di un gioco che, insieme al fratello, facevano con “M. ”. Successivamente pagg. 7 - 8 , chiariscono che quanto riferito non poteva essere interpretato in altro modo se non come “un usuale gesto vissuto”. Si tratta, dunque, della valutazione di un dato oggettivo, rappresentato da un'azione della minore posta in essere nei confronti della teste che non si pone affatto in contraddizione rispetto al giudizio di incapacità a testimoniare della minore stessa espresso dal perito e condiviso dai giudici del merito, non avendo la bambina narrato alcunché alla sua affidataria, avendo dato, al contrario, secondo quanto coerentemente affermato dai giudici del merito, dimostrazione concreta della pregressa, negativa esperienza. 6. Anche l'ulteriore censura concernente la mancata valutazione di una incidenza negativa sull'attendibilità del minore dovuta alla reiterazione del racconto risulta infondata, perché, come si è già detto, i giudici del gravame hanno preso in esame le modalità e la tempistica del disvelamento, la costanza del racconto, l'assenza di condizionamenti o suggestioni, escludendo così che la circostanza delle plurime dichiarazioni potesse assumere rilievo. Del resto, anche in questo caso il ricorrente formula le proprie censure in maniera sostanzialmente assertiva, senza porre in evidenza quali diversi elementi considerati nel provvedimento impugnato sarebbero sintomatici di un travisamento, di un cedimento logico o di una manifesta contraddizione. 7. Quanto all'ulteriore osservazione formulata dal ricorrente in ordine ad un possibile atteggiamento di antipatia e di ripulsa dei minori nei confronti dell'imputato, non può dirsi, come sostenuto in ricorso, che la risposta dei giudici sia apodittica. A fronte della ipotizzata possibilità che le dichiarazioni accusatorie dei bambini fossero dettate da intenti ritorsivi i giudici hanno risposto richiamando il precedente giudizio di attendibilità, ribadendo che l'atteggiamento manifestato durante il racconto, connotato da ritrosia e sofferenza, consentiva di escludere che lo stesso fosse il risultato di fantasiose elaborazioni. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una risposta adeguata e coerente ad una domanda che, essendo formulata in via del tutto ipotetica, sulla base di un atteggiamento severo che l'imputato avrebbe verosimilmente tenuto nei confronti dei bambini al lui affidati, non richiedeva certo ulteriori specificazioni. 8. Altrettanto coerenti e logiche risultano le risposte date alle ulteriori deduzioni concernenti le modalità ed il luogo di svolgimento dei fatti, che la Corte del merito ha giustificato considerando l'atteggiamento e la personalità dei genitori dei minori, i quali avrebbero consentito all'imputato di agire con tranquillità, come dimostrato dal fatto che la madre dei bambini aveva avuto modo di entrare nella camera da letto mentre l'imputato era al buio con i fanciulli in grembo e non aveva avuto nulla da ridire e che il padre, anche dopo che la rivelazione delle molestie, non aveva esitato a portare i figli in casa dell'imputato, il quale li aveva importunati mentre il padre era intento a guardare la televisione. La infondatezza del motivo di ricorso appena esaminato risulta, pertanto, di macroscopica evidenza. 9. Per ciò che riguarda, inoltre, la interpretazione delle condotte dell'imputato, di cui tratta il secondo motivo di ricorso, deve pervenirsi a conclusioni analoghe. Anche in questo caso la Corte territoriale ha fornito puntuale risposta a doglianze formulate sulla base di mere ipotesi, prospettando la possibilità che i contatti con i minori fossero accidentali e non connotati da finalità di concupiscenza. La Corte territoriale ha posto in evidenza, quali elementi significativi, la mancanza di giustificazioni circa la necessità, per non meglio specificati fini terapeutici, di chiudersi in camera al buio con i bambini, la reiterazione dei palpeggiamenti nelle parti intime e non in altre zone che potrebbero essere toccate durante un gioco, la invasività del toccamento che aveva suscitato allarme nel bambino, la minaccia a questi rivolta di non raccontare l'accaduto, altrimenti avrebbe rivelato ai compagni che soffriva di enuresi notturna. 10. Si tratta di argomenti significativi, la cui decisività non viene meno a fronte delle obiezioni sviluppate in ricorso e riguardanti, ad esempio, il fatto che i bambini non venissero spogliati, che l'imputato non avesse scelto luoghi per lui più sicuri, come emerge chiaramente dal tenore della motivazione, che esclude chiaramente qualsiasi possibilità di ricostruzione alternativa degli eventi. Quelle del ricorrente altro non sono, ancora una volta, se non mere congetture, attraverso le quali vengono individuati possibili elementi di conferma ad una diversa lettura dei dati fattuali presi in esame dai giudici del merito che non risultano, però, idonee a scalfire l'adeguatezza delle linee argomentative e la congruenza logica del discorso giustificativo della decisione. 11. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente Corte Cost. 7-13 giugno 2000, numero 186 - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché della somma di Euro 3.500,00 tremilacinquecento,00 oltre ad accessori di legge in favore delle parti civili. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 D.Lv. 196/03 in quanto imposto dalla legge.