Lungo contenzioso tributario: la lentezza del Fisco non vale un risarcimento

Respinta definitivamente la richiesta avanzata da un uomo e una donna, traditi dal loro commercialista e per questo finiti nel gorgo di controlli, procedimenti amministrativi e tributari. Secondo i giudici, sono da valutare come ininfluenti le inefficienze, i ritardi e le contraddizioni nell’operato degli uffici finanziari.

Contenziosi multipli col Fisco. A tradire due contribuenti è stato il commercialista. Questo elemento è però irrilevante. Legittime, di conseguenza, le pretese avanzate dall’Agenzia delle Entrate. Respinta, perché priva di fondamento, invece la richiesta di risarcimento presentata dai due cittadini e centrata su “inerzia, inefficienze, ritardi e contraddizioni nella gestione delle loro pratiche da parte degli uffici finanziari” Cassazione, ordinanza numero 21169, sezione prima civile, depositata il 24 agosto 2018 . Accanimento. Ricostruita nei dettagli la vicenda – con annessi richiami a procedimenti tributari e processi penali –, due contribuenti – un uomo e una donna – citano in giudizio l’Agenzia delle Entrate e il Ministero delle Finanze, chiedendo loro un adeguato risarcimento per i danni subiti a causa della «violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buon andamento della pubblica amministrazione nella gestione dei procedimenti amministrativi e del contenzioso tributario scaturiti dagli illeciti commessi a loro danno da un commercialista». In sostanza, i due spiegano che il professionista, a cui si sono affidati «per la predisposizione delle dichiarazioni dei redditi e delle dichiarazioni Iva», si è sottratto «all’adempimento dei propri obblighi professionali, appropriandosi indebitamente degli importi consegnatigli affinché li versasse all’Erario», e a causa di questo comportamento «essi sono andati incontro a complesse vicende tributarie, sfociate in un lungo contenzioso e talvolta in procedimenti penali, alimentati dal moltiplicarsi di contestazioni fiscali, richieste di documentazione, impedimenti burocratici e prassi interpretative non coerenti, nonché dal rifiuto dell’Amministrazione finanziaria di pervenire ad una definizione unitaria della vicenda e di sgravarli» dall’onere ulteriore «delle sanzioni e degli interessi». A fronte di questo quadro, i Giudici del Tribunale riconoscono il «danno non patrimoniale» subito dai contribuenti, riconoscendo il loro diritto a percepire 15mila euro a testa. La clamorosa vittoria in primo grado viene però subito azzerata in Appello, dove i giudici respingono, innanzitutto, l’ipotesi di un «accanimento degli uffici tributari» nei confronti dei due cittadini, e spiegano che non si possono ravvisare «condotte colpose nelle prassi applicative difformi o mutevoli riscontrate presso i vari uffici». Irrilevanti, poi, vanno considerate, sempre secondo i Giudici d’Appello, «le indicazioni evasive, altalenanti e poco sollecite fornite dagli uffici ed il loro ritardo nell’avviare e nell’istruire le procedure di contestazione e di recupero, nonché nel provvedere sulle istanze di rimborso». Da escludere, infine, anche l’ipotesi di un «danno esistenziale» provocato dall’«accavallarsi di contestazioni, procedimenti, istanze e decisioni, comunque determinati da accertate omissioni tributarie». Responsabilità. Ultimo strascico giudiziario è il passaggio in Cassazione, dove i due contribuenti ribadiscono la loro richiesta di risarcimento, continuando a sostenere «l’illiceità del comportamento dell’Amministrazione finanziaria». Su questo fronte il loro legale pone in evidenza «il notevole arco temporale in cui si è dipanata la vicenda», «le offerte di bonario componimento» presentate dai suoi clienti, «la moltiplicazione delle contestazioni e la riluttanza dell’Amministrazione a prendere in esame unitariamente la loro situazione». A corredo di questa lettura della vicenda, poi, l’avvocato sottolinea anche «la contraddittorietà delle prassi relative alla sospensione degli interessi e delle sanzioni, l’avvenuta effettuazione dei controlli in prossimità della scadenza dei termini, il ritardo nei rimborsi dovuti», e ribadisce «l’imputabilità all’Amministrazione delle conseguenze esistenziali» subite dai suoi clienti e «provocate dall’accavallarsi di contestazioni, procedimenti, istanze e decisioni». Per chiudere il cerchio, infine, il legale ritiene lapalissiano che sia stato violato, a danno dei suoi clienti, «il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione». La complessa visione proposta a sostegno della richiesta di risarcimento avanzata nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze non convince però i giudici della Cassazione, i quali confermano «l’esclusione della responsabilità dell’Amministrazione per i danni lamentati» dai contribuenti. Decisiva, secondo i magistrati, è l’osservazione che i due cittadini «non sono stati in grado di individuare condotte antigiuridiche specificamente ascrivibili a colpa degli uffici finanziari, ma si sono limitati ad insistere su un comportamento eccessivamente burocratico ed irragionevole, evidenziando il ritardo nelle contestazioni effettuate, l’evasività delle indicazioni fornite, la mutevolezza degli orientamenti di volta in volta adottati, la lentezza nell’avviso e nell’istruzione delle procedure e l’inerzia nell’effettuazione dei rimborsi», senza però tener conto della «doverosità delle iniziative intraprese dall’Amministrazione, riguardanti omissioni tributarie accertate e ricollegabili, in ultima analisi, a condotte illecite» del loro commercialista. Ininfluenti, poi, anche «l’inerzia, le inefficienze, i ritardi e le contraddizioni che hanno caratterizzato la condotta degli uffici finanziari», con conseguente «esclusione della responsabilità dell’Amministrazione», chiariscono i magistrati, «per le conseguenze di natura esistenziale» subite dai contribuenti e provocate «dal ripetersi delle contestazioni e dal moltiplicarsi degli adempimenti». Inutile, infine, il richiamo al fatto che la legge stabilisce che «i rapporti tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria devono essere improntati a canoni di collaborazione e buonafede» su questo punto i giudici del ‘Palazzaccio’ spiegano che non vi è un diritto del cittadino «un autonomo diritto» del cittadino «alla celerità e all’efficienza dell’azione amministrativa, la cui lesione possa costituire il fondamento di un’azione risarcitoria, indipendentemente dall’illegittimo esercizio delle potestà spettanti all’Amministrazione finanziaria».

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 23 gennaio – 24 agosto 2018, numero 21169 Presidente Tirelli – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. L.B. e B.G. convennero in giudizio il Ministero delle finanze e l’Agenzia delle entrate, per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buon andamento della pubblica amministrazione nella gestione dei procedimenti amministrativi e del contenzioso tributario scaturiti dagl’illeciti commessi a loro danno dal commercialista C.G. , ed accertati dal Pretore di Verona con sentenza penale definitiva. Premesso che il predetto professionista, della cui opera si erano avvalsi per la predisposizione delle dichiarazioni dei redditi e delle dichiarazioni IVA, si era sottratto all’adempimento dei propri obblighi professionali, appropriandosi indebitamente degl’importi consegnatigli affinché li versasse all’Erario, esposero che, a causa di tali comportamenti, essi erano andati incontro a complesse vicende tributarie, sfociate in un lungo contenzioso e talvolta in procedimenti penali, alimentati dal moltiplicarsi di contestazioni fiscali rivelatesi infondate, richieste di documentazione, impedimenti burocratici e prassi interpretative non coerenti, nonché dal rifiuto dell’Amministrazione di pervenire ad una definizione unitaria della vicenda e di sgravarli delle sanzioni e degl’interessi. Si costituirono il Ministero e l’Agenzia, e resistettero alla domanda, chiedendone il rigetto per prescrizione e genericità. 1.1. Con sentenza del 23 aprile 2007, il Tribunale di Venezia dichiarò il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria in ordine alle domande di restituzione di versamenti tributari, la prescrizione di quelle derivanti da fatti anteriori al quinquennio, rigettò la domanda di risarcimento del danno patrimoniale ed accolse quella di risarcimento del danno non patrimoniale, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 15.000,00, oltre interessi, in favore di ciascuno degli attori. 2. L’impugnazione proposta dal Ministero e dall’Agenzia è stata accolta dalla Corte d’Appello di Venezia, che con sentenza del 14 marzo 2013 ha rigettato il gravame incidentale degli attori e la domanda dagli stessi proposta. A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto generico e comunque infondato l’assunto degli attori, secondo cui vi sarebbe stato un inammissibile accanimento degli uffici tributari nei loro confronti, non essendo state individuate esattamente le condotte ritenute illecite, non essendo emersi specifici atti o comportamenti contrari a norme di legge, regolamentari o istruzioni, e non potendosi ravvisare condotte colpose nelle prassi applicative difformi o mutevoli riscontrate presso i vari uffici in relazione alle contestazioni doverosamente mosse agli attori. Ha ritenuto altresì irrilevanti, in assenza di comportamenti antigiuridici dell’Amministrazione, le indicazioni evasive, altalenanti e poco sollecite fornite dagli uffici ed il ritardo degli stessi nell’avviare ed istruire le procedure di contestazione e recupero, nonché nel provvedere sulle istanze di rimborso, e non decisiva l’indicazione di comportamenti non improntati alle finalità di semplificazione ed al principio dell’affidamento e della buona fede, previsti dagli articolo 6 e 10 della legge 27 luglio 2000, numero 212. Precisato che gli attori avevano potuto far valere le loro ragioni nelle sedi giurisdizionali proprie, ha escluso che potessero addebitarsi all’Amministrazione le conseguenze esistenziali provocate dall’accavallarsi di contestazioni, procedimenti, istanze e decisioni, comunque determinati da accertate omissioni tributarie, ritenendo inapplicabile anche l’articolo 97 Cost., il quale assicura tutela costituzionale al principio di legalità dell’azione amministrativa, ma non risulta idoneo a fondare pretese risarcitorie correlate a comportamenti di cui non sia stata dimostrata la natura illecita e colposa. 3. Avverso la predetta sentenza il L. e la B. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero e l’Agenzia hanno resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver escluso l’illiceità del comportamento dell’Amministrazione, senza tenere conto del notevole arco temporale in cui si è dipanata la vicenda, dell’omessa valutazione delle loro offerte di bonario componimento, della moltiplicazione delle contestazioni e della riluttanza dell’Amministrazione a prendere in esame unitariamente la loro situazione. Aggiungono che le condotte ascritte all’Amministrazione sono state tutte acclarate, essendo emersi la contraddittorietà delle prassi relative alla sospensione degli interessi e delle sanzioni, l’avvenuta effettuazione dei controlli in prossimità della scadenza dei termini, il ritardo nei rimborsi dovuti. Affermano infine che, nell’escludere l’imputabilità alla Amministrazione delle conseguenze esistenziali provocate dall’accavallarsi di contestazioni, procedimenti, istanze e decisioni, la sentenza impugnata non ha tenuto conto degli accertamenti compiuti dal c.t.u. e delle deposizioni rese dai testi escussi. 2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 97 Cost. e degli articolo 5, primo e quarto comma, e 10, primo, secondo e terzo comma, della legge numero 212 del 2000, sostenendo che, nell’escludere l’applicabilità del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione, la sentenza impugnata non ha considerato che la violazione dello stesso comporta l’antigiuridicità della condotta dell’Amministrazione, trattandosi di norma precettiva, dalla quale discendono diritti soggettivi perfetti dei privati. Aggiungono che, nel ritenere irrilevante la contrarietà del comportamento dell’Amministrazione alle finalità di semplificazione ed al principio dell’affidamento e della buona fede, la Corte di merito ha omesso di rilevare che le norme violate attribuiscono diritti soggettivi perfetti al contribuente, ponendo a carico dell’Amministrazione obblighi d’informazione, impulso e collaborazione. 3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono infondati. L’esclusione della responsabilità dell’Amministrazione per i danni lamentati dai ricorrenti trova infatti giustificazione, nell’ambito del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, nell’osservazione che, al di là della generica denuncia dell’inosservanza dei canoni di semplificazione e tutela dell’affidamento riconducibili al principio costituzionale di buon andamento della Pubblica Amministrazione, i ricorrenti non erano stati in grado d’individuare condotte antigiuridiche specificamente ascrivibili a colpa degli uffici finanziari, ma si erano limitati ad insistere sul comportamento eccessivamente burocratico ed irragionevole degli stessi, evidenziando il ritardo nelle contestazioni effettuate, l’evasività delle indicazioni fornite, la mutevolezza degli orientamenti di volta in volta adottati, la lentezza nell’avvio e nell’istruzione delle procedure e l’inerzia nell’effettuazione dei rimborsi, senza tener conto della doverosità delle iniziative intraprese dall’Amministrazione, riguardanti omissioni tributarie accertate e ricollegabili, in ultima analisi, a condotte illecite di terzi, segnatamente del commercialista al quale i ricorrenti si erano affidati per la gestione dei loro adempimenti fiscali. Tale percorso logico trova conforto nell’ormai consolidato orientamento di questa Corte in tema di risarcimento dei danni per illegittimo esercizio della funzione pubblica, secondo cui l’affermazione della responsabilità della Pubblica Amministrazione presuppone, ancor prima dell’accertamento di un comportamento doloso o colposo della stessa, la configurabilità di un’attività provvedimentale illegittima, fonte di una lesione dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi dei soggetti coinvolti, il cui riscontro, rappresentando logicamente un prius rispetto a quello della violazione delle regole cui deve ispirarsi l’azione amministrativa nei rapporti con il cittadino, rende superflua, in caso di esito negativo, ogni valutazione in ordine all’inosservanza dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, così come dei principi di legge ordinaria in punto di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza dell’attività amministrativa o dei principi generali dell’ordinamento in tema di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza cfr. Cass., Sez. lav., 22/11/2017, numero 27800 Cass., Sez. III, 31/ 10/2014, numero 23170 Cass., Sez. VI, 15/03/2012, numero 4172 . Il predetto presupposto nella specie è rimasto totalmente indimostrato, in quanto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, i ricorrenti hanno dedotto soltanto genericamente l’illegittimità degli atti posti in essere dall’Amministrazione finanziaria, essendosi limitati a sostenere di aver vittoriosamente impugnato alcuni provvedimenti e cartelle esattoriali relativi a sanzioni, senza indicarli neppure in questa sede, ed avendo per altro verso riconosciuto l’effettiva sussistenza delle omissioni tributarie loro contestate, la cui riconducibilità al comportamento illecito di terzi non avrebbe potuto in alcun modo inficiare la legittimità degli atti di accertamento. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato atto di quanto precede, ha ritenuto ininfluenti l’inerzia, le inefficienze, i ritardi e le contraddizioni che avevano caratterizzato la condotta degli uffici finanziari nella gestione delle pratiche riguardanti i ricorrenti, con la conseguente esclusione della responsabilità dell’Amministrazione per le conseguenze di natura esistenziale provocate dal ripetersi delle contestazioni e dal moltiplicarsi degli adempimenti. Inconferente, in tale contesto, deve considerarsi anche il richiamo dei ricorrenti agli articolo 6 e 10 della legge numero 212 del 2000, i quali, nel disporre che i rapporti tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria devono essere improntati a canoni di collaborazione e buona fede, pongono a carico dell’Amministrazione doveri di semplificazione, informazione e cooperazione istruttoria aventi carattere meramente strumentale, in quanto volti ad agevolare, anche al di fuori dell’ambito processuale, l’esercizio del diritto di difesa da parte del destinatario della pretesa tributaria, tutelando inoltre, mediante l’esenzione da sanzioni e interessi, l’affidamento dallo stesso legittimamente riposto in prassi, orientamenti o interpretazioni della medesima Amministrazione, senza però attribuirgli un autonomo diritto alla celerità e all’efficienza dell’azione amministrativa, la cui lesione possa costituire il fondamento di un’azione risarcitoria, indipendentemente dall’illegittimo esercizio delle potestà spettanti all’Amministrazione finanziaria. 3. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, inserito dall’articolo 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, numero 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.