Illegittima la confisca sull’importo della sanzione nel reato di omesso versamento IVA

Nei reati dichiarativi, come l’omesso versamento IVA, la sanzione tributaria non rientra nel concetto di “profitto”, ma di “costo” del reato, che trova origine nella commissione del reato e, di conseguenza, la commisurazione della confisca anche sull’importo della sanzione tributaria deve ritenersi illegittima, dovendo individuare il profitto nella sola imposta evasa.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con sentenza numero 17535/19, depositata il 24 aprile. La vicenda. Il Tribunale, in accoglimento della richiesta di cui all’articolo 444 c.p.p., applicava all’indagato la pena di giustizia, condizionalmente sospesa, per il reato di omesso versamento IVA e disponeva la confisca dei beni costituenti il profitto del reato corrispondente all’ammontare dell’IVA complessivamente evasa, oltre a interessi e sanzioni, detratte le somme eventualmente versate all’erario. Avverso tale ordinanza l’imputato ricorre in Cassazione sostenendo che le sanzioni e gli interessi non possono considerarsi profitto del reato. La confisca di sanzioni e interessi nei reati dichiarativi. Al riguardo, occorre ribadire che, secondo un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, il profitto dei reati tributari, è caratterizzato dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale a seguito del mancato pagamento dell’imposta. Ed il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale conseguito direttamente alla consumazione del reato e può consistere anche in un risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. Ma tale principio vale per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Mentre per quanto riguarda il reato di omesso versamento IVA, come nel caso in esame, essendo un reato dichiarativo, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente non può avere ad oggetto le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito dato che rappresentano il costo del reato stesso, che trovano origine nella commissione del reato. Il profitto può essere individuato nella sola imposta evasa. Per tale motivo, il ricorso deve essere accolto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 febbraio – 24 aprile 2019, numero 17535 Presidente Lapalorcia – Relatore Corbetta Ritenuto in fatto 1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Macerata, in accoglimento della richiesta ex articolo 444 c.p.p., applicava a A.B. la pena di un anno di reclusione, condizionalmente sospesa, relativamente a tre violazioni al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 10 ter, rispettivamente commessi il omissis e, per due di esse, il omissis , nonché per il delitto di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 5, commesso il omissis ai sensi del D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 12 bis il Tribunale disponeva altresì la confisca dei beni costituenti il profitto del reato ovvero nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente all’ammontare dell’iva complessivamente evasa, oltre ad interessi e sanzioni, detratte eventualmente le somme versate all’erario. 2. Avverso l’indicata ordinanza, l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 13 e 13 bis. Assume il ricorrente che erroneamente il Tribunale ha accolto l’istanza ex articolo 444 c.p.p., in quanto, ai sensi del D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 13, l’accesso al rito speciale è ammesso solo in presenza dell’integrale pagamento del debito tributario, circostanza non sussistente o comunque non accertata nel caso in esame. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente, la pena irrogata sarebbe illegale. 2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione del D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 12 bis. Il ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha disposto la confisca dei beni costituenti il profitto del reato ovvero nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente all’ammontare dell’iva complessivamente evasa, oltre interessi e sanzioni. Ad avviso del ricorrente, le sanzioni -se non anche gli interessi non potrebbero considerarsi profitto del reato e, sul punto, si sollecita un ripensamento rispetto ai principio affermati da Cass., Sez. U, numero 18374 del 31/01/2013, a tenore del quale, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. Secondo la prospettazione del ricorrente, le sanzioni non sono una voce del risparmio lucrato dall’evasore fiscale ma una conseguenza della condotta illecita diversamente opinando, si sarebbe alla presenza della violazione del principio del ne bis in idem perché la stessa somma verrebbe riscossa in forma duplicata una volta in quanto onere recuperato con accessori punitivi, e una seconda volta in quanto profitto dell’illecito confiscato, il che si porrebbe in contrasto con il principio di non cumulabilità di sanzione penale e amministrativa, ai sensi del D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 19 e articolo 21, comma 2, e nella giurisprudenza della Corte EDU in materia di ne bis in idem. Nel caso in esame, poiché all’A. sono state definitivamente irrogate per i medesimi fatti le sanzioni amministrative, la statuizione relativa alla confisca è illegale, nella parte in cui essa è estesa alle sanzioni. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo. 2. Il primo motivo è inammissibile. È dirimente osservare che, in assenza di impugnazione da parte del titolare della pubblica accusa, l’imputato non può certo dolersi dell’erroneo accesso al richiesto rito premiale, di talché vi è, sul punto, carenza di interesse. 3. Il secondo motivo è non solo ammissibile, riguardando la prospettata illegalità di una misura di sicurezza reale, quale la confisca nella parte relativa alle sanzioni non essendo il motivo sviluppato e, quindi, devoluto in relazione agli interessi , ma, nel merito, fondato. Va anzitutto ricordato che il profitto dei reati tributari, in ragione delle specifiche caratteristiche di detti delitti, è peculiarmente caratterizzato dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale a seguito del mancato pagamento d’imposta tra le tante, Sez.3, numero 9578 del 17/01/2013, dep. 28/02/2013, Tanghetti, Rv. 254748 Sez.3, numero 1199 del 02/12/2011, dep. 16/01/2012, Galiffo, Rv. 251893 , non risolvendosi in un accrescimento del patrimonio del soggetto attivo. È ben vero che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario Cass., Sez. U, numero 18374 del 31/01/2013 -dep. 23/04/2013, Adami e altro, Rv. 255036 ma tale principio è stato affermato in relazione alla peculiare figura delittuosa che incrimina la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’articolo 11 del D.Lgs. numero 74 del 2000. Invero, in relazione al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte , una volta maturati interessi e sanzioni, l’attività distrattiva dei beni, finalizzata a rendere infruttuosa la procedura di riscossione, comporta un risparmio di spesa che attiene non più alla sola voce principale del debito erariale, ma concerne tutti gli accessori esigibili dal fisco di conseguenza, in relazione al delitto di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 11, il profitto, quale risparmio del contribuente, non può che essere calcolato con riferimento alla totalità del credito vantato dall’erario, essendo del tutto indifferente la natura delle voci che lo compongono, dato che la condotta illecita è finalizzata ad evitarne complessivamente il pagamento Sez.5, numero 1843 del 10/11/2011, dep. 17/01/2012, Mazzieri, Rv. 253480 . In altri termini, proprio perché, in relazione alla vicenda oggetto di scrutinio da parte dell’indicata sentenza delle Sezioni Unite, la condotta illecita addebitata non era quella di evasione dell’imposta a seguito di dichiarazione o di omesso versamento, ma di sottrazione fraudolenta dei beni quale possibile oggetto di apprensione da parte dell’Erario a fronte, per di più, di un accertamento del debito fiscale con computo anche delle sanzioni collegate, il profitto, corrispondente al valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’amministrazione finanziaria per l’Erario vedi Sez. 3, numero 40534 del 06/05/2015, dep. 09/10/2015, Trust e altro, Rv.265036 Sez. 3, numero 10214 del 22/01/2015, dep. 11/03/2015, Chiarolanza e altri, Rv. 262754 , doveva essere parametrato anche alle già calcolate sanzioni volendo il contribuente sottrarsi appunto anche ad esse. Il principio enunciato dalle Sezioni Unite con riferimento al delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte , punito dal D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 11, proprio per la peculiare struttura dalla fattispecie incriminata, non può perciò essere esteso ai reati fiscali dichiarativi ovvero di omesso versamento delle imposte. Va quindi data continuità al principio che, seppure enunciato in relazione al delitto di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 2, è estensibile al caso in esame -, secondo cui in tema di reati tributari, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, che costituisce profitto del reato di omesso versamento dell’IVA di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 10 ter, e non può avere ad oggetto le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione Sez. 3, numero 28047 del 20/01/2017 dep. 07/06/2017, Giani e altro, Rv. 270429 . In tale decisione si è condivisibilmente chiarito con riferimento ai reati dichiarativi come quelli nella specie contestati di cui all’articolo 2 caratterizzati dalla evasione di imposta, la sanzione, lungi dal potere rientrare nel concetto di profitto del reato è, esattamente al contrarlo, il costo del reato stesso, originato infatti dalla sua commissione e, per tale ragione, necessariamente successivo ad essa . In altri termini, nei reati dichiarativi, connotati dall’evasione di imposta, o nei reati di omesso versamento, la sanzione tributaria rientra nel concetto non di profitto , ma di costo del reato, che trova origine nella commissione dello stesso e, di conseguenza, la commisurazione della confisca anche sull’importo della sanzione tributaria deve ritenersi illegittima dovendo il profitto essere individuato nella sola imposta evasa il solo risparmio che ottiene il contribuente infedele. La circostanza che il mancato versamento di un tributo determini l’ulteriore obbligo di corrispondere altre somme a titolo di sanzione è una conseguenza prevista dal sistema tributario, sicché l’importo di tale somme non può rientrare nel calcolo del risparmio di spesa, che il contribuente ha ricavato non pagando l’originario importo dovuto a titolo di imposta, ciò che integra il profitto del reato. 4. Per gli indicati motivi, la sentenza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio limitatamente alla confisca disposta per il valore corrispondente alle sanzioni amministrative, statuizione che va eliminata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca nella parte relativa alle sanzioni amministrative, statuizione che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.