Avvocato, accusato di calunnia, patteggia la pena? È una ammissione di colpevolezza, quindi la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo professionale è legittima.
È quanto emerge dalla sentenza numero 21591/13 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, depositata il 20 settembre scorso. Il caso. Ad un avvocato, accusato di calunnia, veniva applicata, su richiesta delle parti articolo 444 c.p.p. , la pena di 10 mesi e 20 giorni di reclusione. Gli veniva irrogata, dunque, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo professionale. Sanzione confermata anche dal Consiglio Nazionale Forense a cui l’avvocato si era rivolto. Il motivo? La perdita del requisito della condotta specchiata ed illibata richiesto per l’iscrizione all’Albo, quale conseguenza dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento. Della vicenda, però, si sono occupate anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. L’avvocato patteggia e il Consiglio lo radia dall’Albo. Nello specifico, i Supremi Giudici hanno ribadito l’efficacia del giudicato nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle pubbliche autorità, e quindi anche in quelli che riguardano gli avvocati, «quanto all’accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato». Infatti – si legge nel dispositivo della Cassazione - «la sentenza di patteggiamento costituisce un elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscerne l’efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione». Il patteggiamento presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza? Insomma – anche in base al’orientamento delle stesse Sezioni Unite Cass., SSUU, numero 17289/2006 - la sentenza di applicazione di pena patteggiata «presuppone pur sempre un’ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall’onere della prova». Il ricorso viene quindi rigettato, anche perché l’incolpato non ha dedotto a sua difesa elementi di fatto idonei a giustificare la richiesta di applicazione della pena.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 14 maggio – 20 settembre 2013, numero 21591 Presidente Luccioli – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- Con sentenza 20.04.12 il Consiglio nazionale forense CNF , in assenza dell'interessato, rigettava il ricorso proposto dall'avv. G G. avverso la sanzione disciplinare della radiazione dall'albo professionale irrogatagli dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati COA di Roma, in quanto, sottoposto a procedimento penale per il reato di calunnia, con sentenza del 13.05.03 gli era stata applicata la pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione con concessione dei benefici, ai sensi dell'articolo 444 c.p.p 2.- Il CNF, per quanto qui interessa, rileva che l'addebito disciplinare contestato al professionista è costituito dalla perdita del requisito della condotta specchiata ed illibata richiesto per l'iscrizione all'Albo, quale conseguenza dell'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento. Pertanto, non sussiste prescrizione dell'illecito, dato che il quinquennio per la promozione dell'azione disciplinare decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena 4.06.03 e non dalla data in cui si realizzarono gli eventi da cui originò il processo penale 7.06.02 . La sentenza in questione, inoltre, costituisce a tutti gli effetti sentenza di condanna, dato che presume un accertamento della responsabilità dell'imputato quindi l'effetto estintivo del reato per decorso del quinquennio, previsto dall'articolo 445 c.p.p., non era ancora realizzato alla data dell'esercizio dell'azione disciplinare delibera COA del 22.11.07 . Quanto alla congruità della sanzione disciplinare irrogata, infine, considerate anche le modalità della condotta posta in essere, il CNF rileva che la condanna penale è particolarmente grave per la natura del reato contestato - rientrante tra i delitti contro l'attività giudiziaria - ed incide sul requisito della specchiatezza della condotta richiesta al professionista. 3.- Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione G. . Il COA di Roma, al quale il ricorso è notificato, non si è costituito. Motivi della decisione 4. - Il ricorrente ha proposto i seguenti motivi di ricorso. 4.1. - Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del suo diritto di difesa sotto due profili a perché il giorno 23.02.12, in cui il CNF si era riunito in camera di consiglio per esaminare la sua impugnazione, egli non era comparso in quanto aveva aderito allo sciopero indetto per quella giornata dagli organismi sindacali dell'Avvocatura, il che avrebbe imposto di considerare giustificata la sua assenza e di rinviare ad altro momento la decisione b per la tardiva notifica della sentenza del CNF, avvenuta oltre il termine di trenta giorni previsto dall'articolo 56 del r.d.l. 27.11.33 numero 1578 sentenza depositata il 20.04.12, notifica dell'11.10.12 , egli non aveva potuto proporre tempestiva impugnazione. 4.2. - Con il secondo motivo è dedotta violazione dell'articolo 51 del r.d.l. 27.11.33 numero 1578, in quanto il termine di prescrizione quinquennale dell'azione disciplinare, decorrente dal 4.06.03 data di passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento non è interrotto dall'apertura dell'istruttoria del COA 22.11.07 , che ha solo natura strumentale ma non consente l'accertamento definitivo della responsabilità. Essendosi tale accertamento realizzato solo con la pronunzia del COA del 16.07.09, quando il termine quinquennale era già scaduto, il CNF avrebbe dovuto ritenere realizzata la prescrizione. 4.3. - Con il terzo motivo è lamentata violazione degli articolo 444 e 445 c.p.p., ritenendosi che la sentenza di patteggiamento, ai fini dell'accertamento della responsabilità disciplinare, non può ritenersi equivalente a sentenza di condanna, in quanto l'applicazione della pena su richiesta delle parti è istituto che non ha lo scopo di accertare l'esistenza del reato, ma quello di risolvere in tempi brevi il processo con irrogazione della sanzione derivante dall'accordo tra le parti del giudizio, approvato dal giudice. Nel caso di specie, pertanto, essendo l'accertamento della responsabilità basato esclusivamente sulla sentenza di patteggiamento, mancherebbe la prova dell'illecito disciplinare. 5. - Il primo motivo è infondato sotto entrambi i profili di censura denunziati. Quanto alla violazione delle garanzie di difesa per l'omesso rinvio dell'udienza v. numero 4.1.a , deve rilevarsi che la comparizione dinanzi al CNF per la discussione del ricorso, proposto contro la delibera disciplinare adottata dal COA, è atto del professionista incolpato ricollegabile non all'esercizio dell'attività professionale, ma alla sua personale posizione di soggetto sottoposto alla giurisdizione disciplinare. Tale posizione non è riconducibile alle posizioni di interesse collettivo che gli organismi rappresentativi della categoria tutelano con gli strumenti tipici della lotta sindacale, quali l'astensione collettiva dalle udienze. Pertanto la decisione del G. di non comparire dinanzi al Collegio disciplinare deve essere ritenuta frutto di una sua scelta discrezionale, non assistita dalle garanzie tipiche dell'adesione all'astensione collettiva dall'attività professionale proclamata dagli organismi sindacali. Quanto al profilo di violazione del diritto di difesa per la tardiva notifica della sentenza del CNF v. numero 4.1.b , il motivo è inammissibile non essendo contestato un vizio della sentenza, ma solo un difetto di attività successivo alla pronunzia. 6.- Il secondo motivo ha per oggetto la pretesa maturazione della prescrizione dell'azione disciplinare ai sensi dell'articolo 51 del r.d.l. 27.11.33 numero 1578 v. numero 4.2 , sostenendo il G. che, esatto il momento fissato per l'inizio della decorrenza del termine 4.06.03, data del passaggio in giudicato della sentenza penale , alla data del 16.07.99, data di svolgimento dell'udienza dibattimentale, nonché di adozione della decisione da parte del COA di Roma e, quindi, di accertamento della responsabilità, il termine quinquennale di prescrizione era già scaduto. Secondo la giurisprudenza di queste Sezioni unite, nella fase del procedimento disciplinare di carattere amministrativo dinanzi al Consiglio dell'ordine costituiscono valido atto di interruzione della prescrizione con effetti istantanei l'atto di apertura del procedimento e tutti gli atti procedimentali di natura propulsiva o probatoria consulenza tecnica d'ufficio, interrogatorio del professionista sottoposto a procedimento , o decisoria, secondo il modello dell'articolo 160 c.p.p. v., tra le tante, S.u. 2.04.03 numero 5072 e 12.08.02 numero 12176 . Dato che, secondo l'assunto dello stesso ricorrente, in data 22.11.07 era stata deliberata dal COA di Roma l'apertura del procedimento disciplinare, deve ritenersi che nella fase amministrativa del procedimento stesso, fosse intervenuto un valido atto interruttivo prima del decorso del quinquennio decorrente dal 4.06.03 e che, di conseguenza, la decisione fu adottata nel rispetto del termine di prescrizione quinquennale previsto dall'articolo 51 del r.d.l. numero 1578 del 1933. Il motivo è, pertanto, infondato. 7.- Con riferimento al terzo motivo, con il quale si sostiene che non può darsi per provata la responsabilità disciplinare in quanto la sentenza di condanna a seguito di richiesta di applicazione della pena non contiene alcun accertamento al riguardo v. numero 4.3 , deve rilevarsi che l'addebito disciplinare mosso all'incolpato è quello di aver perso il requisito della condotta specchiatissima ed illibata a causa della sentenza di condanna per il reato realizzato nell'esercizio della professione. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, a norma degli articolo 445 e 653 c.p.p., come modificati dalla legge 27.03.01 numero 97, le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti patteggiamento hanno efficacia di giudicato nei giudizi disciplinari che si svolgono davanti alle pubbliche autorità, e quindi anche in quelli che riguardano gli avvocati,quanto all'accertamento del fatto, alla sua illiceità penale e all'affermazione della responsabilità penale dell'imputato S.u. 9.04.08 numero 9166 . Infatti, la sentenza di patteggiamento costituisce un elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscerne l'efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, a prescindere dalla sua qualificazione come sentenza di condanna, presuppone pur sempre un'ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall'onere della prova S.u. 31.07.06 numero 17289 . Dato che dall'esame della sentenza del CNF non risulta che l'incolpato abbia dedotto a sua difesa elementi di fatto idonei a giustificare la richiesta di applicazione della pena e che neppure in sede di legittimità vengono al riguardo svolte idonee deduzioni, deve qui riaffermarsi l'efficacia di giudicato della sentenza e rigettarsi il motivo di impugnazione. 8.- Infondati tutti i motivi di impugnazione, il ricorso deve essere rigettato, senza pronunzia sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, nulla disponendo in materia di spese.