La Cassazione si esprime in tema di sospensione dei termini in periodo feriale confermando la precedente giurisprudenza, ma con alcune novità in caso di ricorso in appello.
Con l’ordinanza numero 21568/17, depositata il 18 settembre la Cassazione enuncia un principio di diritto in tema di sospensione feriale dei termini. Il caso. La Corte d’Appello con sentenza del 15 settembre 2015, respingeva il gravame posto in essere dalla ricorrente, la quale lamentava che l’ufficiale giudiziario adito avrebbe dovuto procedere alla divisione dei terreni in conformità dell’elaborato peritale risultante dal precedente giudizio di divisione. Il giudice infatti non si sia limitato ad una mera interpretazione del titolo esecutivo ma aveva deciso, anche, la controversia nel merito. La soccombente ricorreva in Cassazione avverso tale provvedimento la controparte resisteva con ricorso incidentale. La sospensione dei termini processuali. La Corte di legittimità analizzando i motivi posti in essere dalle parti ha ritenuto preliminare ed assorbente il ricorso incidentale relativo all’omessa decisione da parte della Corte d’Appello in merito all’inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente proposto. In particolare, secondo la Corte l’appello è da considerarsi tardivo, in quanto al termine di cui all’articolo 327 c.p.c. Decadenza dall’impugnazione non poteva applicarsi la sospensione feriale trattandosi di opposizione avverso provvedimento di natura esecutiva. Infatti, la Corte ricorda che la sospensione dei termini processuali in periodo feriale di cui all’articolo 1 l. numero 742/1969 non si applica ai procedimenti di opposizione all’esecuzione, a quelli di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo all’esecuzione ed a quelli di accertamento dell’obbligo del terzo. Ciò posto, il Collegio afferma che «tale regola vale anche con riferimento all’appello avverso un provvedimento di carattere decisorio, avente valore di sentenza, reso nel procedimento esecutivo di obblighi di fare e di non fare, poiché detto appello assume necessariamente valore di opposizione all’esecuzione ex articolo 615 per contestare il diritto della controparte ad agire in “executivis” nelle forme di cui agli articolo 612 e segg. c.p.c., atteso che i due mezzi condividono in tal caso l’aspetto funzionale di strumento per rimuovere atti del procedimento esecutivo emessi in violazione di legge». Per questi motivi la Cassazione accoglie il ricorso incidentale e cassa senza rinvio la sentenza impugnata in quanto inammissibile per tardività.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 31 maggio – 18 settembre 2017, numero 21568 Presidente D’ascola - Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione R.A. e N. , all’esito della divisione svoltasi dinanzi al Tribunale di Caltagirone e conclusasi con la sottoscrizione tra le parti del verbale di conciliazione numero 4/2010, al fine di dare attuazione agli obblighi di fare contemplati nell’accordo, si rivolgevano al G.E. del detto Tribunale, assumendo che fosse mancata la spontanea esecuzione ad opera dei condividenti. Il giudice adito a norma dell’articolo 612 c.p.c., disposta CTU, con ordinanza del 9/4/2013, condividendo le conclusioni dell’ausiliare, disponeva che l’esecuzione dovesse avvenire conformemente a quanto indicato dal tecnico d’ufficio, designando l’ufficiale giudiziario che, collaborando con il CTU, avrebbe provveduto all’esecuzione degli obblighi di fare, procedendo alla divisione dei terreni in conformità dell’elaborato peritale. Avverso tale ordinanza, sul presupposto che il giudice non si fosse limitato ad una mera interpretazione del titolo esecutivo, ma avesse risolto una controversia tra le parti, proponeva appello l’altra condividente F.A. , e la Corte d’Appello di Catania, con la sentenza numero 1385 del 15/9/2015, rigettava il gravame, osservando che in realtà il giudice aveva correttamente fatto riferimento a quanto indicato con l’ausilio del CTU, in assenza di un analitico computo metrico riportato nel verbale di conciliazione, sicché l’ausiliare aveva fatto riferimento proprio a quanto calcolato e riportato dalle parti nel progetto di divisione approvato in sede conciliativa. La circostanza che il frazionamento dei fondi fosse avvenuto prescindendo da quelle che erano le indicazioni catastali e dai confini esistenti, ma con il richiamo a punti fiduciali, non contrastava con il titolo, posto che nel verbale di conciliazione, relativamente ai terreni i comunisti avevano consapevolmente scelto di fare affidamento su di un successivo frazionamento, che non si doveva fondare sui confini reali. Infine, evidenziava che anche la particella numero 301, sebbene per errore non riportata nelle tabelle che indicavano i lotti assegnati alle parti, era uno dei beni da dividere e quindi legittimamente era stata presa in considerazione nell’ordinanza impugnata, così come nella divisione conciliativa vi era un puntuale riferimento al diritto di servitù di cui si contestavano le modalità attuative. F.A. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di tre motivi. R.A. e R.N. hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. I tre motivi del ricorso principale lamentano rispettivamente Omesso esame di pag. 34 dell’allegato progetto di divisione facente parte del verbale di conciliazione Omesso esame del verbale di conciliazione nella parte in cui il tenore dell’atto esclude il rinvio ad un successivo frazionamento Falsa applicazione dell’articolo 1051 c.c., in quanto l’impugnazione opposta concerneva non il diritto di servitù ma le sue modalità di costituzione. Rispetto alla disamina dei motivi di ricorso principale, riveste però portata assolutamente preliminare ed assorbente il ricorso incidentale, che evidenzia l’omessa decisione da parte della Corte d’Appello sull’eccezione a suo tempo sollevata dagli appellati, concernente peraltro una questione rilevabile d’ufficio, relativa alla inammissibilità dell’appello, in quanto tardivamente proposto. Si rileva, infatti, che l’ordinanza impugnata era stata depositata il 9/4/2013, ma che, anche attribuendo alla stessa valore di sentenza, l’appello proposto in data 20/11/2013 era tardivo, in quanto al termine di cui all’articolo 327 c.p.c. pari a sei mesi, trattandosi di processo iniziato in primo grado in data successiva al 4 luglio 2009 non poteva applicarsi la sospensione feriale dei termini di cui alla legge numero 742/1969, trattandosi di opposizione avverso provvedimento in materia esecutiva. Il motivo è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che la sospensione dei termini processuali in periodo feriale indicata dall’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, numero 742 non si applica ai procedimenti di opposizione all’esecuzione, come stabilito dall’articolo 92 del r.d. 30 gennaio 1941, numero 12 ordinamento giudiziario , a quelli di opposizione agli atti esecutivi e di opposizione di terzo all’esecuzione, di cui agli articolo 615, 617 e 619 cod. proc. civ., ed a quelli di accertamento dell’obbligo del terzo di cui all’articolo 548 dello stesso codice. Tale regola vale anche con riferimento all’appello avverso un provvedimento di carattere decisorio, avente valore di sentenza, reso nel procedimento esecutivo di obblighi di fare e di non fare, poiché detto appello assume necessariamente valore di opposizione all’esecuzione ex articolo 615 per contestare il diritto della controparte ad agire in executivis nelle forme di cui agli artt 612 e segg. cod. proc. civ., atteso che i due mezzi condividono in tal caso l’aspetto funzionale di strumento per rimuovere atti del procedimento esecutivo emessi in violazione di legge Cass. numero 14591/2007 Cass. numero 574/1979 Cass. numero 3828/1974 . Ne consegue che in accoglimento del ricorso incidentale, trattandosi in ogni caso di questione rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità , poiché il giudizio a causa dell’inammissibilità dell’appello, non poteva essere proseguito, la sentenza deve essere cassata senza rinvio. Il rilievo dell’inammissibilità dell’appello determina altresì come conseguenza l’inammissibilità del ricorso principale. Le spese del giudizio di appello e di quelle di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso principale nonché l’appello sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono dichiarati inammissibili, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’articolo 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni. P.Q.M. Accoglie il ricorso incidentale e cassa senza rinvio la sentenza impugnata poiché il processo di appello non poteva essere proseguito attesa l’inammissibilità dell’impugnazione dichiara inammissibile il ricorso principale. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di appello e di cassazione in favore dei ricorrenti incidentali che liquida per il giudizio di appello in complessivi Euro 3.777,00 per compensi, e per quello di cassazione in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi dell’articolo 13, co. 1 quater, del d.P.R. numero 115/2002, inserito dall’articolo 1, co. 17, l. numero 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per l’appello e per il ricorso principale a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.