“Non è abituale dimora”, il Comune respinge la richiesta di residenza

Presupposto della residenza anagrafica di una persona è l’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo che si caratterizzata per la permanenza e per l’intenzione di abitarvi stabilmente.

Con l’ordinanza numero 13241/18 depositata il 28 maggio, la Cassazione ripercorre i tratti essenziali del concetto di dimora abituale. Il caso. Accertato ripetutamente dai pubblici ufficiali che la ricorrente non aveva stabilito la dimora abituale all’indirizzo indicato nell’istanza di registrazione della residenza anagrafica presso il Comune, il Tribunale rigettava il ricorso avverso il provvedimento prefettizio di diniego. Nel rigettare il reclamo, la Corte d’Appello confermava la decisione dei Giudici di prime cure ritenendo non sufficiente l’occasionale ricezione di corrispondenza o la presenza in loco durante le vacanze estive della richiedente, occorreva infatti la reale volontà della stessa di abitarvi, quale presupposto del concetto di dimora abituale e, di conseguenza, di residenza. La ricorrente, avverso il decreto della Corte territoriale, propone ricorso straordinario in Cassazione. Permanenza e intenzione di abitarvi stabilmente. Gli Ermellini, relativamente alla questione sull’erronea interpretazione in senso formalistico del concetto di dimora abituale sollevata dalla ricorrente, affermano che, secondo la previsione dell’articolo 43 c.c. e dell’articolo 3 d.P.R. numero 223/1989, «la residenza di una persona è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo», la quale è caratterizzata sia dall’«elemento oggettivo della permanenza», sia dall’«elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente» e si rivela per via delle «consuetudini di vita» e dello «svolgimento delle normali relazioni sociali». Pertanto, avendo i Giudici di merito deciso in senso conforme a tale principio ed essendo gli accertamenti di detti elementi censurabili solo nei limiti dell’articolo 360, numero 5, c.p.c., la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 22 marzo – 28 maggio 2018, numero 13241 Presidente Genovese – Relatore Lamorgese Fatti di causa Il Tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, con decreto del 30 marzo 2011, ha rigettato il ricorso di S.P. avverso il provvedimento prefettizio del 31 marzo 2010 di diniego della residenza anagrafica nel Comune di omissis , in via omissis . Il tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, con decreto del 30 marzo 2011, ha rigettato il ricorso di S.P. avverso il provvedimento prefettizio del 31 marzo 2010 di diniego dell’istanza di registrare la sua residenza anagrafica nel Comune di omissis , in via omissis . Ad avviso del tribunale, da ripetuti accertamenti negativi effettuati da pubblici ufficiali presso l’indirizzo indicato era risultato che la S. non aveva ivi stabilito la dimora abituale, che è presupposto della residenza, non essendo sufficiente l’occasionale ricezione di corrispondenza. La S. ha proposto reclamo, deducendo che, ai fini della nozione di stabile dimora, dovesse tenersi conto anche della volontà del soggetto e non solo del dato oggettivo della permanenza nel luogo ha evidenziato di avere comunque ritirato due raccomandate presso le poste e di avere chiesto di effettuare gli accertamenti in loco dal giovedì alla domenica, essendo negli altri giorni della settimana impegnata a Roma per lavoro. Il reclamo è stato rigettato dalla Corte d’Appello de L’Aquila, con decreto dell’11 aprile 2016, secondo il quale il concetto di dimora abituale, collegato a quello di residenza, presuppone l’elemento soggettivo della volontà del richiedente, che deve pur sempre desumersi dalle consuetudini di vita e dalle relazioni sociali che, nella specie, non indicavano alcuna radicamento della S. nel territorio del Comune di omissis , non essendo sufficiente la presenza in loco durante le vacanze estive i vicini avevano riferito che l’appartamento era disabitato, come confermato dall’accumularsi della posta nella cassetta, dalle dichiarazioni dell’amministratore di condominio, il quale aveva riferito di diffide restituite al mittente per il pagamento delle quote condominiali inoltre un accertamento eseguito di giovedì il 23 marzo 2006 , giorno indicato dall’interessata, aveva avuto esito negativo. Avverso il predetto decreto, la S. propone ricorso straordinario per cassazione ex articolo 111 Cost., affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli articolo 2700 c.c., 115 e 116 c.p.c., per avere i giudici di merito basato il proprio convincimento sulla base di apprezzamenti personali di pubblici ufficiali, non coperti da pubblica fede, e di inconsistenti informazioni raccolte dall’amministratore di condominio e dai vicini. Il motivo è inammissibile. La censura sollevata dalla S., che si duole della valutazione della Corte d’Appello di L’Aquila in relazione agli accertamenti svolti dai pubblici ufficiali, comporta un nuovo giudizio di merito attraverso la richiesta di un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio né costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la ritenuta ingiustizia della decisione impugnata Cass., sez. unumero , numero 8053/2014, numero 7931/2013 . Non è ravvisabile violazione dell’articolo 115 c.p.c. nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove indicate dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre - com’è avvenuto nel caso di specie, avendo ritenuto più rilevanti gli elementi probatori forniti dai pubblici ufficiali rispetto a quelli forniti dalla S. - ma soltanto nel caso - non ricorrente nella specie - in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio Cass., sez. unumero , numero 16598/2016, numero 11892/2016 . La violazione dell’articolo 116 c.p.c. è invece configurabile solo allorché il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile Cass. numero 11892/2016, numero 13960/2014, numero 20119/2009, numero 26965/2007 e non è questo il caso. Con il secondo motivo, è denunciato l’omesso esame di fatti decisivi che provavano la sua dimora in via OMISSIS per tutto l’anno, come risultava da alcune fatture relative al consumo delle utenze domestiche. Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una critica all’accertamento del fatto compiuto dal giudice di merito, che è insindacabile in sede di legittimità in presenza di motivazione idonea a rivelare la ratio decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità sulla motivazione in seguito alla modifica dell’articolo 360, numero 5, c.p.c., apportata dall’articolo 54 d.l. numero 83/2012, convertito in legge numero 134/2012 Cass., sez. unumero , numero 8053/2014 . Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli articolo 43 c.c., 3 del dPR numero 223/1989, 16 Cost. e 2 del IV prot. Add. CEDU, avendo la Corte di merito erroneamente interpretato in senso formalistico il concetto di dimora abituale. Il motivo è inammissibile, a norma del’articolo 360 bis numero 1 c.p.c., avendo la sentenza impugnata deciso in senso conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la residenza di una persona, secondo la previsione degli articolo 43 c.c. e 3 del dPR numero 223 del 1989, è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali Cass. numero 25726 del 2011 . L’accertamento di detti elementi in concreto è astrattamente censurabile negli stretti limiti di cui al novellato articolo 360 numero 5 c.p.c. che il ricorso in esame non ha valicato. Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, unitamente al raddoppio del contributo. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2050,00, oltre SPAD. Doppio contributo a carico della ricorrente come per legge.