La nozione di bosco include anche la macchia mediterranea

In tema di reati paesistici di cui all’art. 181, d.lgs. n. 42/2004 cd. Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio , deve qualificarsi come bosco, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 18 maggio 2001 n. 227, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purchè aventi un’estensione non inferiore a mq. 2.000, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20%.

Ne consegue che la nozione di bosco o territorio boschivo include anche la macchia mediterranea, qualora comprenda alberi di medio fusto o essenze arbustive ad elevato sviluppo, o anche in assenza di alberi d’alto fusto. Lo ha stabilito la terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32807, depositata il 29 luglio 2013. Il caso. La pronuncia in esame prende le mosse dal decreto con il quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Savona aveva disposto il sequestro preventivo poi annullato in sede di riesame di immobili, in relazione a un procedimento penale per il reato di abuso edilizio, in zona sottoposta alla tutela di cui all’art. 181, d.lgs. n. 42/2004. Tale decisione veniva impugnata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona, il quale, oltre alla violazione di legge penale, denunciava altresì la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, principalmente in merito alla nozione penalmente rilevante di bosco o territorio boschivo, attesa la ritenuta sussistenza – secondo la prospettazione accusatoria – di un bosco anche nell’ipotesi in cui vi sia una macchia mediterranea. I reati paesistici Preliminarmente, giova ricordare che la vigente legislazione in materia di reati paesistici è finalizzata alla tutela di beni finali di alto rango, mediante una tutela anticipata delle funzioni amministrative di controllo e vigilanza sull’integrità del paesaggio. Tutta la disciplina penale paesistica appare infatti caratterizzata dall’indeterminatezza dei soggetti esposti alle potenziali offese, nonché dalla serialità di queste ultime dovuta alla professionalità dell’attività esercitata . Stanti tali fondamentali caratteristiche, le attività connesse ai beni sovraindividuali quale appunto è il paesaggio vanno perciò esercitate in conformità alle prescrizioni dell’autorità amministrativa per lo più attraverso il previo ottenimento di autorizzazioni dagli organi preposti alla tutela del relativo vincolo . Ciò in quanto il controllo delle attività economiche presuppone obblighi informativi, e corrispondenti poteri di acquisizione di dati e notizie, in capo agli Enti locali o alle Agenzie di controllo, istituite in seno ai Ministeri competenti. Guardando nello specifico ai reati paesaggistici, potrà notarsi che la sanzione penale colpisce sia il discostamento dalle condizioni, indicate nel provvedimento amministrativo, per l’esercizio dell’attività edilizia, sia l’elusione della preventiva autorizzazione/abilitazione amministrativa, a prescindere dal concreto verificarsi di un’offesa per i beni giuridici tutelati cfr. Cass. Pen. n. 39744/2002 . Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, in tema di protezione delle bellezze naturali, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, dopo l’esecuzione di lavori in zona vincolata, avvenuti in difetto della predetta autorizzazione, non determina l’estinzione del reato previsto dall’art. 163, d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 ora art. 181, d.lgs. n. 42/2004 , ma ha il solo effetto di escludere la remissione in pristino dello stato dei luoghi ciò in quanto l’amministrazione ha valutato l’intervento e lo ha ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dell'area interessata cfr. Cass. Pen. n. 37318/2007 . In ogni caso, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesistica da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo non determina l’estinzione del reato paesaggistico art. 181, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 poiché tale effetto non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa avente carattere generale, mentre il nulla osta paesaggistico ha l’effetto di escludere l’emissione o l’esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi cfr. sempre Cass. Pen. n. 37318/2007 . ed il principio di offensività. La compatibilità del principio di offensività con i reati di pericolo presunto o astratto , quali sono i reati paesistici, è ampiamente discussa in dottrina. Nei predetti reati, infatti, il giudice è tenuto soltanto a verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. Tali fattispecie sono modellate dal legislatore sulla base di indagini scientifiche e statistiche anche solo probabilistiche , di regole d’esperienza, nonché della possibilità non remota del verificarsi di un pericolo. Sussiste pertanto una contraddizione fra il carattere presuntivo del pericolo e il potere-dovere del giudice di verificare che il fatto storico sia conforme alla fattispecie astratta. In relazione a tali reati, è dunque bene configurare non l’obbligo, per il Pubblico Ministero, di provare il pericolo, bensì il diritto dell’imputato di dimostrare l’assenza del pericolo attraverso una prova liberatoria. Tutto ciò, peraltro, reca con sé il rischio che il giudice punisca condotte prive, in concreto, della pericolosità configurata in astratto dal legislatore, in contrasto con gli artt. 24, 27, commi 1 e 2, e 111 Cost

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 aprile - 29 luglio 2013, n. 32807 Presidente Teresi – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 13 dicembre 2012 il Tribunale di Savona ha accolto la richiesta di riesame presentata da T.D. contro decreto del gip dello stesso Tribunale che in data 8 novembre 2012 aveva disposto sequestro preventivo di immobili in relazione a un procedimento in cui tra gli altri era indagato il T. per i reati di cui agli articoli 110, 113, 81, comma primo, c.p. e 44, comma primo, lettera c , d.p.r. 380/2001, agli articoli 110, 81, comma primo, c.p. e 181, comma primo, d.lgs. 42/2004 e agli articoli 110, 81, comma primo, e 734 c.p., annullando il decreto di sequestro e disponendo il sequestro degli immobili con restituzione all'avente diritto. 2. Ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona, per violazione di legge penale e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Nel caso di specie, invero, l'articolo 10 I. 353/2010 non lascia spazio all'applicabilità della norma regolamentare del PRG di Savona anch'essa comunque violata perché, al primo comma, vieta per 10 anni sulle aree boscate percorse dal fuoco la realizzazione di edifici, di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data . Erroneamente il Tribunale ha equiparato alle opere previste prima dell'incendio quelle prevedibili secondo lo strumento urbanistico anche se non ancora autorizzate o concesse, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità per cui non rileva la generica compatibilità dell'intervento con la destinazione dell'area. Dovendosi quindi valutare se l'intervento di cui si tratta è su area boscata percorsa dal fuoco nei 10 anni antecedenti la realizzazione che è in corso, si deve rilevare che quest'area è stata colpita da una serie di incendi, l'ultimo dei quali si è sviluppato tra il 6 e il 12 agosto 2003. L'ordinanza, peraltro, pur essendo indiscutibile la presenza del bosco prima dell'ultimo incendio il Corpo Forestale dello Stato ha prodotto una fotografia del bosco risalente all'agosto 2002 , ha stilato un elenco di elementi su cui fondare la propria valutazione sull'esistenza di bosco, senza peraltro includervi quelle che più la evidenziano tuttavia, anche tali elementi condurrebbero all'accertamento della sussistenza dell'area boschiva, che il Tribunale ha invece negato. Ha depositato memoria T.D. , chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. 3.1 Il Tribunale ha esaminato una richiesta di riesame prospettante che l'area interessata dalle opere attinenti al procedimento penale non fosse boschiva. Tale asserto è stato fatto proprio dal Tribunale dopo un esame di documenti pagina 8 dai quali peraltro risulta che anteriormente all'incendio del 2003 la zona era qualificabile macchia mediterranea pur non menzionando le fotografie prodotte dal Corpo Forestale, il Tribunale riconosce poi pagina 11 come in quella zona in origine vi fosse macchia mediterranea arbustiva con alcuni alberi ad alto fusto . Deve allora ricordarsi che la nozione di bosco o territorio boschivo di cui al d.lgs. 18 maggio 2001 n. 227, penalmente tutelato dall'articolo 181 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, norma annoverata tra quelle dei capi d'imputazione per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte deve intendersi in senso normativo e non naturalistico, essendo poi il senso normativo un concetto estensivo che include anche la macchia mediterranea, qualora Cass. sez. III, 15 dicembre 2004 n. 48118 , comprenda alberi di medio fusto o essenze arbustive ad elevato sviluppo macchia alta o in un'accezione ancora più estensiva cfr. Cass. sez. III, 16 novembre 2006-23 gennaio 2007 n. 1874, per cui deve qualificarsi come bosco, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 227, ogni terreno coperto da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, da castagneti, sughereti o da macchia mediterranea, purché aventi un'estensione non inferiore a mq. duemila, con larghezza media non inferiore a metri venti e copertura non inferiore al 20 per cento e nel caso di specie non vi è contestazione in ordine all'estensione dell'area come compatibile alla qualifica di bosco di recente pervenuta anche a ritenere tutelata quale area boschiva pure la macchia mediterranea caratterizzata dall'assenza di alberi d'alto fusto Cass. sez. III, 20 luglio 2011 n. 28928, in motivazione . Tale ultima impostazione omnicomprensiva è condivisbile, poiché quel che rileva, in ultima analisi, è l'identità di ratio che accomuna la tutela dei terreni coperti da foreste di alto fusto a quella delle aree inserite in un contesto di vegetazione anche di tipo arbustivo cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2013 n. 1481 . È esattamente opposta a tale ratio, invece, una visione riduttiva del concetto di bosco quale è quella che in effetti, così incorrendo in violazione di legge, viene adottata nella impugnata ordinanza. 3.2 Lo stesso Tribunale, peraltro, forse non convinto appieno della propria interpretazione della nozione di bosco, fonda l'annullamento del decreto di sequestro su un'ulteriore base l'articolo 10 L. 353/2000 vieta per 10 anni ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco tranne per i casi di realizzazione dell'opera prevista prima dell'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data. Poiché nel testo in vigore la norma recita letteralmente fatti salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale data , mentre il testo anteriore alla modifica operata dall'articolo 4, comma 173, I. 350/2003 recitava fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione , afferma il Tribunale che non si comprende per quale motivo il legislatore avrebbe espunto i termini autorizzazione o concessione , sostituendoli con la previsione degli strumenti urbanistici se non per richiedere che l'intervento edilizio fosse prevedibile secondo lo strumento urbanistico anche se non ancora autorizzato o concesso lettura lata che quindi sposa. Ma l'argomento non è logico per ottenere il risultato modificativo rispetto al previgente testo che il Tribunale sostiene, il legislatore avrebbe dovuto non tanto incidere sulla conseguenza della eccezione cioè sul rilascio, non più menzionato espressamente, dell'autorizzazione o concessione , bensì, a monte, sul contenuto dell'eccezione stessa, sostituendo all'aggettivo prevista l'aggettivo prevedibile . Tali aggettivi, invero, non sono affatto sinonimi, tanto che lo stesso Tribunale, nella sua argomentazione, per manifestare quel che evince dalla norma deve abbandonare l'aggettivo in essa inserito dal legislatore prevista per sostituirlo con un correttivo prevedibile che radicalmente muta il significato della norma stessa. Norma, poi, il cui reale contenuto era già stato chiarito da questa Suprema Corte, che ha escluso sia sufficiente la compatibilità delle opere che, seppur con una intensità semantica minore, può assimilarsi al concetto di prevedibilità con gli strumenti urbanistici vigenti prima dell'incendio per integrare l'eccezione all'inedificabilità dettata dall'articolo 10, occorrendo che l'area sia già stata riservata dallo strumento urbanistico alla realizzazione delle opere stesse Cass. sez. III, 28 marzo 2011 n. 16592 . Anche sotto questo secondo profilo, dunque, il Tribunale è incorso in violazione di legge, come prospettato nel ricorso. Quanto rilevato, in conclusione, comporta l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Savona, in diversa composizione, per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Savona per nuovo esame.