Cassa nazionale unica di previdenza e assistenza per tutti i professionisti

La globalizzazione ha cambiato il mondo e con il mondo anche le libere professioni. Si può mettere la testa nella sabbia, come sta accadendo a vari livelli, oppure affrontare i problemi con coraggio e, soprattutto, lungimiranza.

L’ultimo rapporto, febbraio 2018, di Itinerari previdenziali sul sistema delle Casse privatizzate dei liberi professionisti riproduce un quadro desolante, ma non viene evidenziato dai media, un po’ per scarsa conoscenza della materia, un po’ perché la industria finanziaria ha tutto lo interesse a magnificare ed esaltare la patrimonializzazione. Si legge alla pag. 76 che «il rapporto pensione media/contributo medio presenta valori che vanno da 1,4 a 4,26 la pensione media, dunque, per tutti gli enti è più alta del contributo medio gli avvocati percepiscono una pensione media pari a 4,26 volte il contributo medio ingegneri e architetti, commercialisti tre volte, ragionieri e geometri 2,5 volte il contributo medio, mentre le altre Casse mantengono un rapporto più basso, in particolare i medici ENPAM che presentano una pensione media pari quasi al contributo medio 1,04 ». Lo stesso che dire che le Casse di previdenza dei professionisti erogano, mediamente, in prestazioni più di quanto ricevono dalla contribuzione, il tutto incrementando un debito latente previdenziale che io stimo pari grossomodo a tre volte la patrimonializzazione ma che nei report viene sistematicamente dimenticato. Soffermiamoci sui dati offerti da Cassa Forense. Su 240.000 iscritti ben 198.650 dichiarano redditi inferiori a € 50.000,00 annui. Se lo stipendio medio in Italia è di € 29.380,00 l’anno, in Cassa Forense ci sono 143.774 avvocati che hanno un reddito al di sotto di questa soglia, dove al posto dello stipendio per il lavoro autonomo si deve guardare al reddito. E per arrivare a € 29.380,00 di reddito annuo è necessario avere un incasso di circa € 60.000,00. La situazione, a mio giudizio, è già oggi insostenibile. Come si può pensare di assicurare un trattamento pensionistico agli iscritti sottoreddito? Il regolamento ex articolo 21 l. numero 247/2012 li porta alla pensione contributiva senza integrazione al trattamento minimo che è poca, per non dire pochissima, cosa ma era inevitabile, nello status quo, per non dissestare l’equilibrio economico-finanziario di lungo periodo della fondazione. Le Casse di previdenza e assistenza dei liberi professionisti devono combattere contro due nemici particolarmente insidiosi che sono la demografia e la crisi reddituale. Questi nemici si combattono soltanto unendo le forze. In previdenza valgono i grandi numeri non le specificità di nicchia perché il bisogno da intercettare è lo stesso per tutti i professionisti. Nel suo intervento sull’ultimo numero della Previdenza Forense maggio-agosto 2018, il direttore prof. Leonardo Carbone, alla pag. 115 esattamente scrive che «La diversità di regole dettate per le varie categorie professionali, sia per l’accesso alla professione che al sistema previdenziale categoriale, ha rappresentato uno degli ostacoli maggiori per la istituzione di una Cassa nazionale unica per tutti i liberi professionisti la disorganicità delle norme in materia di previdenza delle varie categorie professionali – soprattutto in ordine ai criteri per l’accesso al sistema previdenziale categoriale – concorre direttamente alla realizzazione di palesi ed ingiuste sperequazioni nell’accumulazione delle risorse finanziarie e di conseguenza, nella erogazione dei trattamenti pensionistici è auspicabile una generale riconsiderazione di tutta la materia dell’accesso alla previdenza dei liberi professionisti allo scopo di eliminare, nel rispetto della pluralità e della tipicità delle singole professioni, la disorganicità della legislazione vigente». La strada è segnata ed è quella giusta, a mio o avviso. Se il management delle varie Casse di previdenza e assistenza dei liberi professionisti fosse lungimirante l’avrebbe già intrapresa avendo come obiettivo l’istituzione della Cassa unica di previdenza e assistenza per tutti i professionisti, la sola in grado di contrastare le criticità demografiche e reddituali. Oggi in sede ADEPP si parla di un fondo di solidarietà intercategoriale fra le Casse di previdenza professionali, che possa esser utilizzato per supportare un Ente, in caso di difficoltà finanziaria. E, per realizzarlo, si pensa di «proporre al governo una defiscalizzazione, i cui proventi possano costituire» una riserva per il mutuo soccorso nel sistema pensionistico privato e privatizzato. Sarebbe solo, a mio avviso, un pannicello caldo insufficiente allo scopo e che richiede, per alimentarsi, della detassazione oggi come oggi improponibile con questi “chiari di luna”. Come mi ricorda l’amico Carlo Dolci di Bergamo, con me in Cassa Forense, avevamo cominciato ad aprire una strada comune più di dieci anni fa proponendo la costituzione di una SGR con altre Casse per la gestione di fondi immobiliari distinti ma fu proprio il nostro CDD a bloccare la iniziativa che era giunta ad una formulazione concreta. “Verrà un giorno” di Manzoniana memoria per concludere alla Giuseppe Valenti!