Porticato costruito senza concessione edilizia? Dopo vent’anni è comunque possibile l’usucapione

La mancanza di concessione edilizia non costituisce impedimento all’usucapione, essendo sufficiente il noto requisito del possesso ultraventennale continuo, non interrotto, non viziato da violenza o clandestinità.

La concessione è infatti un provvedimento amministrativo e come tale rileva nell’ambito del rapporto pubblicistico tra l’amministrazione e il privato che ha realizzato la costruzione. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 3979/13, depositata il 18 febbraio. Il caso. Un uomo asserisce di essere proprietario di un immobile posto a lato del fondo di proprietà dei convenuti, citati in giudizio per aver eseguito delle opere senza osservare le distanze legali ed eccedenti l’altezza, la volumetria e le superfici consentite dalla normativa urbanistica. A fronte della richiesta di demolizione e risarcimento dei danni, i convenuti chiedono in via riconvenzionale l’eliminazione del porticato – capannone costruito nel cortile comune, nonché di altre opere, tra le quali un battuto di cemento. Il Tribunale condanna i convenuti all’eliminazione della finestra aperta verso il cortile comune e dichiara che l’attore aveva acquistato per usucapione la proprietà esclusiva del capannone – porticato. La pronuncia è sostanzialmente confermata in sede di Appello secondo la Corte, infatti, l’obbligo di rispettare le distanze per l’apertura di vedute dirette ex articolo 905 c.c. sussiste anche nel caso in cui lo spazio tra edifici sia costituito da un cortile comune l’assenza di concessione edilizia non costituisce impedimento all’usucapione del porticato il «battuto piastrellato» realizzato dall’attore è finalizzato al miglior godimento del cortile e non risulta incompatibile con analogo uso da parte dei comproprietari. La questione è allora posta al vaglio della S.C Le distanze legali vanno rispettate anche in presenza di un cortile. La prima censura proposta dai soccombenti riguarda l’apertura della finestra sul muro esterno della propria abitazione secondo gli Ermellini, i giudici di merito hanno correttamente affermato che bisogna rispettare le distanze legali anche nel caso in cui lo spazio tra edifici sia costituito da un cortile comune inoltre, il partecipante alla comunione non può, senza il consenso degli altri, servirsi della cosa comune a beneficio di un altro immobile di sua proprietà esclusiva, derivando da tale utilizzazione una servitù a carico della cosa comune nel caso di specie era pacifico che la finestra era stata costruita ex novo nell’edificio di proprietà esclusiva dei convenuti e godeva dell’affaccio diretto sul cortile di proprietà comune. Niente concessione edilizia? L’usucapione opera comunque . Il secondo motivo di ricorso attiene al possesso dell’immobile costruito dall’attore, che sarebbe da qualificarsi come violento e precario e pertanto inidoneo all’usucapione inoltre l’opera non rispetterebbe le distanze legali. I giudici di legittimità ribadiscono che la mancanza di concessione edilizia non costituisce impedimento all’usucapione, essendo sufficiente il noto requisito del possesso ultraventennale continuo, non interrotto, non viziato da violenza o clandestinità. . perché attiene a un rapporto privatistico. La concessione è infatti un provvedimento amministrativo e come tale rileva nell’ambito del rapporto pubblicistico tra l’amministrazione e il privato che ha realizzato la costruzione è vero che l’esecuzione di una costruzione in violazione delle norme edilizie dà luogo a un illecito permanente, ma tale permanenza cessa, tra l’altro, proprio a seguito del decorso del termine ventennale utile per l’usucapione. In conclusione, non vi è ragione per escludere, nell’ambito del rapporto privatistico, l’usucapione da parte del confinante del diritto a mantenere l’immobile a distanza inferiore a quella legale, ferma restando la disciplina pubblicistica dettata per tutelare le prescrizioni urbanistiche di pubblico interesse. In tal modo si evita che il vicino possa agire in ogni tempo per il rispetto delle distanze legali. Neppure l’ultima doglianza, riguardante il battuto piastrellato, merita di essere accolta tale opera, infatti, costituisce un miglioramento del cortile comune, inidoneo ad alterarne la destinazione e ad impedirne l’utilizzo anche da parte degli altri comproprietari articolo 1102 c.c. . Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 gennaio – 18 febbraio 2013, numero 3979 Presidente Goldoni – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 23.7.1987 P.L. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Alba, A.A. e C D.P. ed esponeva di essere proprietario di un immobile in omissis , sito a lato del fondo di proprietà dei convenuti lamentava che gli stessi, nel Ristrutturare il loro edificio in difformità della concessione edilizia,avessero eseguito opere senza osservare le distanze legali dal fondo di proprietà P. ed eccedenti l'altezza, la volumetria e le superfici consentite dalla normativa urbanistica. Chiedeva, pertanto, la demolizione delle opere abusive ed il risarcimento dei danni. I convenuti si costituivano ed, in via riconvenzionale, chiedevano la condanna del P. alla eliminazione dei manufatti costruiti sulla corte comune o a distanza irregolare dai beni di loro proprietà oltre al risarcimento dei danni,avendo l'attore costruito sul cortile comune un porticato-capannone abusivo a distanza irregolare, oltre ad un'aiuola, un battuto di cemento ed un balcone con chiusura. Replicava l'attore eccependo l'intervenuto acquisto per usucapione dell'intero cortile. A seguito del decesso di A.A. , si costituivano, quali eredi, C D.P. , A.M. ed E A. espletata C.T.U., con sentenza 28.6.2003, il Tribunale condannava i convenuti alla eliminazione della finestra aperta verso il cortile comune dichiarava che l'attore aveva acquistato per usucapione la proprietà esclusiva del capannone porticato costruito sul cortile comune e rigettava le ulteriori domande compensando fra le parti le spese di lite. Avverso tale sentenza D.P.C. , A.M. ed E. proponevano appello cui resisteva il P. avanzando, altresì, appello incidentale. Con sentenza depositata il 21.11.2005 la Corte di Appello di Torino respingeva l'appello principale e quello incidentale compensando fra le parti le spese del grado. Osservava la Corte territoriale che “l’obbligo di rispettare le distanze stabilite dall'articolo 905 c.c. per l'apertura di vedute dirette sussiste anche ne caso in cui lo spazio tra edifici vicini sia costituito da un cortile comune che l'assenza di concessione edilizia, contrariamente a quanto dedotto dagli appellanti principali, non poteva costituire impedimento all'acquisto per usucapione, da parte del P. , del porticato costruito su parte del cortile comune che il battuto piastrellato , realizzato dall'attore su parte del cortile comune, era conforme al disposto dell'articolo 1102 c.c. in quanto finalizzato al migliore godimento del cortile stesso da parte del P. né era incompatibile con analogo uso da parte dei comproprietari quanto alle doglianze degli appellanti principali riguardanti altri manufatti, la Corte torinese ribadiva quanto già affermato dal primo giudice, in ordine alla mancata indicazione di elementi sufficienti per la loro identificazione e rilevava che, comunque, il C.T.U. non aveva accertato la sussistenza di distanze illegali tra la costruzione del P. e la proprietà degli appellanti. Per la cassazione di detta sentenza propongono ricorso D.P.C. , A.A. ed E. formulando tre motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso P.L. . Motivi della decisione I ricorrenti deducono 1 violazione e/o falsa applicazione degli articolo 900-905 c.c. e 1102 c.c. omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, posto che l'apertura di una finestra sul muro esterno della propria abitazione verso il cortile comune al proprietario di altra casa, rientrava nelle facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune nei limiti di cui all'articolo 1102 c.c., potendosi configurare un asservimento del bene comune all'immobile di esclusiva proprietà con applicazione del disposto dell'articolo 905 c.c. solo ove l'area comune sia del tutto avulsa dalle singole unità immobiliari e non si inserisca in una situazione condominiale la sentenza impugnata non aveva, peraltro, preso in esame che nell'edificio degli attuali ricorrenti già esisteva una porta finestra che tra il bordo esterno del muro di apertura della finestra in questione ed il confine con la proprietà esclusiva con quella comune cortile vi era una distanza superiore a m. 1,50 e cioè a quella minima richiesta dall'articolo 905 c.c. in assenza di adeguata motivazione erano state disattese la richiesta di prove testimoniali e di C.T.U. necessarie per superare eventuali dubbi su dette circostanze 2 violazione, e/o falsa applicazione degli articolo 871-872-873 1140-1158-1163 c.c. L. numero 1150/42 e L. numero 10/1977 omessa,insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, il possesso di un immobile costruito in difetto di concessione edilizia era da ritenersi violento e precario e inidoneo, quindi, all'usucapione in quanto contrastante con le norme poste a tutela di interessi di carattere generale e suscettibile di rimozione da parte della P.A. nella specie, peraltro, la costruzione abusiva violava le distanze legali previste dal codice civile e dallo strumento urbanistico in relazione alla distanza dai confini della proprietà esclusiva dei ricorrenti ed alla distanza dal cortile comune 3 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia omessa e/o falsa applicazione degli articolo 891 e 2043 c.c. la Corte torinese aveva confermato la statuizione di primo grado quanto alla costruzione, da parte del P. , di un battuto in cemento sul cortile comune senza dar conto del fatto che la presenza di piante e vasi da fiori, posti a presidio dell'opera stessa, potesse essere significativa dell'intento di trasformare una proprietà condominiale in proprietà privata aveva,inoltre, ritenuto non individuabili i manufatti realizzati dal P. , oggetto di doglianza in appello, omettendo di esaminare le fotografie allegate alla C.T.U. 6.4.92 e nei documenti prodotti in prime cure,documenti che evidenziavano sia il balcone dei P. con la nuova veranda e sia la caditoia con rinzaffo di cemento dovevano,comunque,essere ammesse le prove per testi e la C.T.U. richieste nelle fasi di merito. La prima censura è infondata. La Corte di appello, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, ha affermato che le distanze legali devono essere osservate anche nei rapporti tra il fondo comune e quello di proprietà esclusiva di uno dei condomini, e ciò anche nel caso in cui lo spazio tra edifici vicini sia costituito, come nel caso di specie, da un cortile in comune Cfr. Cass. numero 8397/2000 numero numero 15787/2002 , né il partecipante alla comunione può, senza il consenso degli altri,servirsi della cosa comune a beneficio di un altro immobile di sua proprietà esclusiva, derivando da tale utilizzazione una vera e propria servitù a carico della cosa comune. La Corte di merito ha applicato correttamente tali principi alla fattispecie in esame essendo pacifico che la finestra in questione era stata costruita ex novo nell'edificio di proprietà esclusiva degli A. D.P. e godeva dell'affaccio diretto sul cortile antistante di proprietà comune. L'assunto sulla trasformazione in finestra di una preesistente porta finestra non risulta, peraltro, essere stato oggetto di specifico motivo di appello e il riferimento alla prove che non sarebbero state ammesse è del tutto generico, risultando dallo svolgimento del processo della sentenza impugnata che, in primo grado, era stata espletata C.T.U. ed erano state assunte le prove V. pag. 10 sent. imp. . In ordine al secondo motivo va ribadito che la mancanza di concessione edilizia non può costituire impedimento all'acquisto per usucapione, in presenza dei presupposti di cui all'articolo 1158 c.c. e, cioè, del possesso ultraventennale della costruzione, con opere, quindi, visibili e permanenti, in presenza, inoltre, di un possesso continuo, non interrotto, non viziato da violenza o clandestinità. Il difetto di concessione edilizia della costruzione esula dal giudizio che attiene al rispetto della disciplina delle distanze la cui disposizioni attengono alla tutela del diritto soggettivo del privato e, d'altra parte, tale diritto non subisce alcuna compressione per il rilascio della concessione stessa, trattandosi di provvedimento amministrativo che esaurisce la sua rilevanza nell'ambito del rapporto pubblicistico tra l'amministrazione ed il privato che ha realizzato la costruzione. Consegue che la mancanza di detto provvedimento autorizzativo non può neppure incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem , in linea, fra l'altro, con la sentenza di questa Corte numero 594/1990 citata dal giudice di appello , laddove si afferma che l'esecuzione di una costruzione in violazione delle norme edilizie da luogo ad un illecito permanente e la cessazione della permanenza è determinata, fra le altre cause, dal decorso del termine ventennale utile per l'usucapione del diritto di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova. Conformemente a tale precedente giurisprudenziale, in più recenti pronunce di questa sezione è stato affermato il principio che, in materia di violazione delle distanze legali tra proprietà confinanti, deve ritenersi ammissibile l'acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dalle norme del codice civile o da quelle de regolamenti e degli strumenti urbanistici Cass. numero 4240/2010 numero 22824/2012 . Del tutto condivisibili dal Collegio sono le argomentazioni poste a base di dette decisioni, sottese al superamento del precedente difforme Cass. numero 20769/2007 , considerato, essenzialmente, che anche per il diritto di proprietà, benché imprescrittibile, opera la distinzione tra effetto estintivo ed effetto acquisitivo in relazione al decorso del tempo sicché, coerentemente con la disciplina di tale diritto,comprensivo di quello al rispetto delle distanze legali, non vi è ragione per escludere, nell'ambito del rapporto privatistico, l'usucapione da parte del confinante del diritto a mantenere l'immobile a distanza inferiore a quella legale, ferma restando, nel rapporto tra privati e P.A., la disciplina pubblicistica dettata per la tutela delle prescrizioni urbanistiche di pubblico interesse. In tal modo viene contemperato l'interesse del privato a non sottostare alla possibilità che il vicino possa agire in ogni tempo per il rispetto delle distanze legali, con la salvaguardia dei poteri riservati in materia alla P.A. che, in quanto autorità deputata al controllo del territorio, può incidere esclusivamente sul rapporto pubblicistico con il proprietario e responsabile dell'abuso, reprimendo l'illecito edilizio anche attraverso l'ordine di demolizione della costruzione eseguita in assenza o totale difformità o variazione essenziale della concessione edilizia. Del tutto infondata è, infine, le terza doglianza. La Corte distrettuale, sulla base di una valutazione di merito, ha affermato,con adeguata motivazione esente da vizi logici e giuridici, che il battuto piastrellato costituiva, ai sensi dell'articolo 1102 c.c., un miglioramento della consistenza del cortile comune, inidoneo ad alterarne la destinazione e ad impedire l'utilizzo di esso anche da parte degli altri comproprietari. Quanto agli altri manufatti di cui era stata chiesta la eliminazione con domanda riconvenzionale, la sentenza impugnata ha dato conto della impossibilità della loro individuazione anche da parte del C.T.U., ribadendo le motivazioni sul punto del primo giudice, non specificatamente contestate. La censura sul mancato espletamento di un'ulteriore istruttoria è del tutto generica a fronte della motivazione con cui la Corte di merito ha ritenuto non giustificata la richiesta di un'ulteriore approfondimento istruttorio rispetto alle prove già acquisite. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. Consegue la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.