Le promesse elettorali e la incidenza della previdenza sul debito pubblico

È già partita la campagna elettorale! Chi promette di aumentare le pensioni minime a 1.000 euro, chi vuole abolire la Legge Fornero, chi propone il reddito di cittadinanza, chi propone di abbassare le tasse, chi più ne ha ne metta!

Nessuno però che indichi con chiarezza dove troverà la copertura finanziaria alle promesse. Facciamo il punto. Il debito pubblico è pari luglio 2017 a 2.300 miliardi dei quali 330 in mano a Banca d’Italia nel quadro del quantitative easing lanciato dalla BCE. La previdenza e l’assistenza incidono, e non poco, sul debito pubblico come ha evidenziato il 4° Rapporto di Itinerari Previdenziali alla pag. 128, qui riproposta Una parte consistente di debito pubblico è causata dai disavanzi previdenziali degli Enti pensionistici e assistenziali pubblici. Per giungere a questa conclusione si è così proceduto 1 a partire dal 1980 i primi leggeri disavanzi sono iniziati tra il 1978 e il 79 si è calcolando il saldo tra le entrate contributive e le uscite per prestazioni al netto delle imposte per le entrate sono stati calcolati solo i contributi pagati dai lavoratori e dalle imprese senza considerare i trasferimenti che lo Stato fa agli Enti ogni anno per le uscite sono state sommate tutte le prestazioni pensionistiche e assistenziali con esclusione delle pensioni di invalidità civili e relativi accompagnamenti oltre 14,5 miliardi di euro nel 2014 e delle pensioni di guerra che nonostante sia finita nel 1945 costano ancora oggi circa 1,5 miliardi di euro. 2 Poiché dai saldi sono escluse le gestioni pensionistiche dei Dipendenti Pubblici di cui si dispongono dati solo in anni recentissimi che normalmente presentano disavanzi annuali molto più alti di quelli privati, si è stimato anche per l’ex INPDAP la stessa percentuale di saldi negativi. 3 I saldi per ogni singolo anno dal 1980 al 2015 sono stati sommati e calcolati sia in moneta corrente sia in moneta 2015. Risultato in 36 anni è stato accumulato un debito in moneta corrente di 1.000,087 miliardi di euro pari al 45% dell’attuale debito pubblico complessivo. Calcolando invece, come più correttamente, l’incidenza dei disavanzi sul debito pubblico in moneta 2015 si arriva a un totale di 1.491,18 miliardi pari al 67% dell’intero debito pubblico italiano, di cui hanno beneficiato, come abbiamo visto nel precedente capitolo, in buona parte ogni anno gli oltre 16 milioni tra pensionati e assistiti, facendo esplodere il rapporto tra debito pubblico e PIL dal 59,4% del 1980 al 132,7%. A queste cifre andrebbero sommati gli importi relativi alle prestazioni di invalidità civili e per le pensioni di guerra. Infine, poiché i disavanzi degli Enti previdenziali sono stati finanziati a debito, mediante emissione di titoli di Stato, considerando che in media i rendimenti dei titoli pubblici hanno uno spread positivo rispetto all’inflazione, il debito pensionistico assistenziale aumenterebbe ancora. Si ricorda che nel solo 2014, dalla riclassificazione dei bilanci, il costo delle prestazioni assistenziali è ammontato a ben 98 miliardi, totalmente finanziato da chi le tasse le paga meno della metà della popolazione italiana e anche questo come abbiamo visto, è un altro grosso problema. Ogni generazione può e deve consumare quello che produce può indebitarsi ma solo per lasciare opere pubbliche, infrastrutture e beni reali non per consumi correnti. Fermare il debito è l’unico modo per garantire un vero patto intergenerazionale sul quale si fonda il nostro welfare e anche l’unica modalità per garantire un futuro libero anche finanziariamente e serio al nostro Paese. O chi promette, spiega dove e come troverà la provvista, oppure ogni promessa, sempre che venga poi realizzata, si scaricherà sulle future generazioni attraverso l’aumento del debito pubblico. Anche le Casse di previdenza dei professionisti non sono estranee a questo andamento perché dispongono di un patrimonio di destinazione, pari oggi a circa 80 miliardi, ma debbono fare i conti con un debito previdenziale latente che io calcolo essere circa il triplo. Le Casse dei professionisti però, a differenza dell’INPS, per legge non possono scaricare gli oneri pensionistici sulla finanza pubblica dovendovi provvedere da sé medesime e quindi il problema non è assolutamente trascurabile se consideriamo, come ho già scritto in passato, che il rapporto tra contributo medio e pensione media è il seguente Il rapporto Pensione media/Contributo medio, presenta valori che vanno da 1,41 a 4,34, ovvero la pensione media per tutti gli Enti è più alta del contributo medio. Il record spetta agli Avvocati la cui pensione media è pari a 4,34 volte il contributo medio seguono Inarcassa, Commercialisti, Ragionieri e Geometri per i quali la pensione media è più di due volte e mezzo il contributo medio. Le altre Casse mantengono un rapporto più basso, in particolare i medici ENPAM che presentano una pensione media pari quasi al contributo medio 1,06 . Vigilantibus iura succurrunt non dormientibus!