Associazione professionale: tra risarcimento del danno e repressione della concorrenza sleale

L’articolo 2601 c.c. attribuisce anche alle associazioni professionali la legittimazione a promuovere «l’azione per la repressione della concorrenza sleale». Detta azione, volta a reprimere i fatti di concorrenza sleale, è diversa da quella risarcitoria, meramente eventuale, prevista dall’articolo 2600 c.c

Il caso. Alcuni odontoiatri venivano condannati per il reato di abusivo esercizio della professione previsto e punito dall’articolo 348 c.p A seguito di ciò, l’associazione professionale dentisti italiani agiva in giudizio in sede civile, al fine di tutelare l’interesse esponenziale dell’associazione per i propri associati all’esercizio esclusivo della professione da parte dei soggetti abilitati. Domandava quindi, il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale causato dalla concorrenza sleale ai professionisti del luogo, iscritti all’associazione stessa. Il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria limitatamente al riconoscimento del danno non patrimoniale mentre, in grado di appello, veniva negata ogni pretesa. L’associazione, dunque, proponeva ricorso per cassazione. La ricorrente si doleva del fatto che la Corte territoriale le avrebbe precluso, in quanto costituitasi tardivamente in appello, ai sensi dell’articolo 346 c.p.c., di reiterare la domanda tendente ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale quale parte danneggiata dal reato di cui all’articolo 348 c.p A fondamento del ricorso, invocava un articolo del proprio Statuto ai sensi del quale «l’associazione assume la tutela degli interessi materiali e morali della categoria [ed] assume in ogni ambito giurisdizionale le debite azioni a tutela della categoria». In particolare, l’associazione criticava la sentenza impugnata nella parte in cui escludeva il risarcimento dei danni da concorrenza sleale. Inoltre, non condivideva la decisione perché, una volta esclusa la fattispecie dell’articolo 2601 c.c., i giudici non confermavano la sentenza di primo grado sulla base dell’articolo 2043 c.c La Suprema Corte con sentenza numero 7047/2012, depositata il 9 maggio 2012, rigettava il ricorso. L’associazione avrebbe dovuto proporre appello incidentale. La Corte di Cassazione, coerentemente con un suo precedente orientamento, ha affermato che l’associazione non era stata totalmente vittoriosa in primo grado, poiché era risultata soccombente rispetto alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e, pertanto, avrebbe dovuto proporre appello incidentale sul punto. Il risarcimento del danno ex articolo 2600 c.c. non può essere riconosciuto all’ente in sé. I giudici di ultima istanza proseguono affermando che seppur l’articolo 2601 c.c. attribuisce anche alle associazioni professionali la legittimazione a promuovere «l’azione per la repressione della concorrenza sleale», questa azione è senz’altro diversa da quella risarcitoria ex articolo 2600 c.c Nel dettaglio, condividono quanto statuito nella sentenza d’appello, ovvero che l’associazione professionale non esercita l’attività medica e, dunque, non ha subito alcuna sottrazione di clientela per effetto della concorrenza sleale. Ciò comporta l’insussistenza di un danno risarcibile in capo all’ente stesso. Né la richiesta risarcitoria può giustificarsi sulla base dell’articolo dello statuto dell’associazione già in precedenza citato in quanto quest’ultimo non assume rilevanza ai fini dell’ottenimento del risarcimento del danno. Ed allora si applica l’articolo 2043 c.c.? No, neppure! In risposta alla censura formulata dall’associazione in merito alla circostanza che la sentenza d’appello non avrebbe neppure riconosciuto il risarcimento del danno in forza dell’articolo 2043 c.c., la Suprema Corte fornisce una risposta coerente con le suesposte motivazioni. I giudici di legittimità, infatti, chiariscono che l’insussistenza di un danno patrimoniale risarcibile in capo alla ricorrente giustifica il mancato esame della fattispecie da parte del giudice di merito, sotto il profilo di cui all’articolo 2043 c.c

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 marzo – 9 maggio 2012, numero 7047 Presidente Preden – Relatore D’Alessandro Svolgimento del processo L'A.N.D.I. - Associazione Nazionale Dentisti Italiani, sezione di Firenze, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi ed illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze che, in riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze, ha rigettato la domanda risarcitoria da essa proposta nei confronti di D.L.G. e Q.A. , odontoiatri cui era stata applicata una pena su richiesta articolo 444 cod. proc. penumero per il reato di cui all'articolo 348 cod. penumero , evidenziando di agire, da un lato, “al fine di tutelare l'interesse esponenziale dell'Associazione per i propri associati all'esercizio esclusivo della professione da parte dei soggetti abilitati, ciò essendo il fine istituzionale dell'Associazione, e, dall'altro, a ristorare il danno patrimoniale, causato dalla concorrenza sleale subita nel contesto fiorentino dai professionisti iscritti all'Associazione”. Resistono con separati controricorsi G D.L. e Q.A. . Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo l'A.N.D.I. - ricordato che in primo grado essa aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali e che la domanda era stata accolta, quanto ai soli danni patrimoniali, in relazione alla violazione dell'articolo 2601 cod. civ. - censura la sentenza impugnata sotto i profili di cui all'articolo 360, nnumero 3, 4 e 5, cod. proc. civ. In particolare si duole a sotto il profilo della violazione di legge e della nullità della sentenza per erronea individuazione del thema decidendum, dell'affermazione della Corte di Appello, secondo la quale sarebbe stata ad essa preclusa, in quanto costituitasi tardivamente in appello, ai sensi dell'articolo 346 cod. proc. civ., di reiterare la domanda risarcitoria tendente ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale quale parte danneggiata dal reato di cui all'articolo 348 cod. penumero . b sotto il profilo del vizio di motivazione, nella parte in cui la Corte di Appello avrebbe escluso la legittimazione attiva dell'A.N.D.I. all'azione risarcitoria per danni conseguenti dal reato di cui all'articolo 348 cod. penumero , sulla base di un erronea lettura dello Statuto, prodotto in primo grado, il cui articolo 2 viceversa dichiara che l'A.N.D.I. “b assume la tutela degli interessi materiali e morali della categoria . d assume in ogni ambito giurisdizionale le debite azioni a tutela della categoria”. 1.1.- Il primo motivo è infondato sotto i profili della violazione di legge e della nullità della sentenza, in quanto l'ANDI non era totalmente vittoriosa in primo grado, bensì soccombente rispetto alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale. Essa avrebbe dovuto perciò proporre, al fine di devolvere alla Corte di Appello di Firenze “l'intera causa petendi”, appello incidentale sul punto cfr. Cass. 14 gennaio 2011 numero 751, in tema di parziale accoglimento di domanda risarcitoria per carenze probatorie . Quanto al dedotto vizio di motivazione, esso è evidente inammissibile, riferendosi alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale quale parte danneggiata dal reato di cui all'articolo 348 cod. penumero , che la Corte di Appello ha ritenuto ormai preclusa. 2.- Con il secondo motivo l'A.N.D.I., sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il risarcimento dei danni da concorrenza sleale né, una volta esclusa la fattispecie dell'articolo 2601 cod. civ., ha confermato la sentenza di primo grado in base all'articolo 2043 cod. civ 2.1.- Anche il secondo motivo è infondato. Vero è che l'articolo 2601 cod. civ. attribuisce anche alle associazioni professionali la legittimazione a promuovere “l'azione per la repressione della concorrenza sleale”. Detta azione, volta a reprimere i fatti di concorrenza sleale, è peraltro diversa da quella risarcitoria, meramente eventuale, prevista dal precedente articolo 2600 cod. civ., e d'altro canto appare corretta la motivazione della Corte di Appello, che esclude in radice la sussistenza di un danno risarcibile, sul rilevo che l'A.N.D.I. “non esercita l'attività medica e non ha subito alcuna sottrazione di clientela” per effetto della concorrenza sleale. Alla luce di tale motivazione, appare pertanto irrilevante l'articolo 2 dello Statuto, secondo cui lettera b l'Associazione assume la tutela degli interessi anche materiali della categoria. Il rilievo che dunque appare corretto circa l'insussistenza di un danno patrimoniale risarcibile in capo all'attrice giustifica il mancato esame della fattispecie, da parte del giudice di merito, sotto il profilo di cui all'articolo 2043 cod. civ 3.- Il ricorso va conclusivamente rigettato. Appare peraltro equo, tenuto conto di ogni aspetto della questione, compensare integralmente le spese di lite. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.