Il divieto di espatrio imposto ipso iure, anziché valutato caso per caso, viola la CEDU

La libertà di movimento, regolata dall’articolo 2 protocollo 4 Cedu, può essere soggetta a restrizioni solo se giustificate, proporzionate e che rispettino l’equo bilanciamento degli interessi pubblici con quelli privati dell’interessato il divieto d’espatrio imposto in modo rigido ed automatico, senza valutare le singole situazioni e le circostanze individuali, costituisce un’illecita interferenza non necessaria in una società democratica.

È quanto deciso dalla CEDU sez. III nel caso Vlasov e Benyash c. Russia del 20/9/16 vietare l’espatrio a chi è in libertà vigilata viola tale norma. Il caso. I due ricorrenti nel 2008 e nel 2011 furono condannati a tre anni di carcere con la condizionale rispettivamente per contrabbando e per estorsione e furono assegnati ad un periodo di prova. Avevano l’obbligo di comunicare ogni cambio di residenza. Vaslov pochi giorni prima della condanna chiese il rilascio del passaporto per recarsi all’estero per curare i propri interessi, ma gli fu negato così come all’altro ricorrente che lo richiese pochi giorni dopo la condanna. Ogni ricorso fu vano ed anche la Consulta confermò la legittimità di questa pena accessoria ha, infatti, chiarito che il divieto di espatrio è una misura temporanea ideata per salvaguardare l’esecuzione della pena ed è applicabile anche a chi ha avuto la sospensione della stessa ed/od è in libertà condizionata, come i due ricorrenti. L’esecuzione della condanna finale, infatti, è un obiettivo di rilevanza costituzionale e la mancata applicazione della pena metterebbe a repentaglio i diritti altrui e l’autorità della magistratura. Ergo, per le corti interne, erano ravvisabili i criteri per imporre questa restrizione ed il rifiuto di rilasciare il passaporto era legittimo. Quando è possibile limitare la libertà di circolazione? L’articolo 2 protocollo 4 riconosce ad «ogni individuo la libertà di lasciare qualsiasi paese compreso il proprio» ed ammette restrizioni purché siano «conformi alla legge e necessarie in una società democratica nell'interesse della sicurezza nazionale o di sicurezza pubblica, per il mantenimento dell'ordine pubblico, per la prevenzione della criminalità, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui». In generale una misura che «impedisce l’uso di un documento che avrebbe consentito all’interessato di lasciare il paese», quale il passaporto, è un’illecita interferenza nei diritti tutelati da questa norma salvo che non ricorrano detti criteri. Orbene per la CEDU tali vincoli dovrebbero essere soggetti a revisioni periodiche per valutare tutti i fattori che hanno portato alla loro adozione ed in primis se sono ancora giustificati e proporzionati Battista c. Italia del 2/12/14 questo compito spetta alle Corti interne dal momento che offrono le migliori garanzie di indipendenza, imparzialità e legittimità delle procedure. Sono, poi, leciti se giustificati dalla necessità d’impedire la recidiva del soggetto cui sono stati imposti o che commetta nuovi reati è stata considerata lecita la sua applicazione a chi era sospettato di far parte di un’associazione a delinquere ed al condannato per un reato violento Labita c. Italia [GC] del 6/4/00 e Villa c. Italia del 6/4/10 . Il condannato non ancora riabilitato non è ipso iure pericoloso. La CEDU ribadisce come sia possibile imporre queste preclusioni «solo se vi siano chiare indicazioni di un interesse pubblico che superi il diritto individuale alla libertà di movimento» basate su elementi concreti che siano veramente indicativi dell’esistenza di un rischio che queste misure vogliono prevenire. Per la prassi costante della CEDU il divieto di espatrio generale e quasi automatico imposto al condannato non ancora riabilitato non è considerabile necessario in una società democratica Nabaltinski c. Bulgaria del 10/2/11 . Rientra in questa ipotesi il divieto imposto ipso iure ad un soggetto solo per non aver pagato i propri debiti senza esaminare la sua capacità di saldarli e/o la sua situazione personale Battista cit. .In breve la mera condanna penale e la mancata riabilitazione non possono giustificare questi limiti. No all’applicazione rigida ed automatica del divieto d’espatrio. Nella fattispecie c’è stato un approccio troppo rigido ed automatico, dato che le corti interne si sono limitate ad aspetti formali dell’applicazione delle leggi nazionali senza fare alcuno sforzo per comprendere le ragioni dei ricorrenti. Infatti il permesso di recarsi all’estero per un breve periodo non avrebbe impedito loro di assolvere ai doveri imposti dalla condizionale riferire all’autorità per la libertà vigilata due volte al mese . Non potendo speculare sulla presenza o meno di giustificati motivi del divieto, la CEDU, però, rileva l’assenza di motivazioni il rischio di recidiva per Vlasov è stato eccepito solo innanzi alla CEDU e di un adeguato controllo della sua proporzionalità da parte delle autorità statali non avendo considerato le circostanze individuali sopra descritte questa restrizione automatica e rigida è un’illecita arbitraria interferenza che «può essere descritta come non necessaria in una società democratica».

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