La violenza, sistematica e costante, messa in atto dall’insegnante di una scuola primaria in danno dell’alunna non lascia alcun dubbio. Per gli Ermellini non si può parlare di abuso dei mezzi di correzione e disciplina ma solo di maltrattamenti.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con sentenza numero 31717/17 depositata il 30 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Rieti che condannava l’imputata per il delitto di maltrattamenti, commesso in qualità di insegnante della scuola primaria in danno di un’alunna di classe prima. Il difensore di fiducia dell’imputata ricorre per cassazione deducendo l’inosservanza della legge penale, laddove la Corte territoriale ha confermato la riqualificazione della fattispecie nel reato di maltrattamenti. Infatti, secondo l’avvocato, nel caso in esame manca il requisito della «costanza dei comportamenti violenti» e, dunque, il fatto sarebbe qualificabile nel reato di cui all’articolo 571 c.p. recante «Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina». Maltrattamenti. Gli Ermellini, nel ritenere compiutamente provata la contestazione sulla scorta dell’articolato compendio processuale, confermano la correttezza dell’inquadramento giuridico della fattispecie nel reato di maltrattamenti. In particolare, intendono dare seguito all’insegnamento giurisprudenziale secondo cui, «l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 maggio – 30 giugno, numero 31717 Presidente Carcano – Relatore Bassi ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del 28 gennaio 2013, con la quale il Tribunale di Rieti, sezione distaccata di Poggio Mirteto, ha condannato F.P. alle pene di legge con sospensione condizionale , per il delitto di maltrattamenti così riqualificato il fatto originariamente contestato come abuso dei mezzi di correzione , commesso, nella qualità di insegnante in servizio presso una scuola primaria, in danno di un’alunna iscritta alla classe prima commesso fino al 16 dicembre 2008. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Pietro Carotti, difensore di fiducia di F.P. , e ne ha chiesto l’annullamento per inosservanza della legge penale, per avere la Corte d’appello confermato la riqualificazione della fattispecie - operata dal giudice di primo grado - nel reato di maltrattamenti, non ravvisabile nella specie in assenza del requisito della costanza dei comportamenti violenti che definisce il discrimen fra i reati di cui agli articolo 571 e 572 cod. penumero . 3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. 4. Le doglianze mosse dalla ricorrente in merito alla ricostruzione in fatto delle vicende oggetto di contestazione ed alla loro qualificazione giuridica non sfuggono ad una preliminare ed assorbente censura di inammissibilità, posto che esse, per un verso, ripropongono rilievi già dedotti in appello e non si confrontano con la compiuta e lineare motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso Sez. 6, numero 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838 . Per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali ex plurimis Sez. U, numero 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 . 5. D’altronde, contrariamente a quanto assume la ricorrente, secondo la ricostruzione storico fattuale dei fatti sub iudice compiuta dai Giudici della cognizione con congrua motivazione, l’imputata aveva fatto ricorso sistematico alla violenza quale ordinario trattamento della minore vittima del reato v. pagina 5 della sentenza impugnata . 5.1. Nel ritenere compiutamente provata la contestazione sulla scorta dell’articolato compendio processuale costituito anche dalle testimonianze rese da parte di coloro i quali avevano avuto modo di assistere personalmente ad alcuni dei comportamenti posti in essere dall’imputata , la Corte d’appello ha difatti acclarato che la F. aveva sottoposto la minore alunna della prima classe della scuola primaria a reiterate rectius sistematiche violenze fisiche e psicologiche, lanciandole contro oggetti, tirandole i capelli picchiandola sul viso o sul collo, punzecchiandola con la punta di una matita, facendole battere la testa contro superfici dure e spigolose nonché mortificandola in maniera plateale, davanti a tutta la classe, durante le interrogazioni. Le condotte come ricostruite dai Giudici della cognizione fotografano il sistematico ricorso in funzione educativa, da parte dell’indagata, di metodi di natura fisica, psicologica e morale esorbitanti dai limiti del mero rinforzo della proibizione o del messaggio educativo, in ragione dell’arbitrarietà dei presupposti, dell’eccesso nella misura della risposta correttiva, sia, e soprattutto, in ragione del frequente ricorso alla violenza fisica e dunque pacificamente travalicano i limiti dell’uso dei mezzi di correzione. 5.2. Ne discende la correttezza dell’inquadramento giuridico della fattispecie nel reato di maltrattamenti, là dove, secondo il costante insegnamento di questa Corte, l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti Sez. 6, numero 53425 del 22/10/2014, P.M. in proc. B., Rv. 262336 Sez. 6, numero 36564 del 10/05/2012, C., Rv. 253463 . In particolare, tale principio è stato affermato in un caso sovrapponibile a quello di specie, nel quale una maestra di scuola materna aveva fatto ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica, inflitta, per finalità educative, in danno dei bambini a lei affidati Sez. 6, numero 53425 del 22/10/2014 . 6. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 1.500,00 Euro. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della cassa delle ammende. Condanna inoltre la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili P.E. , M.Z. e P.V. , liquidate complessivamente in 5.000 Euro, oltre a spese generali in misura del 15%, IVA e CPA.