Risarcimento del danno: vanno riconosciuti sia gli interessi legali che la rivalutazione monetaria

La domanda per conseguire il risarcimento del danno subito dal lavoratore per la mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure previste dall’articolo 2087 c.c. si ricollega direttamente al rapporto di lavoro e dà luogo ad una controversia di lavoro disciplinata, quanto agli accessori del credito, dall’articolo 429 c.p.c Ne consegue che il credito derivante è di valore su cui vanno riconosciuti sia gli interessi legali che la rivalutazione monetaria.

La vicenda esaminata infortunio sul lavoro subito dal lavoratore privo di strumenti di prevenzione. Il Tribunale di Piacenza condannava il datore di lavoro al pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno subito dal lavoratore a seguito di infortunio subito a motivo del mancato utilizzo di strumenti protettivi occhiali antinfortunistici , benché messi a disposizione del lavoratore. Il Tribunale riconosceva applicabile alla somma riconosciuta sia gli interessi legali che la rivalutazione monetaria dalla data della domanda al saldo. Riteneva un concorso di colpa in capo al lavoratore nella misura del 30%, per aver disatteso le disposizioni le disposizioni di prevenzione impartire dal datore di lavoro ed il restante 70% a quest’ultimo per aver omesso di vigilare sull’esatta osservanza delle predette disposizioni. Appellata la decisione, la Corte d’Appello di Bologna confermava il grado di responsabilità attribuito alle parti, ma riformava l’entità del risarcimento, non riconoscendo la rivalutazione monetaria, ritenendo il credito da risarcimento quale credito di valuta, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., che esclude il cumulo fra interessi e rivalutazione. Ricorreva così in Cassazione il lavoratore, proponendo tre motivi di censura, di cui il terzo riguardante l’aspetto in commento. Credito di valore o credito di valuta? L’articolo 1224 c.c. dispone che nelle obbligazioni che hanno per oggetto somme di denaro sono dovuti gli interessi legali dal giorno della messa in mora al saldo. Cosiddetto credito di valuta. Nella fattispecie in esame, il primo giudice ha ritenuto il credito derivante dal diritto al risarcimento quale credito di valore, riconoscendo al danneggiato sia gli interessi che la rivalutazione monetaria. La Corte territoriale viceversa ha ritenuto tale credito come di valuta, applicando l’articolo 1224 c.c. e riconoscendo unicamente gli interessi legali, affermando che il credito da risarcimento del danno non segue la disciplina dei crediti di lavoro ed escludendo il cumulo tra interessi e rivalutazione. La domanda risarcitoria è una causa di lavoro. La Suprema Corte censura la decisione adottata dalla Corte d’Appello, affermando che la domanda proposta dal lavoratore per ottenere il risarcimento del danno subito a seguito di infortunio va considerata controversia di lavoro, traendo origine direttamente dal rapporto di lavoro. Di conseguenza trovano applicazione le norme codicistiche disciplinanti il processo del lavoro. Con particolare riguardo al riconoscimento degli accessori correlati al credito risarcitorio, occorre riferirsi all’articolo 429 c.p.c. che per l’appunto sancisce il diritto a vedersi riconosciuti sia interessi che rivalutazione monetaria, a ristoro del maggior danno subito per la diminuzione di valore del credito risarcitorio. Né, prosegue la Corte di legittimità, potrà considerarsi l’azione risarcitoria da infortunio come azione di natura previdenziale, con applicazione del divieto di cumulo previsto dall’articolo 16 Legge numero 412/1991. Illegittimamente quindi, recita la Cassazione, «la Corte territoriale ha considerato il credito del lavoratore per risarcimento del danno da infortunio sul lavoro quale credito di valuta disciplinato dall’articolo 1124 c.c. anziché dall’articolo 429 c.p.c.». Confermato il concorso di colpa. La Corte di Cassazione ha infine confermato la determinazione di percentuale del concorso del lavoratore nella determinazione dell’evento, evidenziando da un lato la responsabilità del datore di lavoro nell’avere omesso la sorveglianza sull’effettivo utilizzo degli occhiali protettivi dall’altro la responsabilità del lavoratore per essersi espressamente rifiutato di indossare lo strumento protettivo. Non è possibile attribuire alcun effetto esimente per l’imprenditore all’eventuale concorso di colpa del lavoratore nella causazione dell’evento lesivo. La colpa del lavoratore potrebbe comportare l’esonero totale di responsabilità in capo al datore di lavoro solo quando presenti caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza tali da porsi come causa esclusiva dell’evento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 gennaio – 5 marzo 2012, numero 3417 Presidente Canevari – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 5 novembre 2009 la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Piacenza del 21 gennaio 2004 con la quale la R.D.B. s.p.a. è stata condannata al pagamento in favore di G.A. della somma di Euro 61.277,37, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data della sentenza al saldo, a titolo di risarcimento del danno per l'infortunio sul lavoro da lui patito il 29 novembre 1990, per il quale è stato riconosciuto il concorso di colpa del lavoratore nella misura del 30 per cento. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando il dato inequivoco che il G. , al momento dell'infortunio consistito nell'essere stato il lavoratore attinto all'occhio sinistro da una scheggia originata dal contatto tra parti metalliche mentre montava il contenitore di un'armatura di cemento armato, non indossava occhiali protettivi. La Corte ha ritenuto provata la responsabilità delle parti, nelle percentuali stabilite dal giudice di primo grado, considerando che il datore di lavoro ha provato a mezzo fatture di acquisto di epoca precedente all'infortunio, di essere dotato degli occhiali protettivi, ma di non avere vigilato sul loro utilizzo obbligatorio, mentre occhiali di plastica termo protettivi avrebbero avuto efficacia maggiore rispetto a quelli di vetro come accertato con la consulenza tecnica d'ufficio espletata. La Corte d'Appello di Bologna ha ritenuto corretta la quantificazione delle percentuali di colpa rispettivamente riconosciute al lavoratore ed al datore di lavoro dal giudice di primo grado. Inoltre la stessa Corte d'Appello ha ritenuto che il credito da risarcimento del danno non segue la disciplina dei crediti di lavoro, per cui, poiché il credito in questione è stato considerato credito di valuta, il danno da ritardato pagamento è disciplinato dall'articolo 1224 cod. civ. che esclude il cumulo fra interessi e rivalutazione, e non dall'articolo 429, terzo comma, cod. proc. civ Il G. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su tre motivi. Resiste con controricorso la R.D.B. s.p.a. che propone ricorso incidentale a cui resiste con controricorso il G. . Motivi della decisione I ricorsi vanno riuniti essendo proposti avverso la medesima sentenza. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione o falsa applicazione degli articolo 1227, 2087 e 2729 cod. civ. in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ In particolare sì deduce che non sarebbe stata raggiunta la prova sufficiente della dotazione di occhiali protettivi al lavoratore non essendo all'uopo idonea la sola fattura di acquisto. Inoltre dalla consulenza espletata è emerso che gli occhiali acquistati dal datore di lavoro non sarebbero stati i più idonei a preservare il lavoratore dal pericolo di essere attinto da corpi estranei. Con secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli articolo 1227 e 2097 cod. civ. in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. ritenendo che, sulla base di quanto accertato e, in particolare, della mancata dotazione al lavoratore di strumenti idonei a prevenire l'infortunio, della mancata informazione del pericolo soprattutto in considerazione dello stato di apprendista del lavoratore, doveva essere riconosciuta l'esclusiva responsabilità del datore di lavoro nella determinazione dell'evento. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 1224 e 2056 cod. civ. in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. per l'erroneo calcolo della rivalutazione e degli interessi legali in quanto, anche sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione, il debito da risarcimento del danno costituisce debito di valore assoggettato sia a rivalutazione monetaria che ad interessi legali dall'epoca del fatto illecito. Con il ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 414 nnumero 3 e 4 cod. proc. civ. e 2087 cod. civ. in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. omessa contestazione in sede dì ricorso dell'omessa vigilanza pronuncia di primo grado fondata su altri elementi di responsabilità, e omessa doglianza in sede di appello riguardo all'aspetto della responsabilità del datore di lavoro consistente nel non avere imposto al lavoratore l'utilizzo degli occhiali protettivi. Motivi della decisione Il primo motivo di ricorso è infondato. Con esso si censura sostanzialmente la valutazione di una prova, giudizio riservato al giudice del merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha attentamente valutato la prova costituita dalla fattura relativa all'acquisto degli occhiali protettivi in questione e l'ha logicamente ritenuta prova della dotazione al lavoratore della misura antinfortunistica in questione, la stessa Corte ha pure considerato l'idoneità degli occhiali stessi sulla base della espletata CTU. Le motivate e logiche considerazioni della Corte territoriale sfuggono ad ogni censura di legittimità. Il secondo motivo di ricorso è parimente infondato. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo tipico ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento per tutte Cass. 23 aprile 2009 numero 9689 25 febbraio 2011 numero 4656 . Nel caso in esame i giudici di merito hanno determinato la percentuale del concorso del lavoratore nella determinazione dell'evento, nella misura del 30%. La Corte d'Appello territoriale, nella sentenza impugnata in questa sede, ha puntualizzato le colpe delle parti con argomentazioni supportate da precisi elementi probatori, e logiche. In particolare, la responsabilità del datore di lavoro nell'avere omesso la sorveglianza sull'effettivo utilizzo degli occhiali protettivi, e nell'avere omesso di impartire al lavoratore le necessarie istruzioni sulla pericolosità delle mansioni affidategli, e quella del lavoratore che si è espressamente rifiutato di indossare gli occhiali protettivi, come indicato nella stessa sentenza, sono state quantificate nella misura, rispettivamente del 70 per cento e del 30 per cento, con giudizio, quindi, logico e motivato, incensurabile in sede di legittimità. È invece fondato il terzo motivo dì ricorso. Invero, questa Corte ha già avuto modo di statuire Cass. sez. lav. numero 3213 del 18/2/2004 che la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall'articolo 2087 c.c., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori dei credito dall'articolo 429 c.p.c., comma 2 ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dalla L. numero 412 del 1991, articolo 16, comma 6. Tra l'altro, già in precedenza si era affermato Cass., sez. lav., 8 aprile 2002, numero 5024 che nell'ampia accezione di credito di lavoro, cui è applicabile l'articolo 429 c.p.c. in tema di rivalutazione monetaria e interessi, è compreso anche il risarcimento del danno subito dal lavoratore per l'infortunio dipendente dalla mancata predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei dipendenti articolo 2087 e.e , essendo tale danno di origine anche contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro Cass. 1 luglio 2011 numero 14507 . Illegittimamente, quindi, la Corte territoriale ha considerato il credito del lavoratore per risarcimento del danno da infortunio sul lavoro quale credito di valuta disciplinato dall'articolo 1224 cod. civ. anziché dall'articolo 429 cod. proc. civ Il ricorso incidentale è inammissibile. Con tale ricorso si chiede in modo contraddittorio di rivisitare la pronuncia sulla responsabilità del datore di lavoro pur accettandosi non impugnandosi e non criticandosi la pronuncia stessa. Evidentemente il riesame richiesto appare quanto meno inutile in presenza dell'accettazione della pronuncia impugnata. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con riferimento a tale profilo, con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze che si adeguerà al principio di diritto sopra enunciato applicando al credito in questione, la disciplina di cui all'articolo 429 cod. proc. civ., pronunciandosi anche sulle spese di giudizio. P.Q.M. La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi Accoglie il terzo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri Dichiara inammissibile il ricorso incidentale Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Firenze.