Figlia disabile a casa, la madre non rientra in ufficio: posto di lavoro a rischio

Alla donna, dipendente comunale, viene contestato di essersi assentata senza giustificazione per 3 giorni. Drastica la reazione dell’ente locale, che opta per il licenziamento. La buonafede della donna, alle prese con una situazione familiare complicata, potrebbe non esserle sufficiente per salvare il lavoro.

Problemi familiari seri per la dipendente del Comune. Ciò nonostante, il suo posto di lavoro è a rischio. I dirigenti dell’ente locale, difatti, spingono per il licenziamento, a causa di un’assenza non giustificata durata 3 giorni Cassazione, sentenza numero 18326/2016, Sezione Lavoro, depositata il 19 settembre . Buonafede. Ancora senza vinti né vincitori lo scontro tra il Comune e la lavoratrice palla di nuovo ai giudici d’Appello. I magistrati della Cassazione, però, hanno ritenuto valide le considerazioni proposte dal legale dell’ente locale, considerazioni finalizzate a sostenere la legittimità del «licenziamento». Secondo il legale, ciò che conta è la condotta tenuta dalla lavoratrice, ossia la sua «assenza ingiustificata protrattasi per 3 giorni». Visione opposta, però, quella adottata in Appello. In sostanza, si ritiene che «la lavoratrice» abbia agito in «buonafede». Ella, come «madre», si trovava a dover gestire la figlia, «una bambina minore affetta da handicap», e, difatti, «aveva chiesto infruttuosamente», per il periodo novembre-dicembre 2010, «la fruizione di un periodo di aspettativa non retribuita». Discutibile, quindi, secondo i giudici, l’operato del Comune, anche tenendo presente che la lavoratrice non era stata avvertita dell’«esaurimento di tutto l’arco temporale previsto a titolo di congedo per la malattia della figlia». Tutto ciò ha spinto la Corte d’appello a ritenere la condotta della dipendente comunale non così grave da legittimarne il licenziamento. E consequenziale è stata la decisione di disporne «la reintegrazione nel posto di lavoro». Assenza. La vittoria della lavoratrice è però messa in discussione dalla Cassazione. Nel contesto del ‘Palazzaccio’, difatti, vengono ritenute valide le obiezioni mosse dal Comune e finalizzate a sottolineare il ‘peso’ della scorrettezza compiuta dalla dipendente. Il riferimento è, nello specifico, alla «assenza ingiustificata», sufficiente, secondo il legale dell’ente locale, a condurre alla «risoluzione del rapporto». Su questo fronte i magistrati, alla luce della vicenda, ritengono evidente che «il comportamento contestato» possa comportare il «licenziamento». E in questa ottica viene anche sottolineata la potenziale «gravità» dell’«inadempimento» attribuito alla lavoratrice, che non aveva comunicato «le ragioni dell’assenza», e aveva comunque la possibilità di fare ricorso a «tutti gli istituti a disposizione del dipendente che si trovi in una situazione di svantaggio, quali ferie e permessi, per giustificare le assenze». Per i magistrati di Cassazione è indiscutibile che «l’assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio» consente l’applicazione della «sanzione del disciplinare del licenziamento». A meno che non vi sia una «situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa». E su questa ipotesi dovranno ora soffermarsi i giudici d’Appello per prendere una decisione sulla legittimità del provvedimento adottato dal Comune.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio – 19 settembre 2016, numero 18326 Presidente Macioce – Relatore Boghetich Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 31 maggio 2012 la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza dei Tribunale della medesima sede, ha dichiarato illegittimi i due licenziamenti irrogati il 2.3.2011 alla dipendente F.B. dal Comune di Cellatica ai sensi dell'articolo 55 quater dei d.lgs. numero 165 del 2001 per assenza ingiustificata protratta per oltre tre giorni, anche non continuativi, nel dicembre 2010. La Corte, ritenuta necessaria nonostante la specifica e tipizzata previsione normativa la verifica della sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi della giusta causa di risoluzione del contratto, ha rinvenuto, nella condotta della lavoratrice, i profili della buona fede trattandosi di madre di una bambina minore affetta da handicap che aveva chiesto, infruttuosamente - per l'arco temporale 4.11-30.12.2010 - la fruizione di un periodo di aspettativa non retribuita e considerato, inoltre, il comportamento dell'ente che aveva proceduto ad un'unica contestazione disciplinare per poi adottare plurimi provvedimenti e che non aveva avvertito la lavoratrice dell'esaurimento di tutto l'arco temporale previsto dall'articolo 47 del d.lgs. numero 151 del 2001 a titolo di congedo per malattia della figlia. In assenza di connotazioni di gravità tali da giustificare la sanzione espulsiva, il giudice di merito ha disposto la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro. Avverso la sentenza impugnata ricorre il Comune con tre motivi. Resiste la B. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell'articolo 55 quater, comma 1, lett. b del d.lgs. numero 165 dei 2001 nonché vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale ha erroneamente recuperato spazi discrezionali e valutativi della giusta causa di licenziamento di contro esclusi dal legislatore il quale, enucleando - con la modifica apportata con l'articolo 69 dei d.lgs. numero 150 del 2009 - ipotesi tipizzate di licenziamento ha attribuito rilievo pressoché autonomo al dato oggettivo dell'assenza protratta nel triennio, cui non può conseguire, da parte datoriale pubblica, altra reazione se non quella dei provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro. Rileva, inoltre, parte ricorrente come - nonostante le indiscutibili difficoltà derivanti alla lavoratrice dalla disabilità della figlia - la B. avesse fruito a più riprese di permessi speciali e, in genere, di assenze giustificate per ragioni familiari e/o di salute e che rientra, pertanto, nella comune e minima diligenza del dipendente tenere il computo dei giorni a propria disposizione e di quelli mancanti alla necessaria ripresa dell'attività lavorativa. Si deduce, inoltre, che la Corte territoriale ha, in particolare, confuso le problematiche della figlia disabile che negli anni addietro hanno trovato ampia comprensione da parte del Comune, che a più riprese è venuto incontro alle particolari esigenze della lavoratrice, consentendo l'ampio utilizzo di tutti gli strumenti posti dall'ordinamento a tutela di situazioni svantaggiate con l'osservanza dei doveri di ufficio a cui è tenuto ogni dipendente, che - nel caso di specie - doveva essere rinvenuta nella condotta tenuta dalla lavoratrice in epoca anteriore e successiva ai fatti addebitati, condotta che è, invece, stata improntata al dispregio delle più elementari regole che il pubblico dipendente è tenuto a seguire come evidenziato nella memoria autorizzata dei 19.9.2011, a cui il Comune rinvia, ove si è sottolineato che la B. l'8.7.2011 non rientrava dal congedo parentale usufruito ex articolo 32 d.lgs. numero 151 del 2001 . 2. Con il secondo motivo il Comune denuncia violazione o falsa applicazione dell'articolo 55 quater, comma 1, lett. b del d.lgs. numero 165 del 2001 nonché vizio di motivazione, avendo, la Corte territoriale, censurato la condotta dell'ente pubblico per non aver tempestivamente preavvisato la B. dell'esaurimento dei giorni di congedo dalla stessa fruibili, non sussistendo un siffatto onere a carico del datore di lavoro. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 24 e 25 del CCNL comparto Regioni Enti locali stipulato il 6.7.1995 nonché vizio di motivazione ove il giudice di merito ha censurato l'adozione di una pluralità di sanzioni disciplinari in conseguenza di una condotta unitaria della dipendente, essendosi, il Comune, limitato ad ottemperare alla previsione legislativa che prevede il decorso di tre giorni di assenza ingiustificata per integrare la fattispecie normativa. 4. Preliminarmente, non può ravvisarsi - nella memoria ex articolo 378 c.p.comma depositata dal Comune - una chiara ed effettiva determinazione a rinunciare al ricorso in Cassazione. Invero, la memoria, che riporta la rubrica Note per l'udienza del 5.7.2016. Rinuncia al ricorso , si compendia nella comunicazione di un successivo licenziamento intimato alla B. in data 7.9.2011 e nella produzione della sentenza della Corte di appello di Brescia numero 274/2014 di declaratoria dì legittimità di tale provvedimento espulsivo, senza manifestare, peraltro, una chiara ed incontrovertibile volontà dell'ente di abbandonare la presente controversia. 5. I motivi, strettamente connessi tra loro, sono fondati. Il legislatore dei 2009 ha integralmente sostituito l'articolo 55 del d.lgs, numero 165 dei 2001 inserendo, fra l'altro, I'articolo 55quater nel quale, fermi gli istituti più generali del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, sono state introdotte e tipizzate alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a fondare un licenziamento. Tra queste è prevista l'ipotesi dell'assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiori a tre nell'arco di un biennio. 14. L' articolo 55 quater comma 1 dispone, invero, che, Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione dei licenziamento disciplinare, nei seguenti casi f. 1 b assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione . La disposizione ha introdotto una tipizzazione dì fattispecie di illeciti disciplinari per i quali è prevista l'applicazione del licenziamento. Si pone, quindi, il problema di verificare se - una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma - il licenziamento sia una conseguenza automatica e necessaria ovvero se l'amministrazione conservi il potere-dovere di valutare l'effettiva portata dell'illecito, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell'ipotesi in cui il fatto presenti caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento. Sul piano strettamente letterale, la nuova normativa offre spunti in senso opposto da una parte, si prevede che si applichi comunque il licenziamento ove ricorrano le fattispecie tipizzate ma, dall'altra parte, viene richiamato il generale principio di proporzionalità enunciato dall'articolo 2106 c.comma articolo 55, comma 2, primo periodo, d.lgs. numero 165 e viene mantenuta ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo , con implicito richiamo del consolidato orientamento giurisprudenziale relativo alle c.d. norme elastiche ed alla verifica di legittimità demandata al giudice. L'articolo 55 septies d.lgs. numero 165 può soccorrere per una interpretazione di valenza sistematica solamente nelle ipotesi di assenze imputabili a malattia, che non concerne il caso di specie. Non apparendo dirimente il criterio letterale, come già sottolineato da questa Corte cfr. Cass. numero 1351/2016 , l'esame della giurisprudenza costituzionale impone di privilegiare una ermeneusi morbida come definita dallo stesso ricorrente che consenta di ritenere che, anche in presenza di uno degli illeciti elencati dalla disposizione, l'amministrazione sia tenuta a svolgere il procedimento disciplinare all'esito del quale, valutate tutte le circostanze del caso concreto e, in particolare, la ricorrenza di circostanze influenti sull'intensità del dolo o la gravità della colpa in senso attenuante della responsabilità dei dipendente, può irrogare anche una sanzione conservativa. Deve, quindi, escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell'irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione. Il Giudice delle leggi, infatti, esaminando diverse disposizioni legislative che prevedevano automatismi espulsivi, ha ritenuto che la privazione di una valutazione di graduazione della sanzione in riferimento al caso concreto vulnera i principi della tutela del lavoro articolo 4 e 35 Cost. , del buon andamento amministrativo articolo 97 Cost. e quelli fondamentali di ragionevolezza articolo 3 Cost. Cfr. Corte Cost. numero 971/1988 e Corte Cost. numero 706/1996 in materia di destituzione di diritto Corte Cost. numero 170/2015 in materia di trasferimento obbligatorio in caso di violazione di specifici doveri da parte dei magistrati . 6. Deve, ritenersi, allora, che la disposizione normativa cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte dei lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell'elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa. In particolare, con riguardo all'assenza non giustificata, la tipizzazione ex ante effettuata dal legislatore onera il lavoratore di dedurre e fornire elementi che consentano in primis all'Amministrazione e, successivamente ed eventualmente, al giudice di valutare la ricorrenza di circostanze tali da impedire lo svolgimento dell'attività lavorativa, in tal senso comprendendo sia l'adempimento della prestazione principale sia tutto il corredo degli obblighi strumentali di correttezza e diligenza, e tali, quindi, da giustificare la condotta tenuta dal lavoratore seppur coincidente con la tipizzazione oggettiva effettuata dal legislatore. 7. Ebbene, nel caso di specie, non sussistono dubbi sul fatto che, dal punto di vista oggettivo, il comportamento contestato alla lavoratrice integrava la fattispecie tipizzata alla lett. b dell'articolo 55 quater del d.lgs. numero 165 dei 2001, ricorrendo tre giorni di assenza non giustificati nell'arco di un mese dicembre 2010 . La Corte territoriale non ha, peraltro, adeguatamente valutato la gravità dell'inadempimento con riguardo agli elementi soggettivi e, in particolare e l'adempimento, a parte della B., dei doveri d'ufficio con riferimento alla comunicazione delle ragioni di assenza e, soprattutto, all'utilizzo di tutti gli istituti a disposizione dei dipendente che si trovi in una situazione di svantaggio, quali ferie e permessi, per giustificare le assenze doveva ritenersi, e per quale ragione, comportamento non esigibile, dovendosi ritenere - viceversa - rientrare nella normale diligenza dei lavoratore il rispetto dell'orario di lavoro e delle condizioni di fruizione previa richiesta di pause, ferie e in generale di cause di sospensione del rapporto di lavoro previste dalla legge o dal contratto collettivo. 8. Deve, in conclusione affermarsi il principio di diritto secondo cui ai sensi dell'articolo 55 quater lett. b dei D. Lgs. 165/2001 l'assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio consente l'intimazione della sanzione disciplinare dei licenziamento purchè non ricorrano elementi che assurgono a scriminante della condotta tenuta dal lavoratore tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa. 9. Per le ragioni esposte il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione.