Con l’ordinanza del 25 settembre 2018, numero 22598, la Corte di Cassazione interviene a dettare le regole che il giudice deve seguire quando motiva la decisione di compensare le spese di lite.
Un tema, quello della decisione di compensare le spese di lite e della relativa motivazione, rispetto al quale il legislatore, tempo per tempo, è intervenuto con lo scopo di ridurre la discrezionalità del giudice sul presupposto che la condanna alle spese ovvero la scelta della compensazione è in grado di incidere sulle scelte processuali delle parti di agire o resistere in giudizio e che la parte vittoriosa non può rimanere esposta all’onere neppure delle proprie spese processuali. E così, vigente l’articolo 92 c.p.c. nella formulazione che consentiva la compensazione per «giusti motivi» quest’ultimi dovevano essere «esplicitamente indicati nella motivazione» dando conto – precisarono le Sezioni Unite nel 2008 – di quali fossero le considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare tale compensazione delle spese. Nel 2009 il legislatore intervenne nuovamente limitando ulteriormente la discrezionalità del giudice prevedendo che «se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti». Peraltro, da ultimo, la Corte Costituzionale con la sentenza numero 77 del 19 aprile 2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92, comma 2, c.p.c. nella parte in cui, dopo la riforma del 2014, non prevede che il Giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni a quelle tipizzate mutamento della giurisprudenza o novità della questione . Il caso deciso. Orbene, il caso deciso prende le mosse da un’opposizione a precetto volto ad ottenere la restituzione del prezzo di una compravendita risolta per impossibilità sopravvenuta. All’esito del giudizio di primo grado, l’opposizione veniva accolta e le opposte venivano condannate al pagamento delle spese processuali. All’esito del secondo grado che aveva avuto ad oggetto unicamente la questione della condanna alle spese legali , la Corte di appello, accogliendo l’impugnazione, riteneva che il giudice di primo grado avrebbe dovuto compensare le spese processuali condannando l’appellata al pagamento delle spese processuali del grado. E ciò perché aveva ritenuto «la complessità e la pluralità delle questioni sostanziali e processuali delibate, diffusamente trattata nella decisione gravata, idonee altresì ad incidere sull’esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti». Motivazione apparente. Direi, quasi inevitabile, il ricorso per cassazione da parte della società che aveva vinto in primo grado lamentando che essa era stata totalmente vittoriosa nel merito e, che quindi, non vi era alcuna ragione per compensare le spese. Del resto – proseguiva la ricorrente – la sentenza impugnata non esplicitava neppure quali fossero le gravi ed eccezionali ragioni. Ebbene, secondo la Cassazione il ricorso è fondato proprio perché il giudice di appello ha fatto ricorso ad una motivazione apparente. Le regole “operative” per la motivazione. Ed infatti, per la Cassazione il giudice deve «consentire l’individuazione delle questioni la cui complessità giustificherebbe l’esercizio del potere di compensare le spese di lite [] solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione». Inoltre, «la complessità e la pluralità delle questioni trattate non costituiscono ragioni “gravi ed eccezionali”» semmai di tali parametri si può tenere conto, in senso diametralmente opposto, al momento della liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa. Ma v’è di più. Anche il giudizio sulla imprevedibilità dell’esito della lite deve essere motivato indicando quali siano le specifiche questioni – in fatto o in diritto – che avrebbero determinato tale imprevedibilità. «Del resto – prosegue la Cassazione – l’incertezza circa la fondatezza delle ragioni azionate in giudizio, in assenza di orientamenti giurisprudenziali di segno contrario alla decisione finalmente assunta o quantomeno contraddittori, non si tramuta automaticamente in una ragione “grave ed eccezionale” per la quale compensare le spese processuali». Censurabile in sede di legittimità. Ecco allora che l’articolo 92 c.p.c. rappresenta una norma elastica che consente di adeguare il principio al caso concreto, ma quelle situazioni che legittimano la compensazione non determinabili a priori devono essere «specificate in via interpretativa dal giudice di merito, con un giudizio fondato su norme giuridiche». E così la novità delle questioni potrà ben rappresentare motivo di compensazione delle spese a patto, però, che «sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e, quindi, da valutare» nel momento in cui pone in essere l’attività e a condizione che si tratti di questioni sulle quali è stata fondata la decisione. Il principio di diritto e la sua applicazione. Sebbene, il principio sia espresso con riferimento alla versione dell’articolo 92 c.p.c. applicabile ratione temporis, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale che abbiamo richiamato in apertura, sarà destinato a trovare applicazione anche con riferimento all’attuale formulazione della norma. Ed infatti, per la Cassazione «la pronuncia additiva del Giudice delle leggi ha, nella sostanza, ripristinato il testo anteriormente vigente, ossia quello che faceva leva sulle “gravi ed eccezionali ragioni”» sulle quali l’ordinanza in esame ha espresso il principio di diritto.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 16 gennaio – 25 settembre 2018, numero 22598 Presidente Frasca – Relatore D’Arrigo Ritenuto in fatto La G. s.r.l. proponeva opposizione ad un atto di precetto intimatole da P.G.M. , V.M. e V.S. per il pagamento dell’importo di Euro 108.782,63, richiesto a titolo di restituzione del prezzo di una compravendita risolta per impossibilità sopravvenuta. Il Tribunale di Livorno dapprima sospendeva, ai sensi dell’articolo 615 cod. proc. civ., l’esecutorietà del titolo azionato poi, in composizione collegiale, rigettava il reclamo proposto ex articolo 624 e 669-terdecies cod. proc. civ. infine, decidendo nel merito, accoglieva l’opposizione e condannava le opposte al pagamento delle spese processuali in favore della G. s.r.l La decisione veniva impugnata dalle soccombenti limitatamente al capo concernente la condanna alle spese processuali. Costituitasi in giudizio l’appellata, la Corte d’appello di Firenze - con la sentenza indicata in epigrafe - accoglieva l’impugnazione in relazione all’omessa compensazione delle spese processuali in primo grado, che invece riteneva dovuta in considerazione de la complessità e la pluralità delle questioni sostanziali e processuali delibate, diffusamente trattate nella decisione gravata, idonee altresì ad incidere sull’esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti . Pertanto, riformava sul punto la decisione del tribunale e condannava l’appellata al pagamento delle spese del grado. Questa decisione è fatta oggetto di ricorso per cassazione da parte della G. s.r.l., che la censura per cinque motivi. P.G.M. , V.M. e V.S. resistono con controricorso. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 380-bis cod. proc. civ. come modificato dal comma 1, lett. e , dell’articolo 1-bis d.l. 31 agosto 2016, numero 168, conv. con modif. dalla l. 25 ottobre 2016, numero 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. La G. s.r.l. ha depositato memorie difensive. Considerato in diritto Le varie censure articolate dalla società ricorrente possono essere esaminate congiuntamente in quanto tutte relative alla medesima questione, ossia all’insussistenza dei presupposti per disporre la compensazione delle spese processuali del primo grado di giudizio ai sensi dall’articolo 92 cod. proc. civ. che, nella versione applicabile ratione temporis, subordinava la compensabilità alla ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni. Tali ragioni non sarebbero né sussistenti in concreto, giacché la G. s.r.l. era risultata pienamente vittoriosa in primo grado sia nel merito che nella fase della sospensiva e del relativo reclamo , né comunque esplicitate dalla sentenza impugnata, che giustifica la decisione mediante un generico rinvio alla complessità e la pluralità delle questioni sostanziali e processuali delibate, diffusamente trattate nella decisione gravata . Inoltre, la G. s.r.l. deduce che i giudici di merito avrebbero rotto la unitarietà della valutazione , ponendo le spese processuali dell’appello a carico di una parte risultata in primo grado totalmente vittoriosa. Il ricorso è fondato. Va rilevata, anzitutto, la violazione dell’articolo 132, primo comma, numero 4 cod. proc. civ., stante la mera apparenza della motivazione impugnata. Com’è noto, la riformulazione dell’articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., disposta dall’articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 conf. Sez. U, Sentenza numero 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 . Consegue che, se per un verso deve ritenersi oramai esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione, è pur vero che, per altro verso, il provvedimento il cui apparato argomentativo si colloca al di sotto della predetta soglia minima costituzionale è censurabile per omessa osservanza dell’obbligo di motivazione affermato dall’articolo 111, sesto comma, Cost. e dall’articolo 132, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., concretando tale omissione una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. v. Sez. 3, Sentenza numero 7402 del 23/03/2017, Rv. 643692 . Va dunque affermato il seguente principio di diritto Pur dopo la riformulazione dell’articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., disposta dall’articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, che ha reso non più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’articolo 111 sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’articolo 132, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ. . Nella specie, la corte d’appello ha motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dall’articolo 92 cod. proc. civ., nella versione applicabile ratione temporis, mediante il rinvio alla complessità delle questioni affrontate dal tribunale, tale da rendere imprevedibile ex ante quale potesse essere l’esito della causa. Tale motivazione deve ritenersi meramente apparente, anzitutto perché è del tutto inidonea a consentire l’individuazione delle questioni la cui complessità giustificherebbe l’esercizio del potere di compensare le spese di lite, consentito dall’articolo 92 cod. proc. civ. nella versione qui applicabile solo in presenza di gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione . In secondo luogo, perché la complessità e la pluralità delle questioni trattate non costituiscono ragioni gravi ed eccezionali semmai di tali parametri si può tenere conto, in senso diametralmente opposto, al momento della liquidazione delle spese in favore della parte vittoriosa. Infine, perché la decisione di primo grado - cui sostanzialmente la corte d’appello rinvia per relationem, in palese violazione dell’obbligo di motivazione esplicita - ha assunto sul punto una decisione di segno esattamente opposto, sicché, ferma restando l’impossibilità di individuare le questioni indicate dalla corte territoriale come complesse , deve ritenersi che le stesse siano state valutate irrilevanti ai sensi dell’articolo 92 cod. proc. civ. da parte del giudice al cui provvedimento si rinvia. Anche il giudizio sull’imprevedibilità dell’esito della lite è del tutto immotivato, scontando ancora una volta il problema della mancata individuazione specifica delle questioni - in fatto o in diritto – che avrebbero determinato tale imprevedibilità. Del resto, l’incertezza circa la fondatezza delle ragioni azionate in giudizio, in assenza di orientamenti giurisprudenziali di segno contrario alla decisione finalmente assunta o quantomeno contraddittori, non si tramuta automaticamente in una ragione grave ed eccezionale per la quale compensare le spese processuali anche in questo caso sarebbe occorsa quantomeno l’esplicita indicazione dei motivi per i quali l’imprevedibilità della lite poteva assurgere a criterio per l’esercizio del potere previsto dall’articolo 92, secondo comma, cod. proc. civ Sotto questo profilo risulta quindi fondata anche la denunciata violazione della disposizione testé citata. Infatti, l’articolo 92, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano gravi ed eccezionali ragioni , costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche. In particolare, anche la novità delle questioni affrontate può integrare la suddetta nozione, ma se ed in quanto sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata introdotta o è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese, sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la soccombenza, ossia di questioni decise Sez. U, Sentenza numero 2572 del 22/02/2012, Rv. 621247 . La sentenza impugnata non ottempera neppure all’onere di verificare le ragioni che hanno indotto le pretese creditrici ad intimare l’atto di precetto opposto. Anche sotto questo profilo, pertanto, il ricorso è fondato. L’accoglimento delle censure esaminate determina l’assorbimento di ogni ulteriore profilo dedotto dalla società ricorrente. Non incide sulla presente decisione la recente sentenza della Corte costituzionale numero 77 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Tale pronuncia, infatti, riguarda l’articolo 92 cod. proc. civ. nel testo modificato dall’articolo 13, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, numero 132, convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, numero 162, non applicabile nel caso di specie in ragione della disciplina transitoria. Peraltro, la pronuncia additiva del giudice delle leggi ha, nella sostanza, ripristinato il testo anteriormente vigente, ossia quello che faceva leva sulle gravi ed eccezionali ragioni , di cui si è discusso finora. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.