Denaro proposto a un adolescente per un giro assieme: è prostituzione minorile

Definitiva la condanna nei confronti di un uomo che ha approcciato in strada un ragazzo di 17 anni offrendogli 100 euro. Impossibile parlare di desistenza l’adescatore si è allontanato perché la vittima aveva preso tempo per poter chiedere l’intervento della polizia.

Ha avvicinato un adolescente di 17 anni e gli ha offerto 100 euro per un giro assieme e poi per proseguire l’incontro a casa. Pronta la reazione del ragazzo, che ha preso tempo per poter chiedere l’intervento della polizia. Inutile la fuga tentata dall’uomo. Per lui inevitabile il processo e ora definitiva la condanna per prostituzione minorile Cassazione, sentenza n. 45580, sez. III Penale, depositata oggi . Condotta. Linea di pensiero comune per il GIP del Tribunale e per i Giudici della Corte d’Appello l’uomo ha provato ad adescare un minorenne e va punito con 6 mesi e 20 giorni di reclusione . Inequivocabile, difatti, è ritenuta la sua condotta egli ha compiuto atti diretti a compiere atti sessuali con un ragazzo di 17 anni, in cambio di modiche somme di denaro . Più precisamente, l’uomo ha avvicinato l’adolescente per convincerlo a seguirlo sul suo veicolo, con espressioni quali Ciao, cosa fai, bello?” , invitandolo prima a prendere una birra e poi offrendogli 100 euro per fare un giro con lui e per andare a casa sua . Logico, secondo i giudici, parlare di prostituzione minorile . E questa considerazione è condivisa anche dai magistrati della Cassazione, che difatti confermano la condanna emessa in Appello, alla luce del comportamento tenuto dall’uomo. Impossibile, poi, secondo i magistrati, accogliere la tesi difensiva centrata su una presunta desistenza dell’adescatore. In particolare, i Giudici ritengono corretto il ragionamento secondo cui è evidente come l’atteggiamento della vittima – che non aveva accettato le proposte ma aveva preso tempo per poter avvertire le forze dell’ordine – abbia messo in allarme l’uomo, che, difatti, ha preferito allontanarsi per non essere identificato .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 gennaio – 4 ottobre 2017, n. 45580 Presidente Savani – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 25 giugno 2015,, ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano - giudizio abbreviato - del 6 febbraio 2014, che aveva condannato l'imputato Pe. Ca. alla pena di mesi 6 e giorni 20 di reclusione, oltre pene accessorie, imputato del reato di cui agli art. 56 e 600 bis del cod. pen. per aver compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a compiere atti sessuali con il minore Gu. Ja. -nato l' omissis - in cambio di modiche somme di denaro. Atti consistiti nell'avvicinarlo invitandolo a seguirlo sul suo automezzo con espressioni quali ciao cosa fai bello , invitandolo prima a prendere una birra, offrendogli Euro 100,00 per fare un giro con lui e per andare a casa sua. In omissis il 25 novembre 2008. 2. Pe. Ca. ha proposto ricorso per Cassazione, tramite il difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 2. 1. Difetto o illogicità della motivazione. La Corte di appello ometta la valutazione di elementi probatori offerti nell'atto di gravame che avrebbero potuto consentire una diversa lettura del materiale probatorio. Spetta alla Cassazione verificare la tenuta logica del ragionamento contenuto nel provvedimento impugnato. 2. 2. Mancanza illogicità e contraddittorietà della motivazione in punto di ritenuta insussistenza dell'ipotesi dell'art. 56, comma 3 del cod. pen. desistenza . Il ricorrente ha desistito dall'azione abbandonando il luogo dove poco prima aveva incontrato il minore. Infatti il minore non aveva informato l'imputato di voler chiedere l'intervento della polizia, ma gli aveva solo detto di attendere 10 minuti proprio perché, in cuor suo, ma solo in cuor suo, egli voleva chiamare le forze dell'ordine. Invece la Corte di appello ha affermato su tale punto che era evidente come l'atteggiamento della vittima che non aveva accettato ma aveva preso tempo per poter avvertire le forze dell'ordine, avesse messo in allarme l'imputato, che quindi aveva preferito allontanarsi per non essere identificato . La conclusione della Corte di appello muove da un presupposto errato, ossia che l'imputato avesse colto l'intenzione del minore di chiamare la polizia e non invece una desistenza volontaria del ricorrente. La desistenza non volontaria da parte dell'imputato era oggetto di un onere probatorio dell'accusa. Vi è un travisamento delle prove sotto il profilo dell'omissione o errata valutazione di elementi che avrebbero potuto assumere valore decisivo ai fini della decisione. La decisione è infatti incompatibile con atti del processo. Il materiale probatorio è particolarmente limitato, querela del 9 dicembre 2008 e le sommarie informazioni rese dall'assistente sociale Ch. Be. e dal dottor Al. Ve., entrambi effettivi presso il consorzio impegno sociale di Cassina Rizzardi. La valenza semantica delle parole contenute nella querela porta all'applicazione dell'articolo 56, comma 3 del cod. pen. -desistenza volontaria -. Il ricorrente volontariamente si è allontanato poiché non poteva sapere l'intenzione del ragazzo di chiamare la polizia. Ha chiesto pertanto l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile perché i motivi di ricorso sono manifestamente infondati, generici e ripetitivi dei motivi di appello, senza critiche specifiche alle motivazioni della sentenza impugnata. Inoltre il ricorso, articolato in fatto, valutato nel suo complesso richiede alla Corte di Cassazione una rivalutazione del fatto non consentita in sede di legittimità. La decisione della Corte di appello e la sentenza di primo grado, in doppia conforme contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, e sulla piena attendibilità del narrato del ragazzo, parte offesa. In tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 - dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 265482 . In tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965 . In tema di impugnazioni, il vizio di motivazione non può essere utilmente dedotto in Cassazione solo perché il giudice abbia trascurato o disatteso degli elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero dovuto o potuto dar luogo ad una diversa decisione, poiché ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità. Sez. 1, n. 3385 del 09/03/1995 - dep. 28/03/1995, Pi. ed altri, Rv. 200705 . 4. La Corte di appello e il Giudice di primo grado , come visto, ha con esauriente motivazione, immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, dato conto del suo ragionamento che ha portato alla valutazione di attendibilità del ragazzo. Quindi la sentenza non presenta vizi logici per un eventuale intervento di legittimità. Infatti, in tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Ag. e altro, Rv. 235578 . 5. La Corte di appello rileva, relativamente alle argomentazioni del ricorrente sulla desistenza volontaria, che non possano esservi dubbi che gli atti fossero idonei e diretti in modo non equivoco a realizzare il reato contestato. Né vi sono i presupposti per riconoscere la desistenza attiva invocata dalla difesa la scelta di desistere deve essere operata in una situazione di libertà interiore indipendente dalla presenza di fattori esterni idonei a menomare la libera determinazione dell'agente. Nel caso di specie è evidente come l'atteggiamento della vittima che non aveva accettato ma aveva preso tempo per poter avvertire le forze dell'ordine avesse messo in allarme l'imputato che, quindi, aveva preferito allontanarsi per non essere identificato . Si tratta di un giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità, se logicamente motivato come nel caso di specie. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell'art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.