Costituisce un comportamento deontologicamente scorretto, suscettibile di essere sanzionato, la richiesta fatta dall’avvocato al cliente di provvedere al pagamento della parcella attraverso comportamenti sproporzionati o vessatori, in particolare attraverso minaccia di istanza di fallimento.
Lo ha sancito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza del 12 aprile 2018, numero 23. Il fatto. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo disponeva, nei confronti di due avvocati, rispettivamente le sanzioni della censura e della sospensione per due mesi dell’attività professionale per i seguenti motivi aver rinunciato, dopo il conferimento di incarico professionale regolamentato da scrittura privata, al mandato loro conferito dal cliente per mancato versamento di una somma maggiore di quella precedentemente pattuita aver prospettato di depositare istanza di fallimento, poi infatti presentata, nonostante il precedente versamento aver menzionato nell’istanza, al fine di motivare lo stato di insolvenza del cliente, la richiesta di fallimento precedentemente depositata e poi ritirata per il pagamento della somma pretesa. I ricorrenti si oppongono al provvedimento, affermando che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo non avrebbe considerato l’esistenza, nell’accordo, di un’implicita clausola risolutiva. Non è deontologicamente corretta la minaccia di istanza di fallimento al fine di ottenere il pagamento. Il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso e confermato il provvedimento, ritenendo insussistente l’implicita clausola risolutiva vantata dai ricorrenti, premettendo, riallacciandosi alla giurisprudenza in materia, che «l’avvocato che richieda un compenso manifestatamente sproporzionato e comunque eccessivo rispetto all’attività professionale svolta, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità» e sottolineando come il nuovo articolo 65 del Codice di Deontologia Forense preveda che l’avvocato possa sì rivolgere alla controparte intimazioni ad adempiere anche sotto comminatoria di azioni e/o istante giudiziarie e denunce, ma che non si traducano in comportamenti sproporzionati e vessatori, cioè che sottopongano la controparte a indebite imposizioni materiali o morali, prive di collegamento funzionale con il soddisfacimento del diritto vantato.
Consiglio Nazionale Forense, sentenza 26 ottobre 2017 - 12 aprile 2018, numero 23 Fatto Con deliberazione del 26.11.2011 il C.O.A. di Bergamo apriva nei confronti degli anzidetti Avv. [RICORRENTE1] e Avv. [RICORRENTE2] il procedimento disciplinare rubricato al numero 64/09, avente i seguenti capi di incolpazione “Per avere gli avv.ti [RICORRENTE1] e [RICORRENTE2], a seguito di incarico professionale conferito dal signor [TIZIO], titolare della Ditta [TIZIO] Design, regolamentato dalle condizioni di cui alla scrittura privata in data 09.03.2009, avente ad oggetto l’assistenza e la difesa in numerose pratiche giudiziali e stragiudiziali 1 Rinunciato con missiva del 09.04.2009 al mandato loro conferito, a causa del mancato versamento da parte del cliente del fondo spese richiesto in Euro 6.000,00, richiedendo con ulteriore missiva in pari data il compenso di Euro13.032,98, superiore a quello forfettariamente pattuito e così violando il disposto degli articolo 5, 6 e 43 canone III del Codice Deontologico 2 Prospettato, nella seconda citata missiva, di depositare istanza di fallimento, poi effettivamente presentata, nonostante il precedente versamento, da parte del signor [TIZIO], della somma di Euro 6.000,00, con ciò violando gli articolo 5, 6 e 48 del Codice Deontologico 3 Menzionato, tra l’altro, nella suddetta istanza, al fine di motivare lo stato d’insolvenza del cliente, la richiesta di fallimento precedentemente depositata e poi ritirata per intervenuto pagamento della somma pretesa. Quanto sopra con violazione degli articolo 5 e 6 del Codice Deontologico. In Bergamo, il 27 luglio 2009”. La vicenda traeva origine da un esposto presentato al COA di Bergamo dal sig. [TIZIO] con il quale segnalava un comportamento deontologicamente scorretto assunto da parte degli odierni ricorrenti. In particolare, il sig. [TIZIO] rappresentava che nel mese di gennaio 2008 si era rivolto allo studio degli Avv.ti [RICORRENTE2] e [RICORRENTE1] al fine di affidare agli stessi l’incarico di rappresentarlo e difenderlo in plurimi procedimenti giudiziari pendenti dinanzi al Tribunale di Bergamo. Riferiva che in data 09.03.2009 aveva sottoscritto, unitamente ai legali, un accordo economico con il quale veniva pattuita la corresponsione di un compenso forfettario pari ad €.1.000,00- mensili oltre ad una percentuale pari al 20% su quanto sarebbe stato effettivamente recuperato. Ciò nonostante l’esponente riceveva dagli odierni ricorrenti richieste di pagamento superiori agli importi concordati con l’avvertimento che, in caso di mancata corresponsione degli stessi, essi procuratori avrebbero presentato istanza di fallimento nei suoi confronti. Precisava, tuttavia, che la predetta istanza di fallimento era stata comunque presentata e successivamente ritirata. Esponeva, altresì, che i professionisti accettavano di riassumere l’incarico professionale in conformità al precedente accordo stipulato in data 09.03.2009. In occasione dell’atto di riassunzione dell’incarico professionale l’esponente consegnava ai propri legali numero due assegni per un importo pari ad €.3.000,00- cadauno da imputarsi quale anticipo sulle prestazioni professionali. Assegni che venivano posti all’incasso e regolarmente pagati. Rappresentava che a distanza di circa venti giorni dalla firma del succitato accordo, riceveva a mezzo fax una missiva dagli Avv.ti [RICORRENTE2] e [RICORRENTE1] con la quale gli stessi dichiaravano di rinunciare ai mandati professionali precedentemente conferiti chiedendo il pagamento dell’ulteriore somma di €.13.000,00- con l’avvertimento che, in difetto di un sollecito adempimento, avrebbero depositato una nuova istanza di fallimento nei suoi confronti. Con raccomandata a/r inviata in data 28.07.2009 il COA di Bergamo invitava l’Avv. [RICORRENTE2] e l’Avv. [RICORRENTE1] a far pervenire chiarimenti ritenuti opportuni in relazione ai fatti denunciati dal sig. [TIZIO]. Con note in controdeduzione datate 21.09.2009 gli odierni ricorrenti contestavano la ricostruzione fattuale operata dall’esponente specificando che l’accordo sottoscritto in data 09.03.2009 prevedeva il pagamento della somma complessiva annuale di euro 12.000,00 oltre oneri di legge da corrispondersi in due rate semestrali, la prima delle quali, pari ad €. 6.000,00- oltre oneri di legge, contestualmente alla stipula dell’accordo stesso. Deducevano che, in ottemperanza agli impegni assunti, i due procuratori svolgevano la loro attività professionale nell’interesse dell’esponente. Senonché, continuavano i legali, la ditta [TIZIO] “invitava i deducenti, sia direttamente, sia per il tramite dell’avv. [OMISSIS], a non porre all’incasso gli assegni di cui si è detto per mancanza di provvista”. I procuratori, quindi, contestavano il totale inadempimento dell’esponente rinunciando contestualmente al mandato professionale ricevuto denunciando, altresì, la risoluzione del contratto stipulato in data 09.03.2009 per “fatto e colpa esclusivi della ditta [TIZIO], con il correlato diritto di essere retribuiti a termini di tariffario vigente per le attività svolte sino alla data di cessazione degli incarichi, avvenuta in data 9/4/2009”. Specificavano che solo nel mese di giugno 2009, quindi tardivamente rispetto a quanto concordato nel già richiamato accordo sottoscritto tra le parti in data 09.03.2009, l’importo di €.6.000,00- veniva incassato dai ricorrenti e trattenuto dagli stessi a titolo di acconto sulle maggiori somme dovute. In data 08.07.2009 l’Avv. [RICORRENTE2] e l’Avv. [RICORRENTE1] presentavano istanza di fallimento nei confronti della Ditta [TIZIO]. Nell’adunanza del 26.11.2011 il COA di Bergamo deliberava l’apertura del procedimento disciplinare nei confronti dell’Avv. [RICORRENTE2] e dell’Avv. [RICORRENTE1] formulando i capi di incolpazione sopra richiamati. Espletata la fase istruttoria il COA di Bergamo, ritenendo provati i fatti contestati agli incolpati, comminava all’Avv. [RICORRENTE2] la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per mesi due ed all’Avv. [RICORRENTE1] la sanzione disciplinare della censura. Il COA territoriale giustificava la differenza della sanzione irrogata sulla scorta del fatto che l’Avv. [RICORRENTE1] risultava incensurata e di giovane età mentre l’Avv. [RICORRENTE2] vantava una maggiore esperienza professionale essendo iscritto all’albo sin dal 1987 . Inoltre, nel corso dell’udienza dibattimentale celebratasi in data 29.11.2011 era emerso che l’Avv. [RICORRENTE2] era già stato in precedenza sottoposto ad un procedimento disciplinare conclusosi con l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della attività professionale per mesi quattro, divenuta definitiva nell’anno 2007, nonché di altro procedimento disciplinare definito con l’applicazione della sanzione disciplinare della censura nell’anno 2006. Con ricorso tempestivamente depositato, l’Avv. [RICORRENTE2] e l’Avv. [RICORRENTE1], per il tramite del proprio procuratore, chiedono al Consiglio Nazionale Forense, in via principale, la riforma dell’impugnato provvedimento con conseguente proscioglimento da ogni addebito e, in via subordinata, l’applicazione di sanzioni meno afflittive quali l’avvertimento all’Avv. [RICORRENTE1] e la censura o la sospensione dall’esercizio della professione per mesi uno all’Avv. [RICORRENTE2]. I ricorrenti censurano il provvedimento impugnato adducendo essenzialmente un generale difetto di motivazione ritenendo quest’ultima contraddittoria. In particolare, gli incolpati ritengono che il COA di Bergamo sia incorso in errore laddove ha ritenuto che nell’accordo stipulato tra le parti in data 09.03.2009 non fosse contenuta una clausola risolutiva. Secondo i ricorrenti, infatti, la locuzione contenuta nel predetto accordo ove prevede che essi erano disposti a “riassumere l’incarico professionale concernente le posizioni pregresse e future a condizione che vengano rispettate le seguenti pattuizioni corrispondere in due rate anticipate semestrali di € 6.144,00 oneri di legge inclusi a decorrere dalla sottoscrizione della presente”, rappresenterebbe una condizione risolutiva dell’accordo stesso in quanto ne subordinerebbe “chiaramente l’efficacia all’anticipato pagamento del primo acconto di € 6.144,00 contestualmente alla sua sottoscrizione e cioè il 09 marzo 2009 ”. Da ciò ne deriverebbe che, non avendo il [TIZIO] provveduto al versamento contestuale del fondo spese, l’accordo si sarebbe risolto di diritto e ciò avrebbe legittimato i due professionisti a richiedere i compensi in base alle tariffe forensi all’epoca vigenti. Inoltre, gli incolpati censurano la parte del provvedimento in cui il COA di Bergamo ha ritenuto che, in riferimento all’accordo stipulato in data 09.03.2009, non fosse intervenuto il recesso dal medesimo bensì la sola rinuncia ai mandati. A riguardo i ricorrenti ritengono che la rinuncia ai mandati giudiziali implicitamente conterrebbe anche il recesso del succitato accordo economico. Inoltre, gli odierni ricorrenti censurano l’impugnata decisione ritenendola errata nella parte in cui il COA territoriale ha ritenuto contrario ai doveri deontologici la “minaccia” svolta dagli incolpati al proprio ex cliente di presentare apposita istanza di fallimento nei suoi confronti in caso di mancato pagamento degli onorari nei termini stabiliti. Ritengono gli incolpati, infatti, che presentare istanza di fallimento rientri nell’esercizio del diritto dell’avvocato di ottenere l’adempimento a fronte delle prestazioni professionali. Da ultimo, i ricorrenti lamentano l’eccessiva e sproporzionata entità delle sanzioni disciplinari irrogate. Diritto Il ricorso è infondato. Preliminarmente codesto Consiglio evidenzia che i ricorrenti lamentano il travisamento da parte del COA di Bergamo dei fatti oggetto del procedimento con conseguente vizio nella motivazione della decisione, oltre che una errata valutazione delle risultanze istruttorie. Orbene, per quanto attiene all’asserita distorsione dei fatti, giurisprudenza granitica di questo Consiglio attribuisce al giudice della deontologia ampio potere discrezionale nella valutazione della conferenza e rilevanza delle prove acquisite nel corso del procedimento principio del cd libero convincimento che si applica anche ai giudizi disciplinari . A tal proposito, deve ritenersi adeguatamente compiuta e ponderata l’attività istruttoria svolta dal Consiglio territoriale allorquando la valutazione disciplinare sia intervenuta non già soltanto sulla base delle dichiarazioni dell’esponente ma anche a seguito dell’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento specie laddove i fatti oggetto di esposto siano perfettamente coerenti con le risultanze documentali acquisite al procedimento cfr, ex multis, CNF 147/2015 CNF 141/2015 CNF 126/2014 CNF 66/2014 CNF 3/2014 . Ad avviso di questo Consiglio, regge la motivazione, invero non carente e certamente corrispondente ad un criterio logico – giuridico, posta dal COA di Bergamo a fondamento della decisione di irrogare una sanzione disciplinare in capo all’Avv. [RICORRENTE2] e all’Avv. [RICORRENTE1], e ciò dopo aver analizzato la documentazione prodotta e dopo aver attentamente vagliato le circostanze di fatto, come emerse in atti del procedimento disciplinare. Il COA di Bergamo, invero, basava il proprio convincimento sulla scorta anche delle affermazioni rese in sede di memoria difensiva dagli incolpati nonché delle dichiarazioni rese dall’esponente [TIZIO]. A tal proposito, rilevava il COA territoriale che risultava documentalmente provato e, soprattutto, non contestato dagli incolpati che 1 in data 09.03.2009 era stato concluso l’accordo tra le parti secondo il quale i predetti procuratori avrebbero assunto l’incarico professionale continuativo di consulenza legale, giudiziale ed extra giudiziale, in favore della Ditta individuale [TIZIO] Design nonché delle ulteriori società facenti capo al sig. [TIZIO] dietro un corrispettivo concordato forfettariamente in €.12.000,00- annui oltre oneri ed accessori da corrispondersi in due rate anticipate semestrali 2 che l’Avv. [RICORRENTE1], anche a nome del Collega [RICORRENTE2], in data 09.04.2009, aveva inviato al sig. [TIZIO] una lettera con cui, facendo seguito alla rinuncia ai mandati professionali precedentemente conferiti “allo studio”, chiedeva il pagamento per l’attività sino a quel momento svolta per un importo, calcolato in base ai parametri forensi all’epoca vigenti e non quindi in base a quanto concordato nell’accordo stipulato con il cliente , pari ad €.13.032,98- specificando, altresì, che in difetto di pagamento entro il termine del 15.03.2009 i procuratori avrebbero depositato istanza di fallimento nella “successiva giornata del 16/03” 3 che con lettera datata 14.04.2009, gli odierni ricorrenti avevano comunicato alla ditta [TIZIO] che, in caso di mancato pagamento delle notule pro forma inerenti le loro competenze legali per l’attività svolta in suo favore entro il successivo 15.04.2009, avrebbero provveduto “senza esitazione ad adire la competente autorità giudiziaria per il recupero coattivo del credito” 4 che, nonostante la ditta [TIZIO] avesse provveduto, seppur tardivamente rispetto agli impegni assunti, al pagamento delle loro competenze, gli incolpati depositavano istanza di fallimento nei confronti della ditta dell’esponente. Nessuna censura mossa dai ricorrenti alla motivazione può dirsi sussistente. In merito alla dedotta esistenza della clausola risolutiva nell’accordo stipulato tra le parti in data 09.03.2009 e sulla legittimità del recesso esercitato dai ricorrenti questo Consiglio rileva quanto segue. Gli Avv.ti [RICORRENTE2] e [RICORRENTE1] ritengono che il COA territoriale sia incorso in errore laddove non ha ritenuto che l’accordo de quo contenesse implicitamente una clausola risolutiva e, quindi, non ha considerato legittima la risoluzione dello stesso per inadempimento del cliente e, conseguentemente, la loro pretesa creditoria calcolata sulla scorta dei parametri forensi vigenti all’epoca dei fatti. Al riguardo sostengono i ricorrenti che la locuzione contenuta nel succitato accordo a mente della quale i professionisti si sarebbero resi disponibili a “riassumere l’incarico professionalea condizione che vengano rispettate le seguenti pattuizioni”, tra le quali quella di corrispondere il compenso “in due rate anticipate semestrali di € 6.144,00 oneri di legge inclusi , a decorrere dalla sottoscrizione della presente” renderebbe lo stesso un contratto sottoposto a condizione risolutiva in quanto ne subordinerebbe l’efficacia al pagamento anticipato del primo acconto di €.6.144,00- contestualmente alla sua sottoscrizione ossia il 09.03.2009. Questo Consiglio non può che pronunciarsi in conformità a quanto già ritenuto dal COA di Bergamo, non potendo trovare accoglimento l’interpretazione della soprarichiamata locuzione come fornita dagli odierni ricorrenti. Nell’accordo concluso tra le parti, infatti, è dato rinvenire esclusivamente un impegno da parte del sig. [TIZIO] a versare contestualmente alla stipula dello stesso la prima rata pari ad €. 6.144,00- ma non emerge in alcun modo che il mancato pagamento della stessa possa determinarne la risoluzione. Ma vi è di più. Pur volendo aderire alla tesi dei ricorrenti e considerare la locuzione sopra richiamata quale clausola risolutiva, giurisprudenza di legittimità costante ritiene a riguardo che la parte non inadempiente, ove voglia risolvere effettivamente il contratto, debba dichiarare di volersi avvalere della predetta clausola cfr. Cass. Civ., sent. numero 9488/2013 . Per detta dichiarazione non è prescritta alcuna forma particolare potendo questa essere formulata anche verbalmente ovvero essere contenuta in un altro atto. Dalla documentazione versata in atti e dalle dichiarazioni rese in sede di audizione dal sig. [TIZIO] non è emerso che gli odierni ricorrenti abbiano mai dimostrato, in alcun modo, detta volontà. L’unica volontà che, in modo incontrovertibile, è stata manifestata dai ricorrenti è quella di rinunciare al mandato professionale loro conferito come espressamente dichiarato nella missiva datata 09.04.2009 ed inviata all’esponente. In detta missiva, infatti, l’Avv. [RICORRENTE2] e l’Avv. [RICORRENTE1] non fanno alcun riferimento né all’avvenuta risoluzione per inadempimento ovvero ad un ipotetico recesso del contratto né, tantomeno, alla volontà di volersi avvalere dell’asserita clausola risolutiva. Dichiarazione che, in ogni caso, diviene inefficace qualora venga resa dopo l’adempimento, anche tardivo, della parte obbligata cfr. cass. civ., sent. numero 4911/1995 . Fermo quanto precede, non potendosi ritenere intervenuta alcuna risoluzione ovvero recesso dal contratto in essere tra le parti, il COA di Bergamo ha correttamente concluso che gli incolpati non avevano alcuna legittimazione a richiedere i propri compensi in misura difforme dalle previsioni contrattuali. A riguardo, giurisprudenza costante di questo Consiglio ritiene che “l’avvocato che richieda un compenso manifestatamente sproporzionato e comunque eccessivo rispetto all’attività professionale svolta, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità” cfr. CNF, numero 196/2012 CNF numero 260/2015 . Avendo svolto i professionisti solo un mese di attività in favore del sig. [TIZIO] 09.03.2009 – 09.04.2009 e non essendo intervenuto, lo si ribadisce, alcun recesso ovvero risoluzione del contratto sottoscritto tra le parti, gli stessi avrebbero dovuto e potuto legittimamente richiedere 1/12 del compenso pattuito per un anno di attività. Quanto, infine, alla contestata violazione del disposto di cui all’articolo 48 del previgente codice deontologico ora articolo 65 del nuovo codice deontologico forense , i ricorrenti ne contestano l’addebito sull’assunto che l’esercizio dell’azione recuperatoria del credito, anche mediante la richiesta di una pronuncia dichiarativa di fallimento del debitore inadempiente, rientrerebbe nell’esercizio del diritto dello stesso procuratore di ottenere l’adempimento coatto da parte del proprio cliente-debitore. Osserva il Consiglio Nazionale che il nuovo articolo 65 del Codice Deontologico Forense ha come ratio quella di contemperare le esigenze di difesa dell’assistito con il necessario rispetto della libertà di determinazione della controparte. Ne consegue che nell’adempimento del proprio mandato, l’avvocato ha il diritto di rivolgere alla controparte una intimazione ad adempiere anche sotto comminatoria di azioni e/o istanze giudiziarie nonché denunce, che tuttavia non dovranno mai essere sproporzionate e vessatorie, intendendosi per tali quelle che sottopongono la controparte ad indebite imposizioni materiali o morali, prive di collegamento funzionale con il soddisfacimento del diritto vantato CNF. numero 35/2016 CNF numero 77/2015 CNF numero 171/2013 . Nel caso di specie, ben avrebbero potuto i ricorrenti provvedere al recupero delle loro competenze mediante la “minaccia” di azioni sicuramente meno invasive e sproporzionate rispetto alla presentazione di un’istanza di fallimento, peraltro in assenza di titolo quale a titolo esemplificativo il ricorso ad un procedimento di ingiunzione con conseguente fase esecutiva e ciò anche in ragione dell’esiguo ammontare del credito vantato. Tutte le suesposte considerazioni portano a ritenere adeguate e congrue le sanzioni irrogate all’Avv. [RICORRENTE1] e all’Avv. [RICORRENTE2] dal Consiglio dell’Ordine territoriale. P.Q.M. visti gli articolo 5, 6, 43, canone III e 48 vecchio Codice Deontologico Forense, Il Consiglio Nazionale Forense, rigetta il ricorso presentato dall’Avv. [RICORRENTE2] e dall’Avv. [RICORRENTE1] e conferma la sanzione loro irrogata, rispettivamente, della sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi due e della censura comminate dal COA di Bergamo con decisione del 05.11.2013 e depositata in data 23.12.2014. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.