Al fine di evitare il licenziamento, l’azienda può offrire al lavoratore mansioni anche inferiori a quelle inizialmente concordate, ma è necessario che il lavoratore acconsenta ad espletarle, senza che un eventuale rifiuto possa essere considerato pretestuoso. Tale consenso, infatti, è condizione indispensabile per la legittimità dell’assegnazione, considerato il superiore interesse del dipendente a conservare il posto di lavoro.
A dirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza numero 16348/16, depositata il 4 agosto. Rifiuti la riallocazione? Una tantum si o no? Due dipendenti di una azienda municipalizzata di igiene urbana adivano il Tribunale di Torino, lamentando di essere stati ritenuti inidonei alle mansioni di assegnazione e non idonei a svolgere qualsiasi attività lavorativa. Chiedevano, pertanto, che l’azienda datrice di lavoro fosse condannata a pagare l’indennità una tantum prevista dall’articolo 40 c.c.numero l. di riferimento, in quanto la procedura di riallocazione era stata infruttuosa. Secondo il Tribunale, tuttavia, tale una tantum spettava ai soli lavoratori inidonei alle mansioni iniziali o a quelle successivamente assegnate e non a coloro che risultavano idonei a mansioni che, però, non intendevano svolgere. Nel caso di specie, i lavoratori erano risultati idonei alla mansione individuata nel corso della procedura di riallocazione. Non solo secondo i giudici torinesi, nel caso in cui non si sia riusciti a raggiungere un accordo sulla riallocazione del lavoratore, quest’ultimo sarebbe dovuto essere licenziato e solo eventualmente si sarebbe proceduto a concedere l’una tantum di cui si parla. Ciò in quanto l’obiettivo della norma invocata era quello di tutelare il lavoratore che perde il posto di lavoro per motivi di salute e non quello che rifiuta mansioni del tutto compatibili con tale stato. Tra l’altro, sarebbe paradossale concedere una somma di denaro a un soggetto che non chiede di restare in servizio pur adibito a mansioni diverse o che conserva il posto di lavoro ma rifiuta una collocazione alternativa offerta dall’azienda. Date queste premesse, il Tribunale di Torino stabiliva che, se il lavoratore rifiuta di svolgere mansioni inferiori compatibili con le sue condizioni fisiche, l’una tantum chiesta dagli attori non spetta. Questi ultimi ricorrono in Cassazione. Sì all’una tantum senza distinzioni. I dipendenti della municipalizzata basano il ricorso sul fatto che, già in passato, Piazza Cavour aveva inteso porre sullo stesso piano le determinazioni aziendali e quelle del lavoratore che vuole essere esonerato per inidoneità alla mansione propria ma è idoneo ad altre allocazioni. Il motivo di ricorso merita accoglimento la Suprema Corte, infatti, chiarisce che l’articolo 40 c.c.numero l. per le aziende municipalizzate di igiene urbana prevede la concessione di una somma una tantum nel caso in cui la procedura di riallocazione di un lavoratore risulti infruttuosa, non essendoci accordo sullo svolgimento di mansioni alternative, senza distinguere tra l’ipotesi in cui l’azienda non abbia offerto una mansione diversa e il caso in cui sia stato il lavoratore a rifiutarla. Il consenso del lavoratore al demansionamento è indispensabile. E, dato che, al fine di evitare il licenziamento, l’azienda può offrire al lavoratore mansioni anche inferiori a quelle inizialmente concordate, è chiaro che è necessario che il lavoratore acconsenta ad espletarle, senza che un eventuale rifiuto possa essere considerato pretestuoso. Tale consenso, infatti, è condizione indispensabile per la legittimità dell’assegnazione, considerato il superiore interesse del dipendente a conservare il posto di lavoro. Quanto detto si pone, naturalmente, in un’ottica più ampia nel senso che le mansioni alternative proposte dall’azienda al lavoratore che risulta inidoneo a svolgere quelle inizialmente assegnategli costituiscono l’unica alternativa al licenziamento. Occorre considerare la funzione dell’una tantum. La fattispecie oggetto di esame va correttamente inquadrata tenendo conto che l’obiettivo della corresponsione dell’una tantum di cui si discute è quello di compensare il lavoratore della perdita del posto di lavoro nel caso in cui non vi sia possibilità di impiegarlo in mansioni alternative e adeguate alla sua residua capacità lavorativa ma anche quando tale proposta non venga accettata. Il ricorso merita, quindi, accoglimento e la vicenda va riesaminata alla luce di questi principi.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 maggio – 4 agosto 2016, numero 16348 Presidente Venuti – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo I dipendenti A., D. e T., adivano il Tribunale di Torino esponendo di essere risultati inidonei alle mansioni di assegnazione ma non inidonei a svolgere qualsiasi attività lavorativa chiedevano pertanto la condanna della convenuta al pagamento dell'indennità una tantum prevista dall'articolo 40 del c.c.numero l. ritenendo sussistente la condizione dell'infruttuoso esperimento della procedura di riallocazione. Resisteva la convenuta. II Tribunale rammentava che sull'interpretazione dell'articolo 40 del c.c.numero l. per i dipendenti di aziende municipalizzate di igiene urbana ambiente dei 1995 era intervenuta la sentenza di questa Corte numero 9967/2012, resa ai sensi dell'articolo 420 bis c.p.c., interpretazione alla quale non intendeva uniformarsi, provvedendo così con sentenza emessa ai sensi dell'articolo 420 bis c.p.c. Riteneva il Tribunale che l'interpretazione ex articolo 420 bis c.p.c. contenuta nella sentenza 9967/12 di questa Corte non poteva essere condivisa, essendo basata sulla considerazione che la somma una tantum prevista dalla lettera a del punto 12 dell'articolo 40 c.c.numero l. spetta a tutti i lavoratori riconosciuti inidonei alle mansioni per cui erano stati assunti o a cui erano stati successivamente adibiti alla sola condizione che sia stata infruttuosamente esperita la procedura di riallocazione senza distinzione fra il caso in cui l'azienda non abbia offerto mansioni alternative ed il caso in cui le abbia offerte ma il dipendente le abbia rifiutate. Ad avviso del Tribunale tale interpretazione era contraria alla lettera della norma contrattuale, posto che la lettera a dei punto 12 prevede la spettanza dell'una tantum in favore dei soli lavoratori inidonei alle mansioni iniziali o a quelle successivamente assegnate e non certo in favore dei lavoratori che siano idonei allo svolgimento di mansioni che però non intendono svolgere. I lavoratori che, come i ricorrenti, conservano una capacità lavorativa residua non potrebbero quindi rientrare nella categoria contemplate dalla citata lettera a del punto 12 in quanto sono idonei a svolgere la mansione che l'azienda ha individuato nel corso della procedura di riallocazione. L'interpretazione predetta era poi, ad avviso dei Tribunale, coerente con la lettera dei punto 11 nella parte in cui prevede che, qualora non sia raggiunto l'accordo sulla ricollocazione dei lavoratore, l'azienda procederà al licenziamento con eventuale applicazione delle successive disposizioni in materia di esonero agevolato per inidoneità l'eventualità è quindi testualmente correlata alla spettanza del diritto all'una tantum e non solo al suo pagamento, e tale eventualità era riferita alle successive disposizioni in materia di una tantum e quindi necessariamente anche alla lettera a , il che consentiva di escludere ogni automatismo nella spettanza della somma in questione. Riteneva che l'interpretazione esposta, oltre ad essere aderente al dato letterale, era coerente con la finalità della norma, tenuto conto che la ragione della corresponsione dell'una tantum è quella di aiutare il lavoratore che a causa delle sue condizioni fisiche perda il posto di lavoro e tale logica certamente non ricorre nel caso del lavoratore che rifiuti mansioni compatibili col suo stato di salute. Inoltre, prosegue il Tribunale, l'interpretazione contenuta nella citata sentenza di questa Corte porterebbe, secondo la sentenza oggi impugnata, ad una conseguenza paradossale è infatti pacifico che il lavoratore il quale non si avvalga della facoltà di chiedere di essere mantenuto in servizio per svolgere mansioni diverse non ha diritto all'una tantum seguendo l'interpretazione accolta dalla S.C. quindi il lavoratore acquisterebbe comunque il diritto all'una tantum per il solo fatto di aver avanzato la richiesta di mantenimento in servizio, richiesta che potrebbe essere pretestuosa atteso che il lavoratore manterrebbe il diritto all'una tantum anche nel caso in cui rifiuti la collocazione alternativa offertagli dall'azienda. Per tali motivi il Tribunale, con sentenza depositata il 13 marzo 2014, dichiarava che l'articolo 40 del c.c.numero l. igiene ambientale del 1995 andava interpretato nel senso che l'una tantum non spetta nel caso in cui la mancata riallocazione in mansioni inferiori compatibili con le condizioni fisiche del lavoratore sia conseguenza del rifiuto dei lavoratore medesimo allo svolgimento delle mansioni, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso i lavoratori, affidato ad unico motivo. Resiste l'A. con controricorso. Motivi della decisione 1. I ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione di norme dei c.c.numero l. per i dipendenti da aziende municipalizzate di igiene urbana del 31.10.95 articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamentano che la decisione impugnata si pone in aperto contrasto con quanto affermato da questa S.C. nella sentenza numero 9967\12, alla cui motivazione si riportano, evidenziando che l'articolo 40 del c.c.numero l. 1995 intese porre sullo stesso piano le determinazioni aziendali e quelle del lavoratore interessato all'esonero per inidoneità alla mansione propria, ma idoneo ad altre ricollocazioni. Il motivo è fondato. Questa Corte ha già osservato, in identica controversia instaurata ex articolo 420 bis c.p.c., che in tema di estinzione dei rapporto di lavoro per sopravvenuta inidoneità del lavoratore, l'articolo 40 del c.c.numero l. per le aziende municipalizzate di igiene urbana -per cui il lavoratore riconosciuto inidoneo alle mansioni di assunzione o di successiva assegnazione ha diritto ad una somma una tantum in caso di infruttuoso esperimento della procedura di riallocazione deve essere interpretato nel senso che l'indennità compete in tutti i casi nei quali non sia stato raggiunto l'accordo per lo svolgimento di mansioni alternative, non distinguendo il contratto collettivo tra il caso in cui l'azienda non abbia offerto al lavoratore una mansione diversa e il caso in cui il lavoratore l'abbia rifiutata Cass. numero 9967\12 nello stesso senso Cass. numero 19358\13, Cass. numero 25074\13, Cass. numero 21918\13 . Giova al riguardo ricordare cfr. Cass. numero 19358\13 che, nel procedimento di accertamento pregiudiziale della validità, efficacia ed interpretazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di cui all'articolo 420 bis cod. proc. civ., la pronuncia che la Corte è chiamata a rendere ha una portata che, seppur in misura limitata, è idonea a trascendere il caso di specie nel senso che ha una qualche incidenza anche in altri giudizi che pongono la medesima questione interpretativa della normativa collettiva di livello nazionale. Questa proiezione esterna costituisce il chiaro segno di un'assegnazione di una funzione nomofilattica a questa Corte anche nell'esercizio dei sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale. Il giudice di legittimità, chiamato a svolgere questo nuovo ruolo nell'interpretazione diretta della contrattazione collettiva di livello nazionale, esercita un sindacato che tendenzialmente è modellato ad immagine del sindacato sulle norme di legge cfr.Cass. sez. unumero numero 20075 del 23 settembre 2010 . Deve comunque aggiungersi che ai sensi del comma 11 dell'articolo 40 CCNL, l'offerta da parte dell'Azienda può riguardare anche mansioni non equivalenti, ma inferiori, e così si spiega la necessità di acquisire il consenso del lavoratore ad espletarle. Nel contesto di tale disciplina l'eventuale rifiuto opposto dal lavoratore non può mai essere considerato pretestuoso, poiché è il consenso la condizione indispensabile per la legittimità dell'assegnazione. È noto che è valido il patto di demansionamento che, ai soli fini di evitare un licenziamento, attribuisce al lavoratore mansioni, e conseguente retribuzione, inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito, prevalendo l'interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro su quello tutelato dall'articolo 2103 cod. civ. tale patto è valido non solo ove sia promosso dalla richiesta del lavoratore il quale deve manifestare il suo consenso non affetto da vizi della volontà sebbene anche allorché l'iniziativa sia stata presa dal datore di lavoro, sempreché vi sia il consenso dei lavoratore e sussistano le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell'accordo Cass. numero 19358\13, Cass. numero 2375\05 . Le mansioni alternative che l'Azienda propone al lavoratore inidoneo alle mansioni per le quali venne assunto o alle quali è stato successivamente adibito costituiscono la rappresentazione della residua possibilità occupazionale, unica alternativa al licenziamento, altrimenti inevitabile. La clausola contrattuale tende ad integrare, attraverso l'acquisizione del consenso del lavoratore, le condizioni affinché possa ritenersi legittima anche un'eventuale offerta di mansioni non equivalenti. La corresponsione dell'una tantum non costituisce, dunque, un Premio per un rifiuto opposto dal prestatore alla proposta dell'azienda di mantenerlo in servizio, ma una erogazione compensativa della perdita del posto di lavoro sia nell'ipotesi che non siano reperite in azienda soluzioni alternative adeguate alla residua capacità lavorativa del soggetto, sia in ogni altro caso in cui la soluzione offerta non venga accettata dal lavoratore, posto che in tale caso è mancata l'integrazione della fattispecie complessa che rende legittima la proposta aziendale Cass. numero 19358\13 . La Corte non ha ragioni per discostarsi da tale consolidato orientamento, sicché il ricorso deve accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l'ulteriore esame della controversia alla luce del principio enunciato, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Torino, in persona di diverso giudice.