Accolta solo a metà la richiesta della proprietaria. Riconosciuta l’ingombrante presenza dello spazio occupato dagli amanti delle ‘due ruote’. Tuttavia, la presunzione sugli spazi comuni non viene modificata né rogito né regolamento condominiale forniscono appigli per limitare l’applicazione della norma.
Proprietà del seminterrato, da un lato, deposito di biciclette, dall’altro. Convivenza difficile, scontro quasi inevitabile. Ma se mancano riferimenti sia nel rogito che nel regolamento condominiale, allora la valutazione come spazio comune non può che essere confermata Cassazione, sentenza numero 2412, Seconda sezione Civile, depositata oggi . Ingombrante. Come accade spessissimo nei condominii, è la gestione degli spazi a costituire motivo d’attrito tra i diversi condomini. Esemplare la vicenda ora all’attenzione della Cassazione a protestare è la proprietaria del seminterrato dell’edificio, che contesta l’utilizzo, da parte degli inquilini del palazzo, dell’atrio collocato nel sottoscala, ovvero la «servitù di fatto» oramai acclarata. Esemplare è il deposito di biciclette allestito in quella parte di palazzo. Vittoria a metà. Così si arriva in un’aula di giustizia. La proprietaria del seminterrato chiede di dichiarare «l’inesistenza della servitù di fatto sull’atrio posto nel sottoscala di sua esclusiva proprietà», e utilizzato come deposito di biciclette, e di riconoscerle anche il risarcimento dei danni subiti. E i giudici – sia di primo che di secondo grado – accolgono solo parzialmente questa istanza Più precisamente, viene richiesta la rimozione del deposito di biciclette, ma, allo stesso tempo, alla donna viene ordinata «la rimozione di manufatti nel cortile». Carta canta. Per i giudici, quindi, deve prevalere la valutazione sull’uso comune degli spazi. Questa visione, però, viene contestata dalla donna, che ricorre in Cassazione, richiamando il proprio ‘peso’ come proprietaria del seminterrato e il regolamento condominiale. Ma le valutazioni proposte vengono rigettate dai giudici di piazza Cavour, i quali mostrano di condividere il pronunciamento in Appello. Decisivo, in sostanza, il richiamo al rogito e all’«assenza di qualsiasi espresso riferimento all’atrio ed al sottoscala delle rampe di accesso e al seminterrato». Di conseguenza, chiariscono i giudici, non era possibile superare la presunzione normativa sull’utilizzo delle parti comuni dell’edificio, né, tantomeno, ci si poteva appigliare alle indicazioni del regolamento condominiale.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 gennaio – 20 febbraio 2012, numero 2412 Presidente Triola – Relatore Correnti Svolgimento del processo Con citazione del 23.5.2000 B. S. M. L. conveniva davanti al tribunale di Milano il condominio di via Livigno 6 in Milano, chiedendo, in qualità di proprietaria del seminterrato in NCEU partita 80051 f.135 mappale n .257 sub 45 di dichiarare l’inesistenza della servitù di fatto sull’atrio posto nel sottoscala di sua esclusiva proprietà, ordinando la cessazione della turbativa e dello spoglio parziale mediante il deposito di biciclette, oltre i danni. Il condominio si costituiva svolgendo varie eccezioni e riconvenzionale. Con sentenza 13978/2005, in parziale accoglimento della domanda, veniva ordinata la cessazione delle turbativa consistente nel deposito delle biciclette mentre si ordinava all’attrice la rimozione di manufatti nel cortile giardinetto, con compensazione delle spese, decisione appellata dalla B. ma confermata dalla Corte di appello di Milano con sentenza 3276/09, che condannava l’appellante alle spese del grado, richiamando il rogito 30.6.1988 e ribadendo che l'assenza di qualsiasi espresso riferimento all'atrio ed al sottoscala delle rampe di accesso al seminterrato non consentiva di superare la presunzione di cui all'articolo 1117 numero 1 cc anche in relazione alla planimetria ed al regolamento condominiale. Ricorre con unico motivo la B., resiste il condominio svolgendo ricorso incidentale, solo titolato come tale. Il condominio ha depositato memoria e verbale di assemblea del 10.1.2012 di autorizzazione all’amministratore a stare in giudizio. Motivi della decisione Si lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione lamentando la decisione delle questioni di diritto in modo difforme dai consolidati orientamenti della Suprema Corte ed omettendo di considerare il valore determinante del contenuto descrittivo del titolo che consente di superare la presunzione di cui all’articolo 1117 cc. Anche l’interpretazione del regolamento doveva condurre a diverse conclusioni. La censura come proposta è infondata. L’opera dell’interprete, infatti, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice,del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articolo 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell'applicazione di essi pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, come già visto, fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d'una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d'argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità e pluribus , da ultimo, Cass. 9.8.04 numero 15381, 23.7.04 numero 13839, 21.7.04 numero 13579,. 16.3.04 numero 5359, 19.1.04 numero 753 . Quanto, poi, al vizio di motivazione, devesi considerare come la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’articolo 360 numero 5 CPC debba essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’articolo 366 numero 4 CPC in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe com'è, appunto, per quello in esame in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità. Né può imputarsi al detto giudice d’aver omesse l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa all’esigenza d’adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti come è dato, appunto, rilevare nel caso di specie - da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo in altri termini, perché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’articolo 132 numero 4 e degli articolo 115 e 116 CPC, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse. Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, né nel loro complesso né nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidendi dell'impugnata sentenza sulle questioni de quibus , bensì a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a quo e più rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, ciò che non soddisfa affatto alla prescrizione dell'articolo 360 numero 5 CPC, in quanto si traduce nella prospettazione d'un'istanza di revisione il cui oggetto è estraneo all'ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimità, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni. La sentenza impugnata ha riportato il contenuto del rogito deducendo che l'assenza di qualsivoglia espresso riferimento all'atrio e al sottoscala delle rampe di accesso al seminterrato non consentiva di superare la presunzione di cui all’articolo 1117 numero 1 cc né in contrario poteva invocarsi il regolamento del condominio che, all’articolo 4 lett.b , indicava di proprietà comune la scala, gli anditi, i pianerottoli, i vani ed i corridoi d'accesso dei locali sotterranei, il vano guardiola, i vani d'uso comune e, ulteriormente, alla lett. e , tutto quanto previsto dall’articolo 1117 cc. Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese mentre il ricorso incidentale è solo titolato come tale e si riporta agli scritti precedenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in euro 2200 di cui euro 2000 per compensi, oltre accessori. Roma 30 gennaio 2012.